lunedì 22 gennaio 2018

IL MASSACRO DEI ROHINGYA: ED IL MONDO STA A GUARDARE


A chi può interessare se l'esercito del Myanmar dal mese di agosto scorso sta effettuando una pulizia etnica contro il popolo Rohingya? Siamo tutti intenti a commemorare stragi ed olocausti del secolo scorso, ma quasi storciamo il muso di fronte ai genocidi che si consumano sotto i nostri occhi. Non c'è spiegazione per quello che sta succedendo ai confini del Bangladesh, sotto un regime che chiude gli occhi persino ai giornalisti. Dall'agosto 2017 quando l'esercito e la polizia birmana hanno cominciato a sterminare l'etnia Rohingya quasi 700.000 persone (ma le statistiche sono in difetto) sono fuggite dalle loro case incendiate e dai villaggi distrutti. Quanti sono morti? La cifra ufficiale si aggira attorno a 10.000 persone, ma anche qui le statistiche sono del tutto approssimative. I numeri raccolti da alcune organizzazioni stimano i morti attorno ad una cifra (approssimata sempre per difetto) di oltre 15.000 persone in meno di sei mesi.
La realtà è che tutto ciò sta avvenendo sotto silenzio dei grandi Paesi e delle organizzazioni internazionali, mentre il Bangladesh, saturo da questa invasione di disperati, sta attuando misure di contenimento che significano - sostanzialmente - altri morti per denutrizione e sfinimento nei campi profughi affollati sino all'esasperazione. 
Il bello è che al governo del Myanmar c'è persino un Premio Nobel per la pace: Aung San Suu Kyi e non sono poche le organizzazioni non governative che hanno richiesto la revoca del Nobel, visto il silenzio e l'inerzia nei confronti del genocidio in atto, del tutto negato dal governo 
I Rohingya sono stati cacciati dalle loro terre e costretti ad una diaspora nei paesi vicini e sopratutto in Bangladesh, diviso dalla Birmania da un braccio di mare che diventa occasione per ulteriori morti fra coloro che stanno fuggendo verso la salvezza. 
Per di più, e questo dovrebbe interessare maggiormente l'Occidente, all'interno dei campi profughi in Bangladesh si sta sviluppando una pericolosa forma di proselitismo in favore di alcuni gruppi terroristici che fanno capo alla guerriglia pakistana ed a gruppi di lotta dell'estremismo musulmano. Un rigoroso intervento umanitario a favore dei profughi eviterebbe anche che tali forme di estremismo attecchissero in un popolo ormai preda della disperazione. Secondo un'inchiesta de L'Espresso, ci sono Rohingya che combattono ormai in Kashmir a fianco della Jaish-i-Mohammed e della Lashkar-i-Toiba, e ci sono cellule composte ormai esclusivamente di militanti Rohingya.
Qui non ci sono trafficanti di essere umani, o terroristi, ma solo un popolo che vuole scampare ad una strage di stato, causata solo da motivi etnici e l'unica forma di riscatto che intravede è la lotta terroristica. 
La violenza genererà solo altra violenza e disperazione.
E l'ONU?  E le Organizzazioni Internazionali? Quando si decideranno ad intervenire? 
By Michele Barbera 


lunedì 15 gennaio 2018

TERREMOTO VALLE DEL BELICE DOPO 50 ANNI: C'E' ANCORA CHI ASPETTA...


Se dopo 50 anni gli amministratori del Belice sono costretti ancora ad appellarsi allo Stato per avere fondi mentre in Friuli è da tempo chiusa la ricostruzione post-terremoto - dice Musumeci - significa che qui l'intervento pubblico ha parzialmente fallito"
La citazione l'ho presa da Repubblica, ma è la verità ed è il triste bilancio di 50 anni di oscurantismo burocratico che ha frenato la ricostruzione nella Valle del Belice. Non è vero che nel Belice sono stati spesi pro capite più soldi che altrove, contro la catastrofe naturale del terremoto. Semmai è vero che le risorse sono state assegnate come un "peso" che il bilancio dello Stato elargiva come una sorta di munificente remunerazione. Insomma, una sorta di pretium doloris di cui l'Italia beneficava una zona distrutta dal sisma. 
Dopo 50 anni cosa ci si domanda cosa è cambiato. 
Nulla, se non la permanenza di un tessuto cicatriziale socio-economico duro a guarire: il sisma è ancora una ferita aperta nella storia di questa terra. Non bastano le solenni cerimonie e le visite in pompa magna. Se veramente si vuole chiudere la ricostruzione del Belice occorre effettuare una ricognizione seria dei danni che ancora lacerano la geografia del territorio, degli immobili abbandonati ed insicuri che dopo 50 anni si reggono in piedi solo per miracolo. E, sopratutto, si devono dare le risorse pro capite che altre zone del territorio italiano hanno avuto e che hanno consentito di vivere il sisma come una parentesi dolorosa ma breve. 
Non si facciano inutili appelli alla prevenzione e protezione del territorio. Inutili perché nonostante le catastrofi, l'instabilità geologica di cui è geneticamente e strutturalmente affetto il nostro Paese, ancora qualcuno fa finta di niente... e non solo a livello locale, ma anche in quelle centralità che dovrebbero pianificare un'azione attenta di tutela del paesaggio e del territorio, di modo da non stracciarsi le vesti con la loro impotenza all'indomani di ogni scossa sismica che scuote il nostro Paese. 
Ma il futuro dell'Italia non è questo, non è l'immobilità burocratica, l'inerzia politica, ma l'azione amministrativa viva ed efficace. 
Questa è la risposta che le popolazioni del Belice, ancora dopo 50 anni, attendono dalle Istituzioni.
By Michele Barbera