lunedì 24 dicembre 2018

A NATALE SIATE INTELLIGENTI: REGALATE E REGALATEVI UN LIBRO


Guardatevi in giro: tanta gente affannata per il regalo last minute, all'ultimo minuto, la corsa al gadget tecnologico, all'ultima fuffa della moda. 
Salvo poi a scoprire che si tratta di regali sostanzialmente inutili o... spreconi. Che già all'indomani della festa saranno obsoleti o riposti in qualche angolo dimenticato.
L'altro giorno ho letto con piacere una intervista a John Grisham, un autore da 200 milioni di copie vendute in tutto il mondo, del quale ho letto con gusto gran parte dei quaranta romanzi pubblicati. Margherita Corsi di Vanity Fair lo ha intervistato a tutto tondo, cogliendo anche aspetti meno patinati della sua vita. Mi ha colpito sopratutto un piccolo aneddoto di vita familiare: Grisham racconta che nel periodo della sua infanzia la madre era contraria all'uso del televisore. Dunque, lui, con fratelli e sorelle, ogni settimana andavano alla biblioteca comunale e si portavano a casa una montagna di libri. 
Gli studiosi lo sanno da sempre: leggere stimola la fantasia del lettore, rafforza ed arricchisce il linguaggio e le capacità logiche e di intelletto. La lettura diventa un tesoro che nel tempo dà frutti ineguagliabili.
Ed allora, perché preferire il gadget elettronico che di qui a pochi mesi sarà inutilmente obsoleto? Non è meglio donare un libro? 
Non avete soldi per comprare libri? La tredicesima è stata fagocitata dalle tasse e dai centri commerciali? Siete arrivati con il fiato in gola per gli acquisti e i negozi sono chiusi? 
Allora... accompagnate alla prima occasione i vostri ragazzi nelle biblioteche pubbliche a prendere in prestito un libro. Anche questo li aiuterà a scoprire un mondo insospettato. 
Insomma, non avete scuse. Fate leggere un libro ai vostri figli, nipoti. O, meglio ancora, leggetelo assieme a loro. Li farete ancora più felici.
E se non sapete quale sia il più adatto a loro, iniziate con il chiedere aiuto ai librai, alle vecchie maestre di scuola elementare, al vicino di casa, all'edicolante, al barista. Chiedete loro qual è stato il loro libro preferito, qual è il libro di "moda" e avrete delle risposte sorprendenti, che non vi aspettereste mai. E poi, voi... di persona personalmente, come direbbe il personaggio di Camilleri, non avete mai avuto un libro che avete letto? O che avreste voluto leggere?
Di seguito, vi indico alcuni libri per ragazzi e ragazze che, per quanto "classici" (o, forse, proprio per questo), sono intramontabili (ve la caverete con la spesa di pochi euro): 
- I ragazzi della Via Pal (Molnar);
- L'isola del tesoro (Stevenson);
- Oliver Twist (Dickens); 
- Piccole donne e Piccole donne crescono (Alcott);
- Il barone rampante (Calvino);
- Le avventure di Pinocchio (Collodi);
- Il conte di Montecristo (Dumas);
- Viaggio al centro della terra (Verne);
- Le tigri di Mompracem (Salgari);
- Il richiamo della foresta (London); 
- Il quaderno di Maya (Allende);
- Lo hobbit (Tolkien);
- Il diario di Anna Frank;
- Alice nel paese delle meraviglie (Carroll);
- Il piccolo principe ( Saint-Exupéry);
- Le avventure di Robinson Crusoe (Defoe);
- Canto di Natale (Dickens);
- I casi di Sherlock Holmes (Doyle);
- La storia infinita (Ende);
- Le avventure di Tom Sawyer (Twain);
etc... etc...
Ce n'è davvero per tutti i gusti. Per non parlare dei libri modaioli, dai vendutissimi di Harry Potter sino agli autori italiani che hanno rivolto il loro talento agli adolescenti : Moccia, D'Avenia, etc...
Ed allora e comunque: leggete e fate leggere!
Forse non diverrete scrittori come Camilleri, Grisham, King o Follett ma di sicuro trascorrerete ore indimenticabili e il vostro... cervello vi ringrazierà, assieme ai ragazzi a cui avrete donato un piccolo angolo d'infinito. Buon Natale!
By Michele Barbera 

