lunedì 21 marzo 2016

GLI AVVOCATI INSORGONO: A RISCHIO IL “DIRITTO ALLA GIUSTIZIA” CON LA RIFORMA DELLA GEOGRAFIA GIUDIZIARIA


Non bastavano gli aumenti al “contributo unificato”, le continue ed arzigogolate riforme alle procedure, i tagli all’organizzazione degli Uffici Giudiziari per le sezioni staccate. C’è qualcos’altro di particolarmente rischioso e subdolo.
Qualcosa che rischia di destabilizzare la tutela giudiziaria e l’accesso alla Giustizia di una notevole parte di cittadini. 
Appare significativo quanto detto dal Presidente dell’Organismo Unitario per l’Avvocatura, Mirella Casiello che ha affermato che mentre da un lato in Italia si tende al decentramento per recuperare efficienza amministrativa, per quanto attiene il sistema giudiziario si è andati in senso opposto, accentrando gli uffici, tagliando la giustizia di prossimità, quella cioè di base e periferica, più vicina per definizione ai cittadini.
Da parte del “gruppo di lavoro” guidato da Vietti per conto del Ministro della Giustizia si è bandizzata l’ennesima riforma che poi non consiste altro, nella sua quasi totalità, nel taglio orizzontale di tribunali e corti di appello.
Taglio delle corti di appello sino a farne rimanere una in ogni regione, tagli dei tribunali subprovinciali (adesso? dopo che le province sono state abolite?).
Di fatto gran parte dell’attuale sistema giudiziario verrebbe ad essere smantellato e notevoli porzioni di territorio abbandonate a se stesse, prive di ogni presidio giudiziario.
Non solo, ma per effetto dell’aumento delle trasferte, delle notevoli carenze della rete dei trasporti, della ipertrofia paralizzante a cui sarebbero condannati gli Uffici superstiti, l’accesso alla giustizia diverrebbe – di fatto – notevolmente più difficile ed esponenzialmente più costoso.
L’effetto sarebbe devastante.
Ma, forse, a chi governa, interessa solo che a lungo andare i cittadini desisteranno dal chiedere giustizia ai tribunali e, così, finalmente i “numeri” dei contenziosi diminuiranno.
Insomma, per diminuire i casi di malattia si uccide il malato.
Non lamentiamoci se tutto questo indurrà un ulteriore disorientamento e disaffezione nel cittadino: sarà l’ennesimo pasticcio italiano, dove il problema non si risolve, ma lo si sopprime o -sulla carta - si fa finta che non esista. Senza pensarci troppo.
Una Giustizia che non funziona si tradurrà in un far west della convivenza. Tutto ciò va correlato alla recente “depenalizzazione” di condotte e reati che, per quanto di minimo spessore criminale, erano estremamente comuni e necessitavano di un’adeguata opera deterrente costituita – per l’appunto – dalla sanzione penale.
In ultima analisi, si va verso una “destrutturazione” del pianeta Giustizia, destinata ad una eutanasia dalle conseguenze sociali difficilmente prevedibili.
Siamo assolutamente certi che questa ennesima riforma non risolverà né il problema degli sprechi nella pubblica amministrazione, né renderà più efficiente la giustizia, ma solo più difficile e costosa. E correlativamente si assisterà all’acuirsi di tensioni sociali legate alla mancata ed efficiente amministrazione della giustizia. Non ci credete? Aspettate e vedrete… lo “zio Totò” è dietro l’angolo, pronto a sostituirsi – in punta di coltello – a magistrati ed aule di giustizia.
L’unica speranza è che i parlamentari, soprattutto quelli dei territori periferici, piagati da un isolamento cronico, si oppongano al risiko della giustizia giocato con bandierine sulla carta e lancio di dadi e  riescano a ribadire le peculiarità della giustizia e le specificità della tematica, di modo da evitare approvazioni acritiche e “bulgare” e supinamente prone ai diktat di un governo miope e sfacciatamente menefreghista.
Le uniche e vere riforme che servono alla Giustizia sono:
a) un adeguato numero di magistrati ben preparati affinché le sentenze rispecchino il diritto e non diano corso ad impugnazioni;
b) unificazione dei riti e delle procedure con l’adozione di codici processuali semplificati;
c) la previsione che le liti civili e quelle penali siano precedute da dichiarazioni di intesa in cui ciascuna parte indichi sin da subito le condizioni per la cessazione del contenzioso;
d) l’abolizione delle inutili misure alternative al contenzioso (mediazioni e negoziazioni varie) che ritardano ed ingolfano le trattazioni degli affari e spesso acuiscono le tensioni fra le parti.

By Michele Barbera 

mercoledì 16 marzo 2016

VOTIAMO SI’ ALL’ABROGAZIONE DELLA LEGGE SULLE TRIVELLAZIONI!

