Un giudice anonimo, sconosciuto
alla ribalta mediatica, che svolgeva in silenzio ogni giorno il suo difficile
compito di tutore della legalità in una terra bagnata dal sangue di tanti
innocenti, vittime della violenza luciferina della mafia. Eppure, oggi, a trent’anni
dalla sua morte, il suo ricordo è vivo, la sua memoria integra, la voglia di
conoscerlo tanta.
“Nessuno è luce a se stesso”, il titolo che ho voluto dare a questo saggio, una ricerca pluridisciplinare sugli eventi e sulle dinamiche che condussero alla morte del “giudice ragazzino”, non è solo una frase ad effetto, ma un programma di vita.
L’ho mutuata dal testo di una conferenza che Rosario Livatino tenne nella sua città, Canicattì. Ritengo che in questa frase sia celata la chiave dell’anima di Rosario Livatino, la sua cifra esistenziale. L’alchimia di sentimenti e fede, l’amore per la giustizia e per il prossimo, la testimonianza silenziosa e prorompente della sua figura, sono racchiuse nell’infinito sentire di questa breve espressione.
Ancora più che nell’acronimo “S.T.D.”, Sub Tutela Dei, con cui Rosario Livatino amava contraddistinguere i propri scritti intimi, le sue agende, come quella che hanno trovato accanto al corpo il giorno del suo omicidio.
O, meglio, martirio.
Proprio da lì, da quando tutto è finito o, forse, da quando tutto è iniziato, trae le mosse il mio desiderio di conoscere questo straordinario figlio di una terra tanto aspra quanto generosa.
In quell’assolata campagna dell’entroterra siciliano, in quelle contrade care a Sciascia e Pirandello, metafora di una dimensione dello spirito, lì, dove si è compiuto il martirio di Rosario Livatino.
Un martirio profeticamente annunciato da San Giovanni Paolo II, un martirio la cui considerazione ha avuto una costante progressione ed una conclamata adesione della Chiesa agrigentina nel processo diocesano, aperto dal Cardinale Montenegro, e condotto da don Giuseppe Livatino, cugino del Giudice e postulatore della causa, per elevare Rosario Livatino agli onori degli altari.
La dedizione di Rosario Livatino al proprio lavoro, visto come occasione di santificazione e “di dedizione di sé a Dio”, accosta la sua figura ad una concezione moderna e viva di santità universale, una santità che vuole rendere testimonianza eccelsa alla fede anche nell’adempimento eroico del proprio dovere quotidiano, sino all’estremo. Il martire non fugge dalla morte ma dal peccato.
“Nessuno è luce a se stesso”, il titolo che ho voluto dare a questo saggio, una ricerca pluridisciplinare sugli eventi e sulle dinamiche che condussero alla morte del “giudice ragazzino”, non è solo una frase ad effetto, ma un programma di vita.
L’ho mutuata dal testo di una conferenza che Rosario Livatino tenne nella sua città, Canicattì. Ritengo che in questa frase sia celata la chiave dell’anima di Rosario Livatino, la sua cifra esistenziale. L’alchimia di sentimenti e fede, l’amore per la giustizia e per il prossimo, la testimonianza silenziosa e prorompente della sua figura, sono racchiuse nell’infinito sentire di questa breve espressione.
Ancora più che nell’acronimo “S.T.D.”, Sub Tutela Dei, con cui Rosario Livatino amava contraddistinguere i propri scritti intimi, le sue agende, come quella che hanno trovato accanto al corpo il giorno del suo omicidio.
O, meglio, martirio.
Proprio da lì, da quando tutto è finito o, forse, da quando tutto è iniziato, trae le mosse il mio desiderio di conoscere questo straordinario figlio di una terra tanto aspra quanto generosa.
In quell’assolata campagna dell’entroterra siciliano, in quelle contrade care a Sciascia e Pirandello, metafora di una dimensione dello spirito, lì, dove si è compiuto il martirio di Rosario Livatino.
Un martirio profeticamente annunciato da San Giovanni Paolo II, un martirio la cui considerazione ha avuto una costante progressione ed una conclamata adesione della Chiesa agrigentina nel processo diocesano, aperto dal Cardinale Montenegro, e condotto da don Giuseppe Livatino, cugino del Giudice e postulatore della causa, per elevare Rosario Livatino agli onori degli altari.
La dedizione di Rosario Livatino al proprio lavoro, visto come occasione di santificazione e “di dedizione di sé a Dio”, accosta la sua figura ad una concezione moderna e viva di santità universale, una santità che vuole rendere testimonianza eccelsa alla fede anche nell’adempimento eroico del proprio dovere quotidiano, sino all’estremo. Il martire non fugge dalla morte ma dal peccato.
Nella distorsione eretica della mafia, dove i simboli religiosi sono profanati ed offesi da intenzioni e cerimonie blasfeme, la purezza del pensiero di Rosario Livatino, la sua costante testimonianza, prodiga di attenzione e carità di fede verso coloro che era chiamato a giudicare, erano avversari temibili e odiosi.
Un odio che ha acceso una ritorsione crudele, feroce, demoniaca.
L’analisi di quanto accaduto il ventuno settembre di trent’anni fa, senza trascurare i riferimenti criminologici all’ “effetto Lucifero”, nel saggio apre la riflessione sul concetto di “martirio” e dell’”odium fidei”, un luogo teologico, che caratterizza la testimonianza suprema del credente, la sua costanza nella fede, pur nelle avversità del cammino terreno.
Dagli emblematici casi dei primi martiri della fede sino all’epoca contemporanea, già a partire da Pio XII con l’esempio di Maria Goretti, la difesa dei valori della fede, e, dunque il martirio, ha assunto vesti teologiche più ampie. Che vanno, necessariamente, a ricomprendere tutti quei casi in cui il martire è stato ucciso in quanto testimone vero e coerente del suo credo e di tutto ciò che la fede in Dio significa e che si esprime anche nei valori di giustizia, della carità e dell’amore verso il prossimo in quanto “immagine di Dio”, come ha affermato proprio Rosario Livatino. Egli “ha sovvertito il ruolo del giudice abbracciando la coscienza del prossimo e rendendo la giustizia umana, espressione di amore e verità. Sotto la tutela dello sguardo divino.”
Ora, non mi resta che augurarVi Buona Lettura, nel ricordo della testimonianza
di Rosario Livatino che affido al Vostro cuore, oltre che alla Vostra
riflessione, per accompagnarlo nel cammino comune di santità.
By Michele Barbera
L’analisi di quanto accaduto il ventuno settembre di trent’anni fa, senza trascurare i riferimenti criminologici all’ “effetto Lucifero”, nel saggio apre la riflessione sul concetto di “martirio” e dell’”odium fidei”, un luogo teologico, che caratterizza la testimonianza suprema del credente, la sua costanza nella fede, pur nelle avversità del cammino terreno.
Dagli emblematici casi dei primi martiri della fede sino all’epoca contemporanea, già a partire da Pio XII con l’esempio di Maria Goretti, la difesa dei valori della fede, e, dunque il martirio, ha assunto vesti teologiche più ampie. Che vanno, necessariamente, a ricomprendere tutti quei casi in cui il martire è stato ucciso in quanto testimone vero e coerente del suo credo e di tutto ciò che la fede in Dio significa e che si esprime anche nei valori di giustizia, della carità e dell’amore verso il prossimo in quanto “immagine di Dio”, come ha affermato proprio Rosario Livatino. Egli “ha sovvertito il ruolo del giudice abbracciando la coscienza del prossimo e rendendo la giustizia umana, espressione di amore e verità. Sotto la tutela dello sguardo divino.”
By Michele Barbera
Bellissimo articolo! Complimenti Michele. Non vedo l'ora di leggere il saggio. Gianfranco
RispondiEliminaMi ha colpito l'interdisciplinarietà del tuo saggio. Non conoscevo la figura di Livatino ed ho colto l'occasione di approfondirne l'animo religioso, ma anche l'altissimo valore professionale. GRazie, Michele per l'opportunità e complimenti a te. Valeria Riccobene
RispondiEliminaComplimenti, avvocato per il libro. Alessandro
RispondiEliminaHo appena finito di leggerlo. Sono rimasto veramente colpito da questa figura di magistrato. Magari fossero tutti così... Bravo avvocato per la profondità della tua ricerca, Saluti cordiali Filippo C.
RispondiEliminaAvvocato, veramente bravo! Hai trattato gli argomenti in modo analitico ed originale. Un libro che ha conoscere a fondo i meccanismi del martirio tramite la vicenda processuale. complimenti, Sergio
RispondiEliminaHo finito di leggerlo poco fa. Veramente impressionante la figura di Livatino. Non conoscevo tanti aspetti della sua vita. Bravo Michele, Rosaria
RispondiEliminaBravo Michele! Mi ha colpito che le motivazioni del tuo saggio hanno anticipato le conclusioni della Congregazione delle Cause dei Santi. Un libro veramente ispirato, complimenti, Lodovico Torrasi
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