mercoledì 21 marzo 2012

AAA: TRIBUNALE SVENDESI ovvero CONTRO LA ROTTAMAZIONE DELLA GIUSTIZIA IN SICILIA


Da secoli la Sicilia è vista come terra di assurde contraddizioni: non per nulla, fra l’altro, ha dato i natali a Luigi Pirandello, figlio del Caos, che in tema di paradossi non è secondo a nessuno.
Io me la sono sempre raffigurata e somigliante ad una di quelle bellissime e splendide donne mediterranee, passionali, sensuali, con spiccatissime e procaci doti fisiche, ma – ahilei – provata dalle difficoltà di una vita di stenti e di patimenti. Il sentimento naturale, l’afflato ancestrale cede, così, all’arido quotidianismo, al deserto del bisogno materiale, allo sfruttamento.
La Sicilia è terra di mafia, di delinquenza, di lotte intestine fra forme di potere più o meno occulte che giostrano sugli equilibri politici, sociali ed economici. E’ un sistema complesso, di logiche profonde e non sempre facili da comprendere.
C’è innegabilmente, una spinta autogena all’isolazionismo, all’esaltazione dell’autonomia autarchica, al secessionismo che in Sicilia ha radici ben più profonde e, se vogliamo, più autentiche rispetto all’interessato e speculativo autonomismo della Lega Nord.
Bossi e compagni dovrebbero venire a lezione, in questo senso, da noi siciliani (o forse a lezione c’è già stato se, come mi dicono, la moglie è di origini siciliane).
Mi si dirà cosa centri questo con il titolo roboante della “rottamazione” della giustizia in Sicilia.
Facile.
Uomini come Giorgio Sidney Sonnino, Leopoldo Fianchetti, Cesare Mori, e, più di recente, il generale Dalla Chiesa, i carabinieri come il maresciallo Giuliano Guazzelli, i poliziotti come Ninni Cassarà, i giudici Costa, Terranova, Falcone, Borsellino, Livatino e tutti gli altri martiri della mafia hanno compreso che in Sicilia lo Stato Italiano è un ospite incomodo, un “occupante”, al pari dei Greci, dei Romani, degli Arabi, dei Borboni, dei Francesi, etcc…  
Il popolo siciliano non soffre la “questione meridionale”. La vive. Anzi, ci convive. Ha difficoltà di adattamento con chi proviene fuori dall’Isola, con i “continentali” visti come “predatori”.
E’ un virus atavico, lento a morire e difficile da distruggersi.
A 150 anni dalla proclamazione dell’Unità d’Italia, l’integrazione è tutt’altro che compiuta.
“Fatta l’Italia, ora dobbiamo fare gli Italiani” non è soltanto uno slogan di demagogismo storico.
E’ un processo che ancora oggi non si è concluso. E non bastano i proclami del nostro amato Presidente Napolitano.
Ma lo Stato Italiano è presente. Deve essere presente. Con le sue Istituzioni. Nel territorio. Soprattutto nei gangli vitali del territorio soggette a lacerazioni sociali che hanno la loro storia.
Non è un fattore di burocrazia. Ma di presidio.
Più lo Stato si allontana, maggiore è lo spazio che lascia ai virus endemici che minano la solidità della convivenza.
Scuole, ospedali, tribunali, caserme, non sono “postifici” a perdere. Non sono numeri fini a se stessi. Sono risorse che investono nel futuro della Nazione e nel suo benessere.
Volete un po’ di numeri?
Li traggo da una bellissima e significativa lettera del governatore Raffaele Lombardo ed indirizzata al ministro Severino.
Numeri drammatici, che non bisognano di alcun commento.
La cosiddetta “riforma” della giustizia, basata su squisitissimi numeri astratti ed inutili, e su indegne statistiche stabilisce per la Sicilia:
- la soppressione di UNDICI Tribunali sull’attuale numero di VENTI;
- la soppressione di VENTOTTO SEZIONI DISTACCATE di Tribunale;
- la soppressione di CENTOUNO su CENTOUNDICI Uffici del Giudice di Pace!
VERGOGNA! (questo lo aggiungo io, non c’è nella lettera di Lombardo)
Speriamo, verrebbe da dire ironicamente, che la rottamazione della Giustizia in Sicilia salvi lo Stato Italiano dalla bancarotta!
Ma sappiamo tutti che non è così. Che non sarà così.
Quando i signori Governanti (e lo dico in senso dispregiativo perché questo si meritano!) capiranno che su Scuole, Ospedali e Giustizia i numeri non possono essere collegati al profitto?
Risparmiate sui costi di una casta bastarda e corrotta che ha divorato come un verme solitario il paese dal suo interno. Esiliate e revocate la cittadinanza italiana a quelli che si sono arricchiti con le tangenti, che vivono da parassiti sul lavoro degli italiani, sui delinquenti che, senza fare nulla, godono a sbafo di trattamenti privilegiati, annidati come serpenti nelle pieghe del finto "servizio pubblico" e nelle alte istituzioni del Paese.
Confiscate i loro patrimoni, frutto di spartizioni politiche e di abusi clientelari.
Ma non togliete i servizi essenziali alle zone più a rischio del Paese.
Ciò comporta il serio rischio di aumentare il senso di sfiducia nelle istituzioni, l’esplosione di illegalità, il senso di impunità dei criminali, la forza dei poteri occulti.
Una giustizia lontana non esiste: lo sapevano i Romani che per governare l’Impero sin nei suoi profondi recessi mandavano il praetor peregrinus di villaggio in villaggio ad amministrare la giustizia.
Che senso hanno le leggi se nessuno le fa rispettare?
Il disimpegno delle istituzioni giudiziarie nel territorio non è solo un’offesa ai martiri della Nazione Italiana e di quelli della Giustizia, ma soprattutto è la resa dello Stato. Senza condizioni.
By M.