Andiamo in massa alle urne e VOTIAMO “SI’” per rispetto del mare, della natura, per i nostri figli, per coloro che domani abiteranno questo pianeta quando noi non ci saremo più.
Trivellare ancora alla ricerca di energia fossile, non rinnovabile ed inquinante è quanto di più sbagliato possiamo fare.
Il progresso energetico è tutt'uno con la tutela dell'ambiente ed ha solo una strada percorribile: quella del riciclaggio e quella delle energie rinnovabili.
Si deve, quindi, nell’ambito energetico favorire l’impianto delle fonti rinnovabili che sono l’energia del futuro e non sono inquinanti.
Dobbiamo smetterla di investire nell’inquinamento, nel degrado ambientale e nel profitto delle multinazionali.
Non è vero che si perdono posti di lavoro. Anzi, con le energie alternative si creano più posti di lavoro e più investimenti sani ed ecocompatibili.
Dobbiamo avere il coraggio di pensare al futuro del pianeta e delle generazioni future. Ciò necessita di un mutamento di coscienza ed una presa di posizione certa.
Il fotovoltaico, l’eolico, l’energia cinetica sono delle realtà, le uniche realtà del futuro.
I cartelli del petrolio hanno di recente abbassato il prezzo del greggio per evitare gli investimenti nel settore delle energie alternative. E’ solo una manovra speculativa.
Non cadiamo in questa trappola.
L’energia del futuro non può essere il petrolio, né le altre energie fossili per loro stessa definizione limitate e destabilizzanti.
Facciamo valere la volontà del popolo contro ogni governo lobbistico ed asservito alle multinazionali finanziarie e bancarie.
La legge in Italia è asservita al Popolo ed è il Popolo l’unico sovrano.
Che i nostri politucoli beceri, parassiti, nullafacenti e scrocconi lo sappiano.
Italiani, abbiate rispetto di voi stessi e dei vostri figli: VOTIAMO SI’!

By Michele Barbera 

sabato 5 marzo 2016

MENFI E L’EMIGRAZIONE SILENZIOSA



Premessa (doverosa): credo che quello che leggerete non è parte solo di Menfi, ma di tutto il Sud, o, forse, di un certo Sud. Narro solo di un vissuto personale e, perciò, per me, tanto più sentito e doloroso.
Trent’anni. O poco più. L’ho rivisto fermo ad un angolo di strada, in una posa che ho riconosciuto prima ancora di guardarlo negli occhi. L’incontro è stato una piccola scossa di terremoto che scuote il tran tran quotidiano. Una birra, domande scontate per risposte ovvie, ma che destano meraviglie.
Un compagno di scuola, perso dopo l’adolescenza. La via dell’emigrazione silenziosa, quella che ti fa cercare una “sistemazione” in città o al Nord. In quel posto indefinito dove si vive meglio e c’è la possibilità di lavorare senza trascinarsi dal politucolo al baronetto, in un pendolarismo clientelare da servi della gleba, per implorare quel diritto su cui si fonda la nostra nazione.
Trent’anni. Una parentesi che corre veloce. Facciamo un rapido calcolo con il mio amico. E scopriamo che del nostro gruppo – una trentina o poco più – a Menfi ne sono rimasti si e no otto. Un paio sono morti. E gli altri? Dove li ha condotti il fiume silenzioso della vita, quella triste slavina della esistenza che si chiama “bisogno”?
Ragazzi validi, con-la-testa-sulle-spalle, come si dice. Eppure scomparsi. Quasi una lupara bianca che miete le sue vittime senza scalpore, tranciando le radici e facendo disseccare la pianta dell’entusiasmo come un virus letale.
Non ci sono barconi nel mezzo, né trafficanti di vite umane o fili spinati che fanno-tanta-scena in tivvù. E' un'emigrazione silenziosa, ma non per questo meno dolorosa e traumatica.
Finiamo la birra senza entusiasmo. Il mio amico mi racconta che, ormai, non gli va più di scendere a Menfi. Vede solo il deserto. Si sente estraneo nella sua terra. Come una sorta di reduce di qualche guerra.
Vorrebbe fare qualcosa per rivitalizzare il legame – suo e di tanti – con il paese di origine dove i ricordi hanno ormai il sopravvento sui sogni. Ha provato a parlare con qualcuno, ma ogni volta sembra "che gli ridono in faccia". Non lo prendono sul serio. Mi dice con rabbia che Menfi è diventata una palude. O, forse, lo è sempre stata, rispondo.
Ci salutiamo senza rimpianti. Ci scambiamo i numeri di cellulare che annegheranno nella rubrica dello smartphone. Buoni solo per gli SMS preconfezionati di Natale.
Un sorriso, una pacca sulle spalle. Mi invita al Nord, dove lui vive. Scuoto la testa.
La mia battaglia la voglio condurre qui. E rilancio: dovremmo provare a bonificare la palude.
Stavolta a sorridere è lui.
By Michele Barbera