lunedì 21 luglio 2025

MENFI: RISORSE IDRICHE E TUTELA DELL'ACQUA PUBBLICA

 

Avrei voluto partecipare e con interesse al Consiglio comunale scorso sulla gestione pubblica dell'acqua e sulla necessità di costituire la "Consulta idrica" cittadina da tempo ostacolata ingiustamente da posizioni miopi e politicamente avventate. 
Avrei voluto porre a tutti i Consiglieri i seguenti semplici quesiti: 
1. Avete idea delle risorse idriche di Menfi e che fine fanno?
2. Avete idea delle politiche di Siciliacque per le suddette risorse?
3. Avete idea delle politiche della Regione Siciliana sulle risorse idriche?
Non voglio risposte avventate, ma invito tutti ad una riflessione. Seria.
I tanti decantati Pozzi in C.da Feudotto ( meno male che ci sono) sono stati scavati ai margini del c.d. Bacino Menfi-Capo S. Marco, una complessa rete idrografica che comprende la zona del Magaggiaro, il Comune di Montevago e si estende sino a lambire la frazione di S. Anna e il territorio saccense sino a Capo San Marco. 
Il complesso, negli atti del Piano regionale di Tutela delle Acque, viene definito una "risorse rilevante e strategica", anche se ha una contraddittoria valutazione dal punto di vista chimico (buona) e ambientale (scadente). 
In un documento del 2024, Siciliacque afferma testualmente:  Dai pozzi Feudotto di Menfi, profondi 250 metri, si ricavano 40 litri al secondo che alimentano l’acquedotto Garcia. 
In un anno Siciliacque preleva circa un miliardo e mezzo di litri (pari a un milione e mezzo di metri cubi) dai pozzi di Menfi per un acquedotto che serve tre province. Ammesso e non concesso che le dichiarazioni di Siciliacque siano veritiere. 
Ancora, l'acqua dei pozzi di Menfi finisce nell'acquedotto Garcia che, secondo le politiche scellerate di Siciliacque, rilevata da un documento del 25 febbraio 2025, aumenterà la portata dagli attuali 450 litri al secondo a 760 litri al secondo. 
Va da sé che a Siciliacque poco interessa il Comune di Menfi e la sua rete idrica e tantomeno i bisogni dei menfitani. Quel che conta sono i pozzi. Poco importa se periodicamente i tubi di prelievo dei pozzi devono essere abbassati di quota stante l'esaurimento della falda. Sempre più giù...
La guerra che ha fatto Siciliacque a chi si è opposto alla costruzione dell'acquedotto che dall'invaso Garcia porta in provincia di Trapani (100 ml. di euro) per servire i Comuni di Mazara, Marsala e Petrosino, è stata devastante, ma quel che più ha colpito è che nessuna istituzione pubblica ha saputo difendere il proprio territorio e le proprie risorse. Nemmeno Menfi, che sui pozzi in questione si ritrova un adduttore che può prelevare in qualsiasi momento ulteriore acqua secondo i desideri di Siciliacque.
L'intervento evidente della lungimirante politica trapanese ha fatto il resto. Sta di fatto che in provincia di Trapani la risorsa idrica sta diventando assai strategica e rilevante, anche con la riattivazione dei dissalatori. Mentre da noi...
Badate bene che Siciliacque non è pubblica. 
E' una società per azioni in cui c'è IDROSICILIA al 75%. Questa società è una controllata di ITALGAS s.p.a., una società quotata in Borsa, che appartiene a sua volta a CDP Reti s.p.a., SNAM s.p.a., e poi al board di Siciliacque siedono i banchieri di Lazard LLC, Romano Minozzi, Credit Agricole e Blackrock Inc.. Investimenti, speculazione, profitti.
I pacchetti azionari passano di mano in mano secondo l'appetibilità finanziaria ed economica della Società Siciliacque spa. La Regione Siciliana si "deve" accontentare di un miserabile 25% del capitale, non idoneo a prendere qualsiasi decisione, ma solo a regalare due posti in consiglio di amministrazione, utili e strumentali come "sottogoverno". 
Il criterio è il profitto, il metro gli investimenti, il guadagno il minor costo sulla risorsa prima. 
In pratica, Siciliacque s.p.a. vende ai Siciliani la stessa acqua dei Siciliani, ricavandoci un bel guadagno: il risultato del bilancio 2024 di Siciliacque S.p.A. è stato un utile di €.5.557.437,00.
Pagati dai Siciliani, ovviamente.
A chi gioca sui guadagni non interessa investire sui dissalatori, come - ad esempio -  ha fatto meritoriamente la Regione Puglia che ha acquisito il 100% del capitale di Acquedotto Pugliese. Grazie ad una adeguata strategia economica,  recentemente ha costruito il più grande dissalatore di Europa, e  ha anche concesso ai pugliesi un "bonus idrico" per le fasce più disagiate. 
E da noi?
Vergogna assoluta. Reti fatiscenti, zero investimenti produttivi, nessuna strategia sulla circolarità dell'acqua mediante i dissalatori, se non la gestione di una emergenza permanente. 
Questo è il risultato di Siciliacque che, purtroppo, è in mano solida di un gruppo di privati che fanno profitti, non della Regione. 
Questa è privatizzazione dell'acqua pubblica. Senza se e senza ma. 
Tutto questo è sconfortante, specie per il nostro futuro. Per il futuro dei menfitani e dell'intera Regione. 
Stiamo promuovendo un gruppo d'opinione per convincere la Regione ad acquisire l'intero capitale di Siciliacque, a fare investimenti sensati e puntati alla circolarità della risorsa idrica non semplicemente alla trivellazione del suolo ed alla costruzione di mega-acquedotti, costosi, inutili e dannosi per l'ambiente. 
Bisogna muoversi.
Ecco perché i menfitani si devono tutelare, anche con la Consulta idrica cittadina. 
E' vero che non esiste un obbligo generale di costituzione della Consulta idrica cittadina, ma è anche vero che la legge prevede la partecipazione dei Comuni al Servizio Idrico Integrato e la costituzione di organismi di partecipazione dei cittadini per coinvolgere i cittadini nelle scelte e decisioni relative al servizio idrico. 
E' strano che perfino la vituperata AICA ha una propria Consulta idrica e a Menfi... non solo non la vogliamo costituire, ma litighiamo come i polli di manzoniana memoria che, anziché unirsi mentre li volevano mettere nella pentola a bollire, sbertucciavano tra loro. 
Riflettete cari amici del Consiglio Comunale. Permettetemi di dirvi che siamo giunti ad un bivio. Non c'è più tempo per litigare inutilmente. I nostri carnefici hanno già acceso il fuoco. 
Riflettete.
Michele Barbera 