sabato 22 dicembre 2018

LA BATTAGLIA CONTRO GLI ELETTORI FANTASMA SI SPOSTA ALL'ARS


Un vuoto normativo lungo decenni che ha tenuto in bilico migliaia di comuni siciliani di piccole dimensioni e che ha vanificato il diritto di voto delle comunità, costringendole a sopportare commissari imposti dalla Regione.
Stiamo parlando di una norma che in Sicilia a tutt'oggi manca, al contrario di altre Regioni a statuto speciale, come il Friuli Venezia Giulia e la Sardegna che la norma ce l'hanno da anni e che funziona, evitando di rendere nulle le elezioni nei comuni inferiori a 15.000 abitanti. 
Per l'assenza di una norma regolatrice e per un gioco alchemico di rinvii normativi che risalono agli anni '60 e '40 dello scorso secolo, la Regione Sicilia, che pure ha potestà esclusiva per il regime degli enti locali, di fatto aveva abdicato in favore dello Stato che ha imposto il conteggio degli iscritti AIRE nel computo degli elettori per le elezioni comunali.
Gli iscritti AIRE sono gli emigrati che, magari, da decenni non ritornano dei luoghi di origine e che vivono stabilmente nei più disparati paesi esteri e che, magari, non hanno alcun interesse a tornare.
A causa di ciò si verificava che il numero di residenti effettivi in un paese fosse addirittura inferiore a quello degli iscritti all'AIRE con il risultato matematico di non riuscire a convalidare le elezioni nel caso di una sola lista valida per mancato raggiungimento della maggioranza degli elettori.
Nel 2018, però, finalmente qualcosa si è smosso. Contro questa aberrazione normativa, che penalizza ancora di più le regioni a forte tasso di emigrazione come la Sicilia, hanno deciso di dire basta, alzando la voce gli elettori di un comune dell'agrigentino, Alessandria della Rocca. 
Nelle scorse elezioni il candidato a sindaco Giovanna Bubello ed i candidati consiglieri di "Alessandria Rinasce", forti del consenso di oltre il novanta per cento dei voti validi, sono scesi sul piede di guerra impugnando la mancata convalida delle elezioni. 
Leoluca Orlando, Presidente ANCI
E se il Collegio del TAR Sicilia, dopo alcuni rinvii, si è dovuto arrendere di fronte al vuoto legislativo della Regione, i Giudici Amministrativi hanno bacchettato la Regione, definendo "cogente in ambito regionale", il costrittivo regime nazionale, un regime "voluto" con la sua inerzia dal legislatore regionale e subìto dai siciliani. 
Contestualmente, la battaglia si è accesa sul fronte politico. 
On. Matteo Mangiacavallo
L'ANCI SICILIA, che raggruppa i comuni dell'isola, con una nota a firma del Presidente Leoluca Orlando e del Segretario Generale Alvano ha sollecitato l'Assessore Regionale a prendere le dovute iniziative, mentre gli Onorevoli Giovanni Di Caro e Matteo Mangiacavallo, entrambi "Cinquestelle", hanno sposato la protesta dei comuni siciliani per la difesa della effettività del diritto di voto ed il rispetto della volontà popolare.
L'On.le Mangiacavallo, componente della I Commissione ARS, è primo firmatario del disegno di legge n.301 del 18/07/2018 che prevedeva esplicitamente, per la prima volta nella storia politica siciliana, lo scomputo degli iscritti AIRE per i comuni sino a 15.000 abitanti. 
On. Giovanni Di Caro
L'On.le Giovanni Di Caro che si è battuto attivamente per l'accoglimento della proposta ha dato annuncio qualche giorno fa che la proposta dell'On.le Mangiacavallo è stata accorpata dalla I Commissione ed è stata esitata congiuntamente al DDL 377 che prevede alcune innovazioni in materia elettoriale. 
Adesso la parola spetta all'ARS. Dall'Assemblea, tutti gli elettori si aspettano un consenso unanime e trasversale alla proposta di legge, dopo che per decenni l'immobilismo dei vari Governi ha impedito che fosse rimossa questa grave ingiustizia. 
Sono veramente contento di avere appoggiato e patrocinato con tutte le mie forze professionali e competenze giuridiche questa bella battaglia in favore del diritto al voto dei Siciliani. 
By Michele Barbera 

domenica 25 novembre 2018

LETTURE E RECENSIONI: DOVE PALPITA IL MIO SOGNO DI FELICE SERINO

La forza della poesia sta nell’emozione, nella vis che, nella scabra architettura dei versi, nella loro intima struttura genetica, riesce a creare empatia tra il lettore e l’autore, in uno sforzo diegetico che va oltre il normale sentire. 
La lettura di Dove palpita il mio sogno  conduce all’essenza stessa della poetica di Felice Serino, impulsi creativi che diventano squarci di realtà mistica e surreale. Parole-simbolo, sprazzi di marmorea emotività che Serino scolpisce nella loro nudità, senza infingimenti o barocchismi letterari. 
Il poeta rifugge da ogni manierismo lessicale e vive la propria spiritualità creativa in una dimensione quasi sincretica in cui la prosaicità della quotidianità sfocia in proiezioni estatiche: conosco le voci che muoiono / agli angoli delle sere.(…) e lo sferragliare dell’ultimo tram / la nebbia che mura le strade(…) e il freddo letto poi fuori/ dal tunnel/ un altro mattino”.  
La palingenesi della natura è un tema costante nella poetica di Felice Serino che confonde in sé l’umano finito e un ermetismo di respiro universale: la luce si spalma / dentro la parola / che di sé vive. Ed ancora significativamente i versi: non si chiuderà il cerchio se / come si sa / è del Demiurgo un continuo creare / infiniti/ mondi-entità col solo sognarsi.
La dimensione onirica, più volte richiamata nei versi, è il privilegio dell’artista, l’isola dei sensi, del tempo che non passa e crea, l’eterno divenire dove la Musa trae la sua forza ermeneutica, il travaglio dell’opera e dove le assonanze emotive hanno la loro forza plasmatica.
Felice Serino vive una genuina stagione artistica, prolifica, raffinata e meritoria. Egli offre nei versi una lettura nuova della realtà sensoriale che trascina a sentire le poesie come frammenti di sogni, in cui la verità è a occhi nudi, che penetra dentro il cuore e la mente del poeta in una simbiotica ed intima sofferenza: sei come quell’albero reciso / la cui ferita bianca / non si vede sanguinare.
Il plasma poetico di Felice Serino, dunque, diventa lavacro di emozioni, candida essenza di sentimento nell’incontro con l’umano. Ma la sensibilità del poeta va oltre l’orizzonte meramente umano, egli, ha ben chiara la proiezione verticalistica del proprio spirito: i versi documentano la religiosità dell’autore che si sviluppa in un tormento che è allo stesso tempo sicurezza e fonte di ispirazione. 
L’afflato della Creazione diventa il “sogno di Dio” che si capovolge a causa della insipienza umana, di quell’Adamo, che viene interrogato in modo pleonastico e che esprime nella sua stessa definizione tutta la sua limitatezza.
Il poeta è alla ricerca sofferta di un mondo di luce che rappresenta una moderna e pure intima rappresentazione di un eden perduto, relegato alla sua inferiore limitatezza dalla caducità di una materialità imperfetta, a cui solo il sogno può rendere l’anelito a quello infinito essere che chiude il cerchio tra umano e divino.
Un plauso, dunque, all'attivissimo e prolifico Felice Serino che con le sue creazioni riesce sempre a sorprendere ed emozionare i suoi lettori, accompagnandoli in un cammino artistico che diventa anche comunione di sentimenti e di spirito. 
By Michele Barbera  

