venerdì 9 ottobre 2020

A LOUISE GLÜCK IL RICONOSCIMENTO PER LA LETTERATURA 2020: UN PREMIO NOBEL D’ECCELLENZA

 


Nonostante certe “sbandate” con cui di tanto in tanto l’Accademia Svedese ci ha voluto sorprendere negli anni passati, la scelta del Premio Nobel conserva sempre un solido fascino nel proporre nomi forse inusuali, o non conosciutissimi al grande pubblico, ma spesso intensamente vocati e talentuosi.
È il caso di quest’anno.
Louise Glück, di cui avevo letto un paio di poesie qualche mese fa, rimanendone assai colpito, schiude nei suoi versi le pieghe più intime del suo animo al lettore, con cui entra immediatamente in una tormentata empatia.
Sono poesie metaemozionali, in cui la metafora naturalistica e l’umana esistenza trasfondono in rarefatte tessiture intimistiche, pronte a svelare un vissuto sofferto e passionale.
La poetessa con il Presidente Obama
Nella sua biografia, è nata a New York nel 1943 da una famiglia di immigrati ebrei, vi sono scolpiti tratti tormentati, come l’anoressia nervosa che l’ha colpita durante l’adolescenza e durata ben sette anni. Di quel periodo, lei stessa ha scritto: "Ho capito che a un certo punto sarei morta. Quello che sapevo in modo più vivido, più viscerale, era che non volevo morire"
Ha pubblicato più di dodici raccolte ed è presente in innumerevoli antologie, non solo negli Stati Uniti, dove è popolare e pluripremiata, ma anche nel resto del mondo.
Osannata come cantrice dei valori femminili più che femministi, la Glück arpeggia nelle sue liriche su vasti panorami di sentimento e di intensa analisi del “precario” umano. La morte, il fallimento, la sofferenza, la caduta, la ripresa, sono sfumature che tingono di ambigua valenza emotiva i versi. Molti critici americani la individuano come la poetessa del sentimento del “cambiamento”, di un progredire esistenziale frammentato, interrotto, ma continuo, che non s’arresta di fronte alle difficoltà di vivere ed al male che contraddistingue la condizione umana. Il pathos lirico la conduce ad un approccio con le tematiche esistenziali a volte ritenuto persino contraddittorio, dove a visioni idilliache si affianca una coscienza personale tormentata.
Spesso paragonata a Emily Dickinson, da cui però si differenzia per un notevole e moderno disincanto emotivo.
Ecco di seguito alcune sue poesie.

Fine dell’estate
Dopo che mi vennero in mente tutte le cose,
mi venne in mente il vuoto.
C’è un limite
al piacere che trovavo nella forma…
In questo non sono come voi,
non ho risoluzione in un altro corpo,
non ho bisogno
di un riparo fuori di me…
Mie povere ispirate
creazioni, siete
distrazioni, in ultimo,
puri inceppi; siete
alla fine troppo poco simili a me
per piacermi.
E così candide:
volete essere ripagate
della vostra scomparsa,
pagate tutte con qualche parte della terra,
qualche ricordo, come una volta eravate
compensate per il lavoro,
lo scriba pagato
con argento, il pastore con orzo
per quanto non è la terra
a durare, non
queste schegge di materia…
Se apriste gli occhi
mi vedreste, vedreste
il vuoto del cielo
specchiato in terra, i campi
di nuovo nudi, senza vita, coperti di neve…
poi luce bianca
non più travestita da materia.

Aprile
Nessuna disperazione è come la mia disperazione…
Non avete luogo in questo giardino
di pensare cose simili, producendo
i fastidiosi segni esterni; l’uomo
che diserba cocciuto tutta una foresta,
la donna che zoppica,
rifiutando di cambiar vestito
o lavarsi i capelli.
Credete che mi importi
se vi parlate?
Ma voglio che sappiate
mi aspettavo di più da due creature
che furono dotate di mente: se non
che aveste davvero dell’affetto reciproco
almeno che capiste
che il dolore è distribuito
fra voi, fra tutta la vostra specie,
perché io possa riconoscervi,
come il blu scuro marchia la scilla selvatica,
il bianco la viola di bosco.

By Michele Barbera

Nessun commento:

Posta un commento