venerdì 3 gennaio 2025

AGRIGENTO CAPITALE DELLA CULTURA 2025: IL TUTTO ED IL NIENTE

 


Agrigento nel 2025 ha un'occasione storica: è capitale della cultura.
Invece...
È di queste ore la polemica per il cartello ANAS sbagliato, che contiene ben due rozzi strafalcioni grammaticali. Poco male. Dopo la denuncia del Corriere tramite la salace penna di Gian Antonio Stella, il cartello è stato (o sarà) rimosso.
Eccola la “pezza”, il “rattoppo”. Che pare caratterizzare tutta l’approssimativa organizzazione delle attività di un appuntamento storico per la città di Pirandello.
Chi è minimamente addentro l’organizzazione sa benissimo di riunioni convulse, di prese di posizione, di arroccamenti, di campanilismi e di ostracismi, che si consumano da un bel po’ su scrivanie di eccellenti uffici, nei salotti illuminati, davanti alle tazzine di sapido caffè, e così via.
Agrigento Capitale della Cultura è diventata l’occasione di un palcoscenico malato e tristemente tragico, in cui l’arte, la letteratura, l’esaltazione di luoghi mitici annegano in complicanze burocratiche e di favoritismi “bilanciati”, inviluppati in reti complicate di preferenze e amicizie political-scambiste.
Regnano i grand commis, i faccendieri mediatici, gli affarismi beceri, e, perché no, i paradossi pirandelliani, le convenzioni umorali, le sottili vendette e le rivalse dei dogmatici istituzionali.
No, signori miei, non è questione di “cattiva” organizzazione.
Sbaglia chi ritiene che Agrigento e gli agrigentini siano incapaci di organizzare eventi o fare programmazioni culturali.
Il concerto dei “Volo” è stato l’esempio di come ad Agrigento la finzione possa divenire realtà, con la complicità mass-mediatica del popolo agrigentino: un falso storico che, però, ha mosso consensi e denaro, soddisfacendo chi doveva soddisfare.
In Sicilia si dice argutamente che “il fatto è uno, il discorso è un altro”. Una cosa è l’apparenza di un caos magmatico (che starebbe pure bene fisiologicamente nella terra di Pirandello), un’altra è la guerra sottile che da decenni si consuma all’ombra delle pietre ataviche della Valle dei Templi.
Ci sono diktat che nessuno può ignorare, ma tutti dovrebbero combattere.
Al bando i “geni solitari” (come Camilleri, prima che lo straripante successo editoriale e televisivo imponesse ai suoi detrattori di accettarlo e digerirlo), via le manifestazioni letterarie “popolari” che davano visibilità agli scrittori locali ed agli artisti in erba, vadano a quel paese i cosiddetti operatori culturali indipendenti.
La cultura agrigentina ha le sue regole, le sue convenzioni, i suoi referenti, i suoi binari, le sue amicizie che devono obbligatoriamente gravitare attorno ai soliti noti, tramite collaudati canali di reciproci favori, conoscenze e precisi “scambi”.  
La cultura agrigentina campa di se stessa, si cannibalizza, miope, incapace di vedere al di là delle colonne del Tempio della Concordia e di Telamoni raffazzonati.
Insomma, la Capitale della Cultura c’è. Solo che ancora non si vede. Sarà una capitale della cultura centralizzata, organizzata ed istituzionalizzata, con la dovuta ipocrita e maleodorante passerella di “vip” annoiati e nomi altisonanti pagati a peso d’oro, con i suoi, direbbe Camilleri, sparluccicanti festini e mostre lustrinate, indorata a dovere e lisciata come il pelo di un porco prima di essere scannato. Sarà la Cultura dei musei, delle rovine pastrocchiate, il tutto curato da abili maneggioni istituzionalizzati che pregano ciascuno per l’insuccesso dell’altro.  
Tutto il resto a mare.
In quel sornione mare Africano, che tutto inghiotte e tutto assimila, crocevia di vita e di morte, di speranze deluse e di illusioni allucinate, forse l’unico elemento eterno ed autentico di questa terra dagli straripanti paradossi e pantomime farlocche.
Il mare, dove Luigi Pirandello, quel figlio del Caos che, criticato nella sua terra e costretto a cercare e ottenere il successo altrove, volle che fossero disperse le sue ceneri. E non mi sbaglio concludendo che, sul punto, Camilleri sarebbe d'accordo con me.
By Michele Barbera