sabato 17 novembre 2018

SCOUT SPEED TRA PREVENZIONE E SPECULAZIONE, RICORSI, DENUNCE E PROPOSTE COMMERCIALI



Tutto ha inizio da un provvedimento prefettizio che nel caso della Palermo-Sciacca, autorizza ben sette comuni a rilevare le infrazioni per velocità. È il decreto 12/07/2017, il quale però non autorizza rilevazione da postazione in movimento. Parla di tutt’altro.
Infatti, il decreto parla di “postazioni” e “localizzazione”, e di autorizzazione al rilevamento della velocità a distanza.
Chiaro?
Non parla di scout speed.
Infatti, mentre una postazione fissa è tale, lo scout speed moltiplica in modo esponenziale le postazioni, in quanto si tratta di un apparecchio in movimento che può realizzare per ogni cm. di strada decine e decine di violazioni.
Dunque, è chiaro che i Comuni di San Giuseppe Jato e San Cipirello hanno “allargato” l’interpretazione del decreto di autorizzazione  che parla di postazioni “fisse”.
È questa è la prima illegalità.
Poi c’è la proposta commerciale. Sì, proprio così. Una Società catanese effettua al Comune, o, meglio, al responsabile del servizio di polizia municipale una proposta commerciale.
L’intento?
Fare soldi grassi a spese degli automobilisti.
C'è un tariffario preciso. Si parla di una tantum, di fotogrammi pagati €.15,00 cadauno e royalties che possono arrivare sino al 50% degli introiti.
Il tutto, si badi bene, entro certo limiti contabili che sono variabili per fottere la legge sugli appalti ed andare a trattativa privata. Quindi la Società lucra sugli illeciti a percentuale, senza neanche la trasparenza o la convenienza di una gara pubblica, ma solo tramite un accordo “privato”.
Ma non è turbativa d’asta? Art.353 c.p.? Boh!!!
Andiamo avanti.
Le chicche ora sono nei verbali di contestazione. Parliamo quelli di San Giuseppe Jato e San Cipirello.
Nei verbali:
a) non troverete mai chi ha materialmente rilevato con lo scout speed la velocità;
b) non troverete alcun dato sull’ “auto di servizio” che svolge gli accertamenti;
c) il veicolo viene definito nella piena “disponibilità” del Comune.
Tutte minchiate.
In realtà, almeno sino a qualche giorno fa, lo scout speed era UNICO per i due comuni, affittato assieme al veicolo dalla Società catanese.
L’apparecchio ha matricola n.4217 ed è montato sul veicolo targato EY354LD che appartiene alla società privata catanese e che è l’unico veicolo che può montare quell’apparecchio.
Sul veicolo chi c’è? Boh! Di certo al suo “affitto” si alternano alacremente i Comuni di San Giuseppe Jato e di San Cipirello, in barba “all’auto di servizio” ed alla “esclusiva” disponibilità.
La verità è che c’è dietro una speculazione di centinaia di migliaia di euro a danno degli automobilisti che sono costretti a dribblare limiti di velocità ballerini (90-70-50-30) e se sbagliano anche di un centimetro vengono pizzicati. Non vi sto a dire le scene di rallentamenti improvvisi, frenate e sbandate quando si paventa che vi sia la macchina “scout”.
Quello che fa più male è che si specula sulla memoria delle vittime della strada.
Dunque, automobilisti NON ARRENDETEVI, impugnate i verbali scout speed e fate anche denunce:
a) per violazione ed eccesso di potere sull’autorizzazione prefettizia;
b) per violazione sulla legge degli appalti;
c) per turbativa d’asta ed illecito profitto;
d) per danno erariale per attività di ufficio contraria agli interessi pubblici.
Da ultimo, un appello a tutti gli automobilisti: BOICOTTATE I COMUNI CON LO SCOUT-SPEED.
Visto e considerato che la multa scout è sempre più vicina ad un “pizzo di passo”, la tassa che i briganti imponevano a chi attraversava il loro territorio, non fermatevi ai loro impianti di carburante, ai bar, ai negozi, ai supermercati, ai meccanici, ai gommisti. Non comprate prodotti che vengono dai Comuni Scout-speed, non frequentate i loro locali o le loro Ditte, i loro panifici, le loro edicole.
Pretendete rispetto per la dignità di cittadini offesi da tanta speculazione.
E tu Anas, mostro informe, sorveglia meglio: ci sono piazzole invase dalla munnizza, scarpate che vengono giù a valanga perché nessuno fa le adeguate opere di protezione, dissesti che sfasciano le sospensioni e mettono a repentaglio la circolazione. Del resto anche tu, improbo ANAS, hai una fetta della torta scout che sarebbe, a tenore del codice, pari al 50%.
Non è che se la mangiano gli altri?
Michele Barbera

giovedì 25 ottobre 2018

L'ASSISTENZIALISMO NON AIUTA LA CRESCITA... ANZI

Nel caos delle verità o delle quasi-verità che circolano in questi giorni sulle conseguenze dell'azione di politica economica del governo, è emersa una conclusione evidente: nessuno ha la sfera magica per prevedere esattamente quali saranno gli effetti tra qui ad un anno o fra cinque anni.
Si possono solo fare previsioni statistiche, imponderabili e fumose, pronte a cambiare ad ogni levata di vento. Troppe le incognite sul circuito macroeconomico, politico e finanziario, non solo dell'Italia o dell'Europa, ma del mondo.
Il sistema è globale, che lo si voglia o no.
Con queste premesse una riflessione la vogliamo fare.
In un circuito macroeconomico le variabili principali ed essenziali sono la domanda e l'offerta. Ma per incrementare le grandezze (e quindi la ricchezza e/o il benessere ) deve esserci un terzo fattore di crescita: la produttività.
Si produce di più, cresce la domanda e cresce l'offerta. Questo è un circuito virtuoso.
Se, invece, di incrementare la produttività si “droga” il circuito, facendo crescere solo la domanda o l'offerta, alla fine gli equilibri saltano. E questo è matematico. Perchè si tratta di economia e non di statistica futuribile.
Dunque, l'assistenzialismo fine a se stesso può funzionare al limite, solo in un circuito autarchico, chiuso, come ha fatto Trump in USA. Ma più che di assistenzialismo, si può parlare di protezionismo. Trump ha bloccato le importazioni, facendo incrementare la produttività interna dei beni, il che ha creato posti di lavoro e, dunque, la domanda ed i consumi interni.
Quanto questo sistema chiuso possa durare non lo sa neanche lo stesso Trump: l'economia ormai si regge su formule globali e gli USA non possono chiudersi in se stessi a lungo.

