giovedì 24 settembre 2020

IL COVID-19 CONTINUA A MIETERE VITTIME... LA MOVIDA PURE!



Lo spunto di questo post è nato dall'invito perentorio che Vito Clemente, agguerrito consigliere comunale di Menfi, ha dato con un suo scritto su Facebook: tacere significa essere complici...
Per la verità a Menfi e Porto Palo, causa il coronavirus, quest'estate polemiche chiacchiere e discussioni, non ne sono mancate. Così per come non sono mancate le "osservazioni" dei "pistoleri della lingua" ai controlli che le Forze dell'Ordine hanno fatto ad alcuni locali. 
La verità è una: a tutti, assessori e non, piace divertirsi, stare in gruppo, bere in compagnia. 
Giusto. Quando, però, questo non danneggia gli altri o mette in pericolo la loro salute. 
La nostra libertà finisce sempre quando inizia quella degli altri e con la salute non può scherzarsi. Non sono luoghi comuni ma verità fondamentali. 
Già nei dintorni di Menfi si è assistito a comportamenti irresponsabili di gente in quarantena o, peggio, positiva al virus che, in modo incosciente e criminale, gironzola per locali pubblici (di qualsiasi tipo) ritenendosi libera di infettare chiunque. 
Il virus nel mondo ha fatto oltre un milione di vittime. 
Muta, si diffonde, mette in crisi ogni tentativo di controllarlo. E' subdolo perché colpisce in modo differente gli individui, a volte è asintomatico, ed alcuni territori sono senza dubbio più attrezzati di altri per curarlo. Lo spettro della terapia intensiva (che è invasiva del corpo e costringe ad una anestesia pressoché totale in posizione innaturale,ad essere intubati ed a una perdita della massa muscolare in pochi giorni con la conseguente riabilitazione per chi è fortunato ad uscirne vivo) incombe su tutti coloro che possono contrarre il virus. 
E non c'è festa, movida, trenino, assembramento che tenga. 
Mettiamocelo nella zucca: il SARS-COVID 19 E' UN VIRUS TERRIBILE E MORTALE!
Le rosee previsioni dei virologi che davano la scomparsa del virus durante l'estate si sono infrante di fronte all'evidenza. La stupidità dei negazionisti è pari alla loro ignoranza. 
In questo momento anche la questione "politica" del virus sull'origine cinese passa in secondo piano. 
La ricerca medica può e deve dare i suoi frutti, con il giusto tempo. E speriamo che siano in grado di fornire un vaccino in tempi brevi. 
Nel frattempo, la tutela della nostra salute è affidata a noi stessi, alla nostra prudenza, al nostro sapersi limitare ed al nostro saperci comportare. Siamo in emergenza. Che non è finita.
La movida in questo non aiuta. Specialmente a Menfi, in Via della Vittoria con ragazzi che ogni sera, senza mascherina, si ammucchiano, sparandosi alcool senza ritegno, approfittando della mancanza di controlli.
Menfi non ha il San Raffaele o l'Ospedale Sacco. E noi non siamo Berlusconi. Ricordatevelo.  
Per non parlare dei rifiuti che quotidianamente confluiscono in mucchi selvaggi nei vari cortili... dove puzza e residui di alcol e cibi rancidi fanno la festa dei topi (ho qualche foto nel cellulare che non pubblico per ritegno). Ma che volete, anche i topi hanno il diritto di divertirsi.... o no?
By Michele Barbera



lunedì 21 settembre 2020

NESSUNO È LUCE A SE STESSO, il martirio di Rosario Angelo Livatino

 



Un giudice anonimo,  sconosciuto alla ribalta mediatica, che svolgeva in silenzio ogni giorno il suo difficile compito di tutore della legalità in una terra bagnata dal sangue di tanti innocenti, vittime della violenza luciferina della mafia. Eppure, oggi, a trent’anni dalla sua morte, il suo ricordo è vivo, la sua memoria integra, la voglia di conoscerlo tanta.
“Nessuno è luce a se stesso”, il titolo che ho voluto dare a questo saggio, una ricerca pluridisciplinare sugli eventi e sulle dinamiche che condussero alla morte del “giudice ragazzino”, non è solo una frase ad effetto, ma un programma di vita.
L’ho mutuata dal testo di una conferenza che Rosario Livatino tenne nella sua città, Canicattì. Ritengo che in questa frase sia celata la chiave dell’anima di Rosario Livatino, la sua cifra esistenziale. L’alchimia di sentimenti e fede, l’amore per la giustizia e per il prossimo, la testimonianza silenziosa e prorompente della sua figura, sono racchiuse nell’infinito sentire di questa breve espressione.

Ancora più che nell’acronimo “S.T.D.”, Sub Tutela Dei, con cui Rosario Livatino amava contraddistinguere i propri scritti intimi, le sue agende, come quella che hanno trovato accanto al corpo il giorno del suo omicidio.
O, meglio, martirio.
Proprio da lì, da quando tutto è finito o, forse, da quando tutto è iniziato, trae le mosse il mio desiderio di conoscere questo straordinario figlio di una terra tanto aspra quanto generosa.
In quell’assolata campagna dell’entroterra siciliano, in quelle contrade care a Sciascia e Pirandello, metafora di una dimensione dello spirito, lì, dove si è compiuto il martirio di Rosario Livatino.
Un martirio profeticamente annunciato da San Giovanni Paolo II, un martirio la cui considerazione ha avuto una costante progressione ed una conclamata adesione della Chiesa agrigentina nel processo diocesano, aperto dal Cardinale Montenegro, e condotto da don Giuseppe Livatino, cugino del Giudice e postulatore della causa, per elevare Rosario Livatino agli onori degli altari.
La dedizione di Rosario Livatino al proprio lavoro, visto come occas
ione di santificazione e “di dedizione di sé a Dio”, accosta la sua figura ad una concezione moderna e viva di santità universale, una santità che vuole rendere testimonianza eccelsa alla fede anche nell’adempimento eroico del proprio dovere quotidiano, sino all’estremo. Il martire non fugge dalla morte ma dal peccato.

Nella distorsione eretica della mafia, dove i simboli religiosi sono profan
ati ed offesi da intenzioni e cerimonie blasfeme, la purezza del pensiero di Rosario Livatino, la sua costante testimonianza, prodiga di attenzione e carità di fede verso coloro che era chiamato a giudicare, erano avversari temibili e odiosi.
Un odio che ha acceso una ritorsione crudele, feroce, demoniaca.
L’analisi di quanto accaduto il ventuno settembre di trent’anni fa, senza trascurare i riferimenti criminologici all’ “effetto Lucifero”, nel saggio apre la riflessione sul concetto di “martirio” e dell’”odium fidei”, un luogo teologico, che caratterizza la testimonianza suprema del credente, la sua costanza nella fede, pur nelle avversità del cammino terreno.
Dagli emblematici casi dei primi martiri della fede sino all’epoca contemporanea, già a partire da Pio XII con l’esempio di Maria Goretti, la difesa dei valori della fede, e, dunque il martirio, ha assunto vesti teologiche più ampie. Che vanno, necessariamente, a ricomprendere tutti quei casi in cui il martire è stato ucciso in quanto testimone vero e coerente del suo credo e di tutto ciò che la fede in Dio significa e che si esprime anche nei valori di giustizia, della carità e dell’amore verso il prossimo in quanto “immagine di Dio”, come ha affermato proprio Rosario Livatino. Egli “ha sovvertito il ruolo del giudice abbracciando la coscienza del prossimo e rendendo la giustizia umana, espressione di amore e verità. Sotto la tutela dello sguardo divino.”
Ora, non mi resta che augurarVi Buona Lettura, nel ricordo della testimonianza di Rosario Livatino che affido al Vostro cuore, oltre che alla Vostra riflessione, per accompagnarlo nel cammino comune di santità.
By Michele Barbera

mercoledì 16 settembre 2020

TUTTI A SCUOLA... TRA PAURA E SPERANZA




Il titolo non vuole allarmare o ingannare. Semmai, è un invito: dovremmo tutti ritornare a scuola, specie dopo la terribile esperienza del "coronavirus". A scuola. Di buone maniere, di senso civico, di responsabilità, di senso del dovere. Tutte cose che sono mancate durante la scorsa estate, e non solo.
Prendo lo spunto dalle polemiche, vere o inventate, che hanno animato la piazza dei social, prima di tutte Facebook e compagnia bella. 
Paura per l'avvio della scuola, e per il fatto che non si riaprisse per un nuovo lockdown, paura per gli studenti esposti a rischi "catastrofici", scenari apocalittici, interrogativi assurdi (i banchi con le ruote? le code per l'entrata? e se il bidello ha il virus? e i bagni? e l'orario? etc...). 
Dimenticando, forse, che i ragazzi sono più esposti al rischio di contagio quando vanno per i pub e le disco, strusciandosi l'un l'altro a farsi la movida senza controlli e senza... mascherine.
Giovani iperprotetti nelle famiglie, con i genitori pronti a scagliarsi contro l'insegnante di turno che abbia "osato" rimproverare o anche mettere un brutto voto al cocco-di-mamma. Come se la scarsa voglia di studiare o l'impreparazione fosse colpa dell'insegnante e non piuttosto della svogliatezza e della-voglia-di-far-niente del pargolo cresciutello, magari post-adolescente.
Giovani (non tutti per fortuna) scarsamente abituati ad essere responsabili delle proprie azioni e della propria educazione, a non fare sacrifici, ad avere tutto preparato e pronto, come un'app da scaricare. Salvo poi accorgersi che la vita, quella vera, è qualcosa di diverso. E richiede sacrifici, passione, pianto e sudore. Passo dopo passo. 
Se il coronavirus ha insegnato qualcosa, è che non c'è nulla di scontato. E che ogni conquista (fosse pure il tanto agognato vaccino) bisogna guadagnarsela. Anche ( e sopratutto) con il rispetto delle regole.
L'augurio (o la speranza, fate voi) all'inizio dell'anno scolastico è proprio che genitori, studenti, docenti si "contagino" a vicenda la voglia di crescere, di rispetto, di educarsi reciprocamente, di smettere di vedere la vita come una giostra folle, uno "sballo" insensato e ubriaco, ma come una casa che bisogna costruire insieme a partire dalle fondamenta. O, se preferite, per i più romantici, come un'avventura il cui finale non è affatto scontato. Da vivere "responsabilmente", come avverte certa pubblicità sugli alcolici.
Mi viene in mente  una frase che ho letto: "Se volete che la scuola diventi una seconda famiglia, allora dovete impegnarvi affinché la famiglia diventi la prima scuola"
Semplice, no?
Ma forse non è così scontato.
By Michele Barbera

giovedì 10 settembre 2020

QUANDO LA CULTURA CERCA LA VERITA’

 



Sera di fine estate. Questa pazza estate all’insegna del “coviddi” e della trasgressione, della movida sfrenata e dei contagi in risalita. Con le onde di risacca dei social che hanno trascinato via in alto mare ogni senso di paura e di remora per quell’inverno da incubo appena trascorso.
E che ancora oggi si nutre di sciocchezze, di chiacchiericci, di fuochi fatui dell’ignoranza. 
I social media diffondono e strombazzano ogni vuota eco di sensazionalismi dell’ultima ora. Frutto di brillanti “menti” scientifiche e presunte tali, di salotti televisivi e di interviste senza mascherina.
Travolto da questa marea invadente ed inutile di opinionisti “del grido internettiano”, tra un twitter ed un post, mi sono soffermato su una frase-pensiero di San Giovanni Paolo II, citata in un suo libro da Lou Marinoff, docente di filosofia e notevole saggista. 

“Molti sono coloro – afferma Giovanni Paolo II – che, 
procedendo alla cieca nella vita, 
giungono sull’orlo dell’abisso 
senza sapere dove stiano andando. 
A volte ciò accade perché coloro 
la cui vocazione è di dare espressione culturale 
al loro pensiero non hanno più di mira la verità, 
preferendo il rapido successo 
alla fatica di una paziente indagine 
volta ad individuare che cosa rende la vita 
degna di essere vissuta”. 

Dovremmo trarre le debite conseguenze da queste parole, perché indicano non solo ad ogni persona che si definisca “di cultura” ma a tutti i “comunicatori”, la strada maestra della ricerca – umile e paziente – della verità, senza rincorrere i selfie edulcorati, le sirene dei followers, i simulacri scandalistici o, peggio, illusioni date dagli abbagli di un falso successo. 
La cultura è, soprattutto, responsabilità. Sia nella ricerca, sia nei contenuti. 
Al di là di questo ci sono solo i quindici minuti di cieca e stupida celebrità che Umberto Eco riservava agli idioti informatizzati. E di questi ne abbiamo in sovrabbondanza. 
By Michele Barbera