lunedì 7 maggio 2012

DAL “FINCHE’ LA BARCA VA” DI BERLUSCONI AL “SI SALVI CHI PUO’” DI MONTI: STORIA DI UN FINTO BOOM E DI UNA CRISI FORZATA




La domanda me l’ha posta con la consueta e garbata perspicacia via e-mail Francesca, una studentessa di economia: perché con Berlusconi la gente non si lamentava della crisi?
Risposta facile, ma di una enorme complessità interna: la politica economica di Berlusconi teneva alta la domanda ed incentivava i consumi. In una parola, l’economica tirava, ma i numeri  positivi erano solo quelli dei consumi interni, drogati dalla euforia consumistica.
Non c’erano nuove industrie o nuovi posti di lavoro. Il mercato occupazionale offriva sbocchi solo nel “terziario avventizio”: posti di lavoro precari legati allo sviluppo consumistico.
La spesa pubblica immetteva nel circuito macroeconomico stipendi, pensioni e contributi che a loro volta facevano crescere il fabbisogno pubblico, rimpinguato indirettamente dalle imposte sui consumi e più generosamente dal debito pubblico.
Quando i conti pubblici sballavano un po’ troppo ecco lo “scudo” fiscale o il “condono” di turno a immettere denaro fresco nelle dissanguate finanze statali.  
Insomma, l’economia era drogata da un surplus di consumi non supportato da una politica economica “reale”, cioè da una crescita vera.
Per il berlusconismo imperante la parola “crisi” era tabù e chi la pronunciava era tacciato di disfattismo (un po’ come nel Ventennio, ai tempi di “lui”…)
Questo ovviamente non risolveva la crisi, ma la mascherava bene, probabilmente perché si credeva che a lungo andare la crescita della domanda potesse innescare il meccanismo virtuoso dello “sviluppo reale”.
Così non è stato. Amen.
Poi è venuto Monti.
Con Monti l’asse della politica economica si è spostato al monetarismo puro: il punto opposto!
Con il governo Monti la priorità è stata quella di rinsaldare le casse statali a qualsiasi costo. Monti è partito da due evidenti obiettivi principali: rastrellare moneta fiscale aumentando l’imposizione e vuotando le sacche della elusione e della evasione fiscale e dall’altro rafforzare l’immagine finanziaria dell’Italia per evitare che l’eccesso di consumi e di spesa degradasse il Paese ad una seconda Grecia dell’area euro.
La drastica cura di Monti se ha stabilizzato i conti governativi ha avuto effetti collaterali devastanti: il Paese (gli italiani) hanno avvertito di botto il peso di una crisi economica in tutta la sua negatività.
Risultato: la pressione fiscale portata all’esasperazione ha mandato in tilt i circuiti microeconomici: quelli cioè legati all’attività di ogni singola impresa o famiglia. Di colpo gli italiani si sono ritrovati più poveri e costretti a fare fronte con una ipertensione fiscale implacabile.
Le imprese, alle prese con costi fiscali improvvisi, hanno dovuto chiudere i battenti. I lavoratori precari sono stati licenziati. C’è stata una contrazione dei consumi a due cifre nel giro di qualche mese. Con il crollo dei consumi si è innescato il meccanismo della stagflazione: produrre costa di più, i beni finali costano di più, ma paradossalmente l’economia non tira ed anzi i posti di lavoro diminuiscono e la povertà guadagna terreno.
Più crisi di così.
Però in compenso i conti dell’Italia vanno bene. Almeno per il momento.
Infatti, a lungo andare il gettito fiscale che proviene dai redditi avrà una notevolissima riduzione perché i redditi totali diminuiranno.
Ma il governo Monti ha pensato anche a questo.
Con l’IMU.
Si tassano gli immobili, cioè il patrimonio inamovibile perché le tasse del reddito sono insufficienti.
Risultato: la crisi si aggraverà ancora di più e da economica diventerà prima politica e poi sociale.
Rimedi?
Ci sono. E Monti li conosce bene. La vera ripresa economica  è legata ad un allentamento della morsa fiscale, all’agevolazione fiscale delle nuove iniziative, alla ripresa dei consumi con politiche incentivanti.
Se la domanda cresce, cresce la produzione di beni e servizi collegati alla domanda stessa. E cresce pure la voglia di fare e di produrre. Crescono i redditi e si ritorna ad investire.
In medio stat virtus: tra l’allegria consumistica e il rigorismo monetaristico sta il circuito virtuoso dell’operosità economica in cui la produzione sopporta un adeguato carico fiscale ed è incentivata a crescere dalla ripresa della domanda. Questa è l’unica ricetta per uscire dalla crisi.
Ecco perché Draghi diversi guru dell’economia stanno facendo pressione su Monti perché allenti la morsa e consenta la riattivazione dei microcircuiti economici.
Secondo alcuni studi, siamo già al punto di non ritorno.
L’IMU potrebbe essere il colpo di grazia.
E non basta una manciata di punti di spread a farci sperare per il futuro.
Se Monti non vuole cambiare politica, allora è meglio che la politica cambi Monti.
Altrimenti lo faranno gli Italiani.
By M.

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