Probabilmente tutto durerà fin quando durerà Trump, poi necessariamente il mercato globale estenderà i suoi tentacoli anche sul protezionismo americano.
L'Italia, che ha una bilancia commerciale assai dinamica, non può attuare un sistema chiuso. Aumentare il deficit significa solo aggravare il debito che tutti gli italiani hanno. Con il sistema monetario nazionale, ad un certo punto, come estremo rimedio, c'era il ricorso alla “svalutazione” della lira. Ma il sistema di svalutazione, se da un lato, operava un ribasso di "valore" e poteva incrementare le esportazioni, dall'altro implicava un costo occulto, in quanto il denaro svalutato comprava meno beni ed attirava meno investimenti finanziari.
Quindi, una moneta forte come l'euro, di cui l'Italia – a torto o a ragione – ormai si avvantaggia implica che il sistema economico deve essere prima di tutto solido, e deve puntare alla produttività, allo sviluppo economico.
Ecco perché la politica del reddito di cittadinanza, senza risorse reali che lo sostengano, diventa solo un aggravamento del debito pubblico, non una crescita della ricchezza e nemmeno un vantaggio economico, ma solo l'edizione moderna del panem et circenses con cui gli imperatori romani tenevano buoni la massa dei derelitti. Ma gli imperatori facevano i soldi con le prede ed i bottini di guerra che rubavano ai popoli invasi e tartassati.
L'unica via praticabile in Italia non è la politica assistenziale, ma una politica economica che riduca il peso fiscale sulle attività produttive e che sfrutti le risorse comunitarie per creare posti di lavoro e incrementare la produttività. Da lì deriva la reale ricchezza e l'incremento del welfare.
Quindi, meno burocrazia nella gestione delle risorse comunitarie, meno carico fiscale sulle imprese e sul lavoro autonomo. Di contro, più agevolazioni all'esportazione e più controlli (e pesi) sulle importazioni extracomunitarie che, slealmente, penalizzano la produzione interna.
Mentre noi italiani vediamo l'Europa come una “matrigna” e la guardiamo con sdegno, le altre nazioni, più furbe, la coccolano e la sfruttano. Ed alla fine a pagare il conto siamo tutti noi, cittadini europei, italiani compresi.
By Michele Barbera  

domenica 7 ottobre 2018

Le cinque regole d’oro dei MILLENNIALS: una generazione nata per combattere


L’appellativo di “bamboccioni”, coniato da quei bacucchi di Monti e della Fornero (che viceversa iperviziavano i loro figli con posti fissi e stipendi da super-raccomandati) deve averli fatti incazzare.
E così i Millennials, ragazzi e giovani nati a cavallo del millennio, sfregiati da una crisi mondiale con pochi precedenti, si stanno prendendo la loro brava e giusta rivincita.
Cresciuti a pane ed ipad, allevati all’agonismo spinto di X-Factor e GF, hanno capito che la vita non regalerà loro niente. Sono abituati alla competizione, poco importa se virtuale o reale. A dare il meglio di loro stessi, senza risparmiarsi, sulle strade e nei talent-show.
Viaggiano tanto, ma non sono sprovveduti. Sanno pianificare il futuro, ma mettono in conto errori, fallimenti ed imprevisti.
Studiano tantissimo, preparano i loro progetti di vita a volte politicamente scorretti, a volte folli o visionari, ma perseguiti con costanza e tenacia invidiabile. Ma non studiano solo o necessariamente a scuola, talvolta da loro stessi definita nozionistica, asfittica e deludente. Sono affamati di novità ed affascinati dalla tecnologia.
Il genio americano dei bitcoin, Erik Finman, 19 anni e un patrimonio personale di 4 milioni di dollari, aveva scommesso con i genitori che se fosse divenuto milionario all’età di 18 anni non avrebbe frequentato l’università. Ed ha vinto. Con scorno evidente di padre e madre (entrambi dottori di ricerca alla Stanford University)
Tutto il contrario di Davide Fioranelli, 29 anni, italiano e patron di una società a Londra che vale 21 milioni di sterline. Lui, dopo la laurea in finanza internazionale in Italia, ha fatto un master a Shangai. Un solido percorso formativo che ha saputo mettere a profitto.
L’anglo-indiano Akshay Ruparelia, a soli 19 anni è titolare di un patrimonio personale di 16 milioni di sterline, raggiunto sfruttando un suo personale progetto nel campo delle compravendite immobiliari.
Ma i figli dei boomers (li chiamano così i genitori di questa generazione, “colpevoli” di aver vissuto i boom degli anni ’80) non hanno in testa solo soldi e profitto.
È la storia di Boyan Slat, olandese, classe 1994, che ha fondato un ente no-profit, The Ocean clean-up, ed ha raccolto oltre 2 milioni di dollari per realizzare un progetto tecnologico che serve a ripulire gli oceani dall’inquinamento di plastiche.
Uno dei principali Millennials di successo, è il cinese Zhang Yiming, giunto alla “veneranda” età di 35 anni con un patrimonio personale di 4 miliardi di dollari. Zhang ha fondato una piattaforma di applicazioni (le famigerate “app”), ma ha anche una sua filosofia di vita, che trasmette ai suoi collaboratori e fan: (1) essere curiosi; (2) rimanere ottimisti di fronte all’incertezza; (3) non accontentarsi di essere mediocri; (4) essere umili; (5) pensare a lungo termine.
Noi degli “anta” forse non ci siamo abituati, ma dovremmo ascoltarli di più questi “vecchi” giovani maestri, che della paghetta non sanno che farsene, non hanno paura di fare sacrifici e di mettersi in gioco per le loro idee. Un giorno, sempre più vicino, il mondo sarà loro.
By Michele Barbera  

domenica 26 agosto 2018

E IL PRINCIPE DISSE: LA SABBIA SICILIANA ME LA PRENDO IO!

L' "isola" artificiale di Portier Cove


Dapprima mi sembrava una fake news, di quelle che agitano il torpore di un'estate bizzarra, ma alla fine, quello che avevo letto su un settimanale gossipparo ha avuto riscontri in siti di informazione e, persino, su un sito professionale degli ingegneri italiani.
E mi sono incazzato
La storia è presto detta. Il Principato di Monaco scoppia di soldi e di miliardari evasori e bastardi che vogliono la residenza lì per sfuggire il fisco dei loro rispettivi paesi. La residenza implica un alloggio. Solo che non c'è più spazio per costruire. Che si fa? Si fa un'isola artificiale, ci si allarga sul mare.
Nasce così l'idea di Portier Cove, un'isola artificiale a cinque stelle, dove i prezzi di una costruzione si aggireranno sui 80-100 mila euro al mq. Un investimento di due miliardi di euro che frutterà cento volte tanto al principacchio (non è un errore) di Monaco.
Qualcuno potrebbe dire: cavoli loro, hanno i soldi che li spendano come vogliono.
Senonché per fare quest'isola artificiale ci vogliono per le fondamenta centinaia di migliaia di tonnellate di sabbia.
Sì, avete capito bene, sabbia.
Dove la intende prendere il principetto, o meglio, l'impresa appaltatrice (Bouygues-SAM)?
Ma, ovvio, dalla Sicilia.
In una Regione già depredata delle proprie risorse, in cui le coste sono ad alto rischio di erosione, dove si parla da tempo di ripascimento delle spiagge, violentata da abusivismi mafiosi senza limiti, ci manca pure che ci rubino la sabbia per fare i mini appartamenti a gente che sputa in faccia ai soldi e specula sul fisco. Vergogna!
Perché non la prendono dalle spiagge e dalle cave francesi?
O dalla Corsica?

O, magari, dalla Sardegna oppure dal Sahara?
No, la prendono dalla Sicilia, come dichiarato dai costruttori e dai progettisti e riportato da almeno una ventina di siti di informazione.
Mi fanno ridere gli pseudo-ambientalisti nostrani che, nonostante il progetto sia già in fase di realizzazione (si parla di dragaggio del fondo marino monegasco) non hanno mosso un dito. Gente che, però, è disposta a far fucilare chi ha fatto la veranda abusiva o espianta canneti.
In Sicilia esiste una normativa ben precisa che regola le attività di scavo e di estrazione. Vogliamo controllare se ci sono autorizzazioni ed a beneficio di chi?
Ed eventualmente, non le rilasciamo o revochiamole!
O dopo i falsi petrolieri, i fondali marini, le spiagge e, perché no, il territorio interno devono essere violentati per compiacere qualche subappaltatore mafioso ed il deretano pieno di soldi del sultanato monegasco?
Apriamo gli occhi, cari Siciliani!
E il bello è che il principacchio di Monaco garantisce che per la realizzazione dell'isola sarà salvaguardata la fauna marina del principacchio con la realizzazione di un parco marino per i pesci sfrattati dall'isola.
E che i siciliani si fottano. Dicono loro.
Vogliamo svegliarci?
E per favore non facciamone questione di soldi e di sviluppo. Perché gli unici soldi che interessano al principacchio sono quelli che si depositano nei suoi casinò (quattro) e nelle sue banche (tutelate da un comodo ed impenetrabile segreto bancario).
By Michele Barbera


mercoledì 22 agosto 2018

WEST NILE VIRUS E VIRUS USUTU: CONTINUA L'AZIONE PREVENTIVA PER I DONATORI AVIS


L'ultimo aggiornamento dell'AVIS nazionale risale al 21 agosto scorso. La mappa dei luoghi dove è più probabile contrarre il Virus West Nile riguarda anche i donatori AVIS che, laddove abbiano trascorso almeno una notte nelle regioni italiane interessate al virus sono sospesi cautelarmente dalle donazioni.

Secondo quanto rilevato dall'Istituto Superiore della Sanità Nel 2018 la trasmissione del virus West Nile in Italia e nel Sud-Est Europa è iniziata prima rispetto agli anni precedenti. Il 16 giugno si è verificato il primo caso umano di infezione confermata nel nostro Paese e, al 1 agosto 2018, sono stati segnalati 52 casi confermati di infezione. In particolare sono stati segnalati 16 casi con manifestazioni di tipo neuro invasivo di cui 2 decessi, 22 casi di febbre e 14 casi in donatori di sangue asintomatici.”
Secono l'IISS, la febbre West Nile (West Nile Fever) è una malattia provocata dal virus West Nile (West Nile Virus, Wnv), un virus della famiglia dei Flaviviridaeisolato per la prima volta nel 1937 in Uganda, appunto nel distretto West Nile (da cui prende il nome). Il virus è diffuso in Africa, Asia occidentale, Europa, Australia e America. I serbatoi del virus sono gli uccelli selvatici e le zanzare (più frequentemente del tipo Culex), le cui punture sono il principale mezzo di trasmissione all’uomo. Altri mezzi di infezione documentati, anche se molto più rari, sono trapianti di organi, trasfusioni di sangue e la trasmissione madre-feto in gravidanza. La febbre West Nile non si trasmette da persona a persona tramite il contatto con le persone infette. Il virus infetta anche altri mammiferi, soprattutto equini, ma in alcuni casi anche cani, gatti, conigli e altri.
È notizia di qualche ora fa che anche nel Ravennate il virus ha causato il decesso di un uomo.
La maggior parte delle persone infette non mostra alcun sintomo. Fra i casi sintomatici, circa il 20% presenta sintomi leggeri: febbre, mal di testa, nausea, vomito, linfonodi ingrossati, sfoghi cutanei.
Non esiste allo stato un vaccino contro il VWN, ma occorre proteggersi nelle zone a rischio dalle punture di zanzare che sono il veicolo più semplice di trasmissione del virus con vestiti idonei e repellenti chimici.
Naturalmente prima della donazione, nella informativa occorre dichiarare i soggiorni nelle aree a rischio onde evitare di trasmettere il virus tramite la tasfusione di sangue.
By Michele Barbera

venerdì 17 agosto 2018

MENFI E IL… TURISMO?




Inutile, è ormai un tormentone estivo che si trascina da anni. A Menfi, puntualmente, ad agosto esplode il “caso” turismo. Quest’anno anche in modo simpatico ed ironico: uno scambio di “lettere” virtuali tra il turista e vari cittadini menfitani che hanno interpretato (e giudicato) a modo loro il turista e le sue pretese.
A Menfi d’estate, invariabilmente, arrivano due specie di “turisti”: una è l’emigrato che ritorna in paese e l’altro è il turista vero e proprio, quello, cioè, che sceglie Menfi come meta del suo viaggio.
Per esperienza personale, fermo restando che parlo della media e non del caso specifico, l’emigrato che ritorna, inevitabilmente, critica quello che trova, che vorrebbe ad immagine e somiglianza del luogo dove risiede e lavora, che vanta oltre misura come una sorta di eden, sia nazionale che estero, dove tutto funziona mirabilmente e l’efficienza dei servizi è al massimo. Sarà pure così, ma ogni luogo ed ogni paese hanno le loro peculiarità: non esistono paradisi in terra (forse una volta).
Del resto, la Sicilia, per fortuna o per sfortuna, paga lo scotto, almeno nelle nostre zone, di una scarsa industrializzazione, di una arretratezza delle strutture e, vivaddio, di un ambiente ancora non compromesso dalle spinte di un progresso devastante. I difetti ci sono, ma a fronte dell’aria pestilenziale che si respira in qualche megalopoli del nord, di un traffico perennemente impazzito e nevrastenico, di ritmi convulsi e ipertesi, preferisco Menfi, sonnolente, pigra e, magari, insoddisfacente, ma con il suo mare, la sua dimensione umana del vivere, la sua agricoltura, etc…
Migliorare si può ma la “perfettibilità” è propria della imperfezione. Basta la volontà. Che qui a Menfi, è vero, latita.
Altra cosa è il turista vero e proprio che sceglie Menfi. Qui non si tratta di “ricongiungimenti” parentali o di ritorni alle origini. E la critica fa senz’altro bene ed è doveroso accettarla (quando è giustificata).
Da anni nel settore turistico non si parla più di “turismo”, ma di “offerta turistica”. Cioè l’insieme di servizi che un territorio offre a chi lo visita: svago, sport, cultura, arte, ospitalità, ristorazione, etc…
Sino a quando a Menfi non si svilupperà il concetto di offerta turistica, in un insieme organizzato e fruibile, parleremo di aria fritta.
Il turista, nella media, sceglie la propria meta proprio in virtù delle aspettative che offre il territorio. Se queste aspettative andranno deluse, non lamentiamoci se il turista “critica” o, peggio, non ritorna.
Il mare e la spiaggia sono belli, ma a volte non bastano.
La passeggiata a mare serve, ma una volta che la fai su e giù tre-quattro volte, stufa.
L’estate menfitana non può essere un cartellone messo su all’insegna dell’improvvisazione.
Quest’anno, è vero, c’è stato il cambio di amministrazione.
Ma non è un problema solo dell’anno in corso.
Manca un ufficio turistico che si occupi di “offrire” il territorio ai visitatori, che coordini le iniziative e dia ampio spazio alle (innumerevoli) risorse umane e naturali locali.
Chi viene a Menfi dovrebbe trovare non solo l’accoglienza, ma anche il servizio turistico, interlocutori validi a cui possa rivolgersi per avere notizie, indirizzi, località, escursioni, shopping, cultura, etc ed anche per segnalare e risolvere i suoi problemi.
Tempo fa incontrai per ragioni di lavoro un grosso manager di una catena di villaggi turistici sparsi per mezzo mondo. Mi colpì una sua frase: “Il mio obiettivo non è solo quello di avere utili, ma di far innamorare il mio ospite. Deve andare via con il cuore spezzato, sapendo che quello che ha trovato da me non lo troverà in nessun altro posto. Partendo, deve desiderare solo di ritornare.”
Ecco, Menfi ha bisogno di turisti che si innamorino di lei e di quello che offre.
By Michele Barbera


venerdì 13 luglio 2018

"MI POZZU ALLARGARI?"


Alla fine tutto sembra essere stato risolto. Il piccolo giallo che aveva dato origine al post di stamattina che voleva essere satirico, ma anche far riflettere su certe cose, pare essere stato risolto. E, questo, debbo dirlo grazie all'impegno di tutte le parti, che hanno avuto modo di confrontarsi e di dire la loro. La mediazione degli uffici comunali (e lo dico seriamente stavolta) ha fatto il resto con un impegno meritorio.
Tutte le parti mi hanno richiesto di togliere il contenuto del post per riservatezza e io mi adeguo.
Spero sinceramente di non dover riprendere per il futuro certi argomenti.
Un caro saluto a tutti, 
U 'zzu Micheli

giovedì 28 giugno 2018

IL PIACERE DI LEGGERE: LA DOGLIA MUTA di PEPPE ZAMBITO


Nelle pagine de La doglia muta mai come in nessun'altra narrazione, traspare forte la metafora della Sicilia, isola e cosmo, terra ricca e perduta nelle sue contraddizioni, nelle sembianze di una donna partoriente che si contorce negli spasmi del dolore, ma che da questo dolore trae l'origine della vita.
La protagonista, la vera protagonista, Gelsomina è donna, piena di mistero e di sorpresa, fiera ed indomita, che si fa scudo e vestale di una tradizione misterica, alchemica ed, allo stesso tempo, succube di forze oscure, retaggio di prepotenze feudali, resa vittima e carnefice di passioni ancestrali, più subite che volute.
È un antitetico gioco delle parti, che naviga all'esterno delle rotte pirandelliane e del verismo verghiano, traccia una parabola empatica, che trascina il lettore in un'epoca che non è antica né moderna, ma idealizzata in un topos che riesce difficile imbrigliare nella storia.
Peppe Zambito si muove a suo agio negli archetipi di un'isola che conosce ed ama, idealizza un conflitto che si muove sottotraccia nella trama articolata e pur nuda del suo romanzo: non offre verità storiche o antropologie edulcorate, ma sentimenti e passioni autentici, che si agitano nel sipario di un microcosmo scolpito con il bisturi impietoso di chi non si rassegna agli stereotipi e rifugge i luoghi comuni.
I personaggi sono caratteri che sanno adeguarsi alle convenienze sociali, che non intraprendono sfide prometeiche, ma sono egualmente coscienti del dualismo distopico che vivono: il barone non si arrende al decadimento sociale ed individuale, abituato a non conoscere altra legge se non la sua, Gelsomina che, invece, da quel decadimento sembra trarre una nuova linfa vitale, anche se è una vita nascosta, muta. 
Così come la femmina siciliana che vive nei volti e nei corpi, nelle passioni e negli amori violenti di Gelsomina, di Giovanna e delle altre donne del romanzo: tutte paiono unite da un destino corale che accettano e verso cui debbono combattere una lotta impari, di fronte a cui decidono talvolta di rassegnarsi: agli occhi di Gelsomina non era né vecchio, né zoppo. Agli occhi di lei lui era il barone.
Ma dietro la realtà falsa che si trincera dietro i cartelli sociali, le differenze di ceto, vi è quella vera che reclama il suo tributo di dolore e sofferenza, che accomuna uomini e donne ed agisce come una livella, travolgendo le impalcature ed i falsi destini, che la inutile presunzione umana costruisce nella sua piccola contingenza.
Così il vecchio barone, Teresa, il “baronello”, Cecè e Gelsomina diventano maschere tragiche che si muovono su un palcoscenico che, improvvisamente, diventa più grande di loro e nel quale provano smarrimento, di fronte all'eterno e soverchiante battito del tempo e della storia.
Il parto, la sua doglia, diventa il simbolo apotropaico del rinnovarsi della vita nel dolore, il nodo gordiano della storia in cui si affastellano le esistenze, nell'esaltazione dei sentimenti, anche quelli più inconfessabili.
Ma è una doglia muta, un qualcosa di innaturale, di torbido, di non accettabile.
Solo la resilienza dell'elemento femminile perpetua la Vita, sa rinnovarla come una sorgente sempre pura che non arresta il suo flusso davanti la morte o alla fragilità umana.
Peppe Zambito, che già in passato ha dato prova delle sue capacità fabulatorie con pregevoli narrazioni, non risparmia al lettore una dose generosa di sentimenti forti, di momenti di dolorosa umanità che rendono viva la presenza e l'azione diegetica nel romanzo. Il colpo di scena finale, la sorpresa, che la protagonista custodisce nelle trame del tessuto narrativo, è la doglia che s'acquieta, che finalmente dona pace, la verità che prende il sopravvento. E ciò a dispetto di trame meschine e di piccole congiure, ordite da egoismi destinati a dissolversi di fronte all'eterno fluire del destino-tempo, vero deus ex machina del romanzo, che governa uomini e cose nella bella e perversa terra di Trinacria.
La doglia muta è un grande atto di amore e di coraggio di Peppe Zambito verso la sua terra e verso i suoi uomini e le sue donne che, forse, vivono nei sedimenti della storia dei grandi eventi, nascosti alle ipocrite sentenze dei posteri, ma le cui orme sono braci ardenti, che animano la passione ed il cammino dei popoli.
By Michele Barbera


domenica 24 giugno 2018

L'AFFARE SPORCO DELL'IMMIGRAZIONE: DALLA SOLIDARIETA' ALLA SPECULAZIONE


I fenomeni migratori sono antichi quanto l'uomo. Sono motivati dall'esigenza di migliorare la propria vita, dalla volontà di esplorare, dal desiderio di ricchezza, da intenti predatori. Ci sono popoli che della migrazione hanno fatto la propria caratteristica peculiare, come i rom. 
Sono eventi che difficilmente una norma o un muro o barriere potranno mai arrestare. 
Da qualche anno nell'area del Mediterraneo il fenomeno è diventato qualcosa di patologicamente dilagante. 
I governi europei sono, inutile nasconderlo, preoccupati. Dall'area mediorientale sino all'Africa, i flussi migratori sono diventati esponenziali, inarrestabili. 
E così dalla solidarietà propugnata da tutti, si è passati via via alla diffidenza, sino ad arrivare al rifiuto. 
Basterà questo a fermare i flussi dei migranti?
No, di certo. Anche tenendo conto della disperazione di questa gente. 
Nell'area mediorientale Assad ha dato fuoco alla polveriera Siria. Schiaccia gli oppositori e le superpotenze mondiali hanno ridotto il paese ad uno sterile  campo di tiro. 
Nell'Africa i signori della malavita, deportano tramite i passeurs, dai villaggi della fascia subsahariana gruppi innumerevoli di persone, a cui spremono ogni centesimo di dollaro con la promessa del paradiso. Un circolo vizioso duro da fare scomparire e spezzare. Forse più di quello mediorientale. 
Soldi, troppi soldi che girano sul business dell'apparente migrazione. A volte si tratta di deportazione, a volte di sequestri. 
Tutti puntano ad una cosa sola: i soldi. 
Soldi per le bande di malavitosi che deportano e trasferiscono i "migranti". Soldi per le autorità corrotte della Libia che, altrimenti, minacciano di aprire i rubinetti dei flussi migratori con centinaia di migliaia di persone pronti da trasferire su gommoni (e se qualcuno muore, meglio se donne o bambini, fa più scena, più audience). Soldi per le ONG più o meno strumentalizzate, soldi per le cooperative che ricoverano ed assistono (in condizioni spesso disumane) i profughi, i cui patron girano in Ferrari e fanno mangiare ai "profughi" pasta e riso scaduti. 
Una gigantesca cascata di denaro che comincia dal Nord Europa e finisce nelle tasche avide e capienti di soggetti senza scrupoli. 
Più Bruxelles paga, più il business fiorisce. Più l'Unione Europea paga a questo e a quello più mostra la sua debolezza, la sua paura. 
E' un business vizioso, un ricatto del malaffare internazionale. 
Inutile aggiungere che chi è spinto da umana e cristiana pietà finisce con il dubitare della solidarietà. a volte si astiene dal commentare. 
Serviranno i rimpatri? Credo proprio di no.
Semplicemente, si innescheranno altre dinamiche di flusso e... ovviamente di soldi. 
L'unica è lavorare nei territori di partenza, nell'area mediorientale raffreddando i conflitti ed imponendo (sì proprio così) una politica di pace, nell'Africa, eliminando con la forza le deportazioni e le false migrazioni, con un'opera di solidarietà che offra alle popolazioni un'alternativa di vita stanziale dignitosa. 
Ma anche lì ci sono soldi di mezzo, le multinazionali che hanno depredato e depredano il continente africano, le politiche espansionistiche e le strategie di supremazia,  e chissenefrega delle popolazioni locali. 
In fondo, agli strateghi dell'ordine mondiale, fa più comodo la piccola e meschina guerra tra un'Italia piccola così e la Francia ipocrita e sciovinista di un Macron qualunque. 
A ben vedere, stiamo facendo la fine dei polli di manzoniana memoria...
By Michele Barbera 


mercoledì 9 maggio 2018

GIRO D'ITALIA 2018: MENFI TIFA SALVATORE PUCCIO!!! E I CRONISTI DELLA RAI NE COMBINANO UNA DELLE LORO...

Inutile nasconderlo: quando passa la carovana del Giro d'Italia c'è sempre un'emozione nascosta che salta fuori prepotente. 
Menfi aveva vissuto nel 1986 il Giro d'Italia, quando i ciclisti attraversarono il centro storico rinnovato per l'occasione. Era la parte finale della tappa Palermo-Sciacca, funestata all'arrivo dall'incidente a Ravasio. 
Oggi qualcuno ha ricordato quell'incidente: ne mormoravano i tifosi, ne hanno parlato i cronisti RAI, ma - imperterrito - il Giro d'Italia ha vissuto, dopo quella terribile vicenda, altre esaltanti edizioni, trasmettendo agli spettatori adrenalina pura, voglia di urlare e di incitare gli atleti del pedale. 
Quest'anno Menfi aveva una ragione in più, il giovane Salvatore Puccio, di origini menfitane, annoverato tra le promesse del pedale e che è stato una presenza viva al Giro. 
Nonostante non fosse contemplato alcun passaggio nel centro storico, ma solo un passaggio "esterno", Menfi si è assiepata a bordo strada: con striscioni, cori improvvisati e grida di incitamento ha voluto mostrare il proprio sostegno a Salvatore. 
I cronisti RAI, che hanno tralasciato ogni altro aspetto di Menfi, hanno, però, saputo rimarcare cinicamente la morte della giovane ragazza avvenuta nel 2003 per la sindrome di Creutzfeldt-Jakob, con tanto di immagini di repertorio del funerale, proprio a far vedere che non si trattava di un'improvvisazione.
Mi ha fatto male, perché penso alla famiglia, che ha sempre cercato ed osservato una stretta privacy sull'evento, mi ha fatto male, perché tutto questo ha il sapore di una ferita non rimarginata, che i cronisti RAI hanno accentuato con la crudezza di una cronaca che rasentava un voyeurismo curioso ed irrispettoso.
La memoria del dolore è una cosa seria e va osservata e rinnovata negli opportuni contesti, rispettando la riservatezza della famiglia e di quanti da quell'evento furono sorpresi ed addolorati, specialmente i menfitani che ben conoscevano la ragazza. 
Capisco il diritto di cronaca, ma in questo caso non c'entrava proprio: il sacrificio di una ragazza colpita da un destino atroce non ha nulla a che spartire con un evento sportivo che è un circolo mass-mediatico e gaudente, superficiale quanto basta per fare spettacolo pure dei funerali di una ragazza.
Mi chiedo se i giornalisti RAI fossero a corto di argomenti su Menfi. A voi l'ardua riflessione. 
By Michele Barbera 

domenica 1 aprile 2018

PASQUA, BATTESIMO DELL'UMANITA'


La Festa di Pasqua riveste un profondo carattere religioso, il "passaggio" dell'umanità dal peccato alla redenzione, al perdono. Anni fa ho sentito un sacerdote che ha dato - per me - la migliore definizione di Pasqua. Ha detto "Pasqua è il Battesimo dell'Umanità". 
Ancora oggi, dopo tanti anni non ho trovato una definizione più esatta e più bella di questa. Al di là di teologi, pensatori e libelli apologetici.
Viviamo in un estremo tentativo di laicizzare e rendere consumistica anche la Festa di Pasqua.
Le immagini di Cristo Risorto sono pressoché scomparse dal Web. Le bacheche dei social sono invase da torme di uova, pulcini, colombe, coniglietti, anatroccoli e bestioline paffute, come se si trattasse di festeggiare l'arca di Noè o qualche ricorrenza filoanimalista. Rari i vecchi "santini" