sabato 12 ottobre 2019

MILANO NERA WEB PRESS E NEROBRAND: IL RACCONTO "IN PUNTO DI MORTE" VINCITORE DEL CONCORSO





Ripropongo, su gentile richiesta di qualche "vecchio" mio lettore, il racconto vincitore del concorso "NEROBRAND" di MilanoNera WebPress. Il tutto con l'introduzione della Redazione di MilanoNera.

Michele Barbera, con il racconto In punto di morte, è il vincitore del primo concorso gratuito NeroBrand per spy story e Legal Thriller. La competizione, organizzata da ILoveFranchising in collaborazione con il magazine MilanoNera, ha goduto della partecipazione di oltre 200 scrittori, rendendo la selezione una sfida davvero ardua per la qualità dei testi in gara.
Ogni concorrente poteva partecipare con una sola opera al limite di tre cartelle dattiloscritte e il vincitore, scelto da una giuria redazionale e dallo scrittore Paolo Roversi, ha saputo organizzare un trama avvincente, condita d’ironia, all’interno di un intrigante racconto epistolare.
L’opera vincitrice è stata pubblicata sull’ultimo numero di IloveFranchising, free-press diffuso in 20.000 copie in occasione del RomeExpo, la fiera del franchising di Roma.

In punto di morte
Caro Giorgio,
Non immaginavo finisse così. Ho rifiutato l’ultimo ciclo di chemio. Sono stufo. I tre interventi chirurgici e non-so-quante flebo di pastrocchi chimici sono stati inutili. Sento che la linea del traguardo è vicina. Pericolosamente vicina. Voglio essere sveglio quando succederà, senza essere intontito da intrugli buoni solo per guerre batteriologiche. Sto qua pieno di tubi e cateteri, inchiodato a questo letto assurdo da trecento euro al giorno. Aspetto la fine. Con gli occhi aperti. Con il dolore che mi corrode da dentro. Ed a tentare di capire se tutto questo ha un senso. Stamattina ho parlato con un prete. Sì, proprio così, uno di quelli veri. Col collare e tutto. Lo sai, li ho sempre considerati come dei pedofili e sparaballe. Non ho mai creduto a quelle storielle sull’aldilà, il peccato e tutto. Ma con lui ho trovato la forza o, forse, una ragione per scriverti questa lettera. Ho preso le mie precauzioni. L’ho consegnata ad un notaio (sono attrezzati di tutto in questa merdosa Clinica per malati terminali). Non la riceverai prima che io faccia il grande salto. A quel punto non mi importerà più di niente. La metastasi mi avrà divorato e digerito.

So cosa ti ha roso il cervello negli ultimi quindici anni. La morte di tuo padre.
L’ho letto nei tuoi occhi quando da laureato sei entrato nel mio studio legale per la pratica. L’ho capito dall’avidità con cui hai rovistato i fascicoli in archivio per cercare il processo. Per studiarlo. Io sorridevo: sapevo che non avresti trovato nulla di interessante in quelle carte.

Ricordo ancora i titoli dei giornali all’indomani del fatto: UCCISO FACOLTOSO INGEGNERE. SOSPETTATA LA MOGLIE. Tua madre rischiava l’ergastoloUn rospo incredibilmente duro da ingoiare per un vispo ragazzetto di quindici anni, rampollo di uno dei casati più blasonati della buona borghesia milanese.

Lo ammetto: non è stato facile difenderla. E farla assolvere. Ci sono riuscito contro ogni naturale previsione. Ma a te è rimasto il dubbio sulla sua innocenza. Ti capisco. Sappilo: quando è successo il fatto tua madre era sconvolta. A quel punto, il mio intervento è stato provvidenziale. L’ho strappata alla scena del delitto e l’ho spedita con la macchina al più vicino centro commerciale: doveva spendere in diversi negozi e pagare con la carta di credito, facendosi notare il più possibile. Un alibi le sarebbe stato utile. Ho atteso un po’ dopo che lei se n’era andata. Poi ho alzato la cornetta del telefono dello studio di tuo padre (con un fazzoletto, per non lasciare impronte). Ho composto il numero di casa mia. Vantaggi di abitare da solo. Nessuno avrebbe risposto. Dopo tre squilli a vuoto si è inserito automaticamente il fax. Ho lasciato che l’odioso squittio riempisse la cornetta. Dai tabulati sarebbe risultato che l’ingegner Luigi Ambrosio aveva fatto l’ultima telefonata della sua vita al caro amico, l’avvocato Federico Gianguerri, e che si era intrattenuto amabilmente con lui per almeno dieci minuti. Mentre tua madre era a fare shopping.

Il fatto fu denunciato da tua madre al suo rientro, dopo cinque ore. Riferì con orrore che il marito era stato ucciso con un qualcosa (mai trovato) che gli aveva fracassato la tempia destra.
La Procura sospettò  subito di lei. Una giovane vedova che, forse, non aveva mai amato suo marito. E non solo per i vent’anni di età che li separavano. Si disse  che solo lei avrebbe potuto commettere il delitto: non vi erano segni di effrazione, tuo padre non aveva nemici e spuntarono fuori le liti e la recente minaccia di divorzio dell’ingegnere, stanco dei capricci della sua sposa bambina.
Il confronto tra l’ora del decesso, il tabulato telefonico e l’ora degli scontrini della carta di credito cancellò, però, i dubbi alla Corte di Assise. L’assoluzione fu pienamente meritata. Con tante scuse da parte della Procura.

Durante il processo non mancarono le difficoltà.
Potevamo mai immaginare che quel pidocchioso di José, il giardiniere sudamericano, avesse visto tua madre uscire subito dopo l’omicidio?
Il bastardo mi aveva pure osservato attraverso la vetrata dello studio mentre facevo la telefonata fantasma. Si servì di me per ricattare tua madre. Dovetti sborsare oltre cento milioni di lire per tacitarlo. Non bastarono. José voleva di più. Voleva tua madre, possederla fisicamente. Era impazzito, le sbavava dietro. Per me e tua madre il ricatto divenne insopportabile. Pianificammo tutto con calma. José morì durante il suo primo e ultimo appuntamento d’amore. Durante l’illusione del cedimento di quella che lui chiamava la Señora, si accasciò sul letto matrimoniale, ubriaco e avvelenato. Il corpo lo seppellimmo nel giardino sul retro della villa. Per quanto ne so è ancora là. Nessuno è mai venuto a chiedere di lui.
So quanto è stato difficile in questi anni crescere orfano e convivere con un sospetto terribile. Per quanto possibile, ti sono stato vicino.
Ma quello che stai leggendo non deve cambiare la tua opinione su tua madre.
Lei è veramente innocente per l’omicidio di tuo padre.
Ad ucciderlo sono stato io.

Era rientrato all'improvviso e ci aveva scoperti mentre facevamo l’amore. Una scena terribile. Minacciò di chiamare la polizia. Di fare scandalo. Dovetti inseguirlo semi nudo per tentare di persuaderlo.  Non ci sono riuscito…

Buona Lettura!
By Michele Barbera 

martedì 8 ottobre 2019

COME PIANGEREBBERO GLI ANGELI... DONNE E POESIA DI RENE' DEPESTRE




Una bellissima poesia sulle donne di René Depestre, poeta haitiano, esule a Cuba. Un artista poco conosciuto in Italia. 
René Depestre è stato definito dalla critica, il poeta del meraviglioso incarnato, di un'infanzia del cuore, capace di mostrarci attraverso la poesia la possibilità di avvicinarci, con i sentimenti, alla reciproca fraternità. 


Come piangerebbero gli angeli,
se la donna non esistesse.
Come avrebbero freddo gli alberi,
come avrebbe paura della mano dell’uomo,
il pane di primo mattino
ed il mare delle proprie onde,
se la donna non esistesse.
Come sarebbero soli i camini,
come piangerebbero gli angeli
nelle notti di pioggia,
come invecchierebbero presto gli dei
se la donna non esistesse.
II cielo sarebbe sempre corrucciato,
le api non avrebbero scoperto
iI miele, né l’uomo l’aratro,
né l’Indio la sua America,
né il cuore la poesia,
né le rondini la primavera,
né i popoli avrebbero trovato
iI loro orientamento nella rivoluzione,
se la donna non esistesse.
La vita sarebbe senza leggende,
senza sale, senza porte, senza bussola.
II giorno e la notte dormirebbero
sulla stessa sabbia fredda,
ed i galli invece di cantare
e gli alberi invece di fiorire
ed i poeti invece di amare
passerebbero il tempo a disegnare
piccole croci sui muri
sui letti, sui quadri
e le strade senza fine del mondo!

(René Depestre [Jacmel, Haiti, 1926- ed esule a Cuba],  da Poeta a Cuba, Edizioni Accademia, Milano, 1973 [a cura di Ugo Salati])