mercoledì 29 marzo 2017

UNA DONNA SEPPELLIRA’ L’ISLAM ESTREMISTA, OVVERO LA RIVOLUZIONE PASSA DAL BURQA

Diciamocelo pure: è dura abbandonare certi stereotipi, come quello della donna debole e sottomessa. E quando non basta il pregiudizio, o qualche "acuta" prescrizione divina, allora si fa strada la violenza, bestiale e feroce, per ristabilire una supremazia fra sessi che non c’è mai stata realmente. O, se lo è stata, non è mai stata rassegnata. Le grandi rivoluzioni della storia dell’umanità sono sempre state contrassegnate, checché se ne dica, da grandi figure femminili.
Nell’Islam, la religione fondata da Maometto il 27 del mese di ramadan dell’anno 610 d.c., le donne hanno vissuto una condizione inferiore, dettata più dalla “interpretazione” del Corano che dalla lettera del Corano stesso. Lo scrittore e studioso del Corano Hamza Roberto Piccardo afferma che L’uomo e la donna sono due realtà complementari imprescindibili l’una dall’altra. Se così non fosse, Allah (gloria a Lui l’Altissimo) non avrebbe formato Eva dalla costola di Adamo, avrebbe fornito entrambi i generi di apparati riproduttivi completi ecc. Poi, però, si perde, affermando che, comunque, “l’uomo è superiore”. Punto. Diciamo piuttosto che l’uomo ha ammantato la sua supremazia adducendo anche le “illuminazioni” religiose a pretesto.
Ma ciò non ha impedito, nel mondo islamico, alle donne di conquistare gli spazi pubblici e la leadership che per secoli le è stata negata. E non sto parlando di Rawya Ateya, eletta nel 1957 al Parlamento dell'Egitto, prima parlamentare donna del mondo arabo o di Benazir Bhutto, primo ministro del Pakistan dal 1988 al 1990 e dal 1993 al 1996, né di Tansu Çiller, primo ministro della Turchia dal 1993 al 1996 o di Megawati Sukarnoputri, presidente dell'Indonesia dal 23 luglio 2001 al 20 ottobre 2004.
Sto parlando di una rivoluzione che parte dal basso, dalla donna comune che rivendica il suo ruolo e la sua libertà sia come individuo che nella conduzione della società.
Così come nel caso di Teegan, figlia 18enne dell’attentatore Khalid Masood che si è rifiutata di obbedire agli ordini del padre: convertirsi all'Islam e indossare il burqa. In polemica con il 52enne killer di Westminster, la ragazza si è presentata ad una serata per studenti con un abito scollato.
In questo semplice gesto sta una forza scatenante che da sola può sconfiggere realmente ogni estremismo radicale. Più degli eserciti. Più delle bombe. È la forza delle idee, del buon senso, dell’essere liberi e rispettare, al contempo, la libertà degli altri. E questo a dimostrazione, ancora una volta, che il futuro dell’Islam è sempre più donna. Brava Teegan!

By Michele Barbera

domenica 5 marzo 2017

LETTURE E RECENSIONI: LA VICENDA DI MONS. GIANDOMENICO FALCONI – PRELATO DI ACQUAVIVA E DI ALTAMURA di LUCIANO ROTOLO


La preziosa opera di ricerca storica di don Luciano Rotolo, confluita in quest’opera ha come significativo sottotitolo “Un Vescovo e  un patriota nella bufera dell’invasione piemontese”.
La storia la scrivono i vincitori, si sa, e non è dato conoscere un’eccezione a questa regola. Già l’Antica Roma aveva istituzionalizzato la damnatio memoriae, come pena riservata al traditore – vero o presunto – le cui gesta o la cui persona non meritasse neppure il ricordo, una condanna all’oblio che si traduceva nella distruzione fisica di tutto ciò che ricordasse o potesse costituire memoria del condannato.
Giandomenico Falconi divenne vescovo di Acquaviva e Altamura a furor di popolo nel 1848 e la sua nomina fu confermata prima dal Pontefice Pio IX e poi dallo stesso Re Ferdinando II. Il legame con il Pontefice e con il Sovrano di Casa Borbonica costituirono un saldo punto di riferimento per Falconi che si prodigò in modo eccezionale verso il popolo che lo aveva acclamato propria Guida spirituale. Ma non bastarono le opere di filantropia, una fervida attenzione per le esigenze del popolo, l’ortodossia spirituale e l’attaccamento al Pontefice  ed un vivido spirito di Patria, a salvarlo dalla epurazione che la conquista piemontese operò nei territori del Regno delle Sue Sicilie.
E non fu azione solitaria dell’ormai riconosciuta azione anticlericale del solito Garibaldi, strumento acconcio nelle mani di fini strateghi, quanto piuttosto una sistematica politica di destituzione e di delegittimazione delle gerarchie ecclesiastiche che potevano in qualche modo essere fedeli o al Re Ferdinando II o al Papa Pio IX, entrambi obiettivi della politica espansionistica che condusse alla invasione cruenta del Regno delle Due Sicilie e dello Stato Pontificio.
Come tanti altri Vescovi, Mons. Falconi fu costretto all’esilio coatto, ad abbandonare la Diocesi per cui poteva essere, e lo era, un punto di riferimento imprescindibile.
Nel volume di Luciano Rotolo una parte centrale ed originale riveste il testo della Lettera Pastorale, redatta da Mons. Falconi il Venerdì Santo del 1861, dalla sede dell’esilio e pubblicata dal periodico “L’Unità Cattolica” nello stesso anno in un supplemento al n.22. In questo documento storico eccezionale, recuperato di recente grazie alla ricerca di don Luciano Rotolo, il presule non esita a denunciare la minoranza facinorosa che lo ha perseguitato, volendo colpire in lui la sua azione pastorale, ma –altresì – sullo sfondo del complesso scenario storico, manifesta la sua aspirazione ad una profonda opera di pacificazione sociale, improntata alla vera libertà: “…non è libertà quella che mena a sfogare gli odi, le vendette ed i rancori. …”, la vera libertà sta “…nel far trionfare la ragione, il diritto, la giustizia…”, concludendo in un afflato mistico che “Ubi Spiritus Domini, ibi libertas”.
Luciano Rotolo riporta l’interrogativo di Nunzio Mastrorocco, storico pugliese, il quale chiede in una sua ricerca, ancora influenzata dai pregiudizi ufficiali, se “potrebbe essere stato il Falconi un grande Prelato, malgrado tutto quello che si è scritto di lui in funzione di un eccessivo liberismo e cieco anticlericalismo che caratterizzava quel momento storico?»
A questa domanda l’opera del sacerdote Luciano Rotolo risponde senza sì e senza ma, con dovizia di argomentazioni storiche e di reperti inconfutabili: Mons. Falconi, ed assieme a lui, tanti altri, fu “vittima simbolica”, colpito nella sua innocenza solo per essere stato fedele al suo popolo, al suo Re e, soprattutto, al suo Papa, travolto dalla “bufera” dell’invasione piemontese.
By Michele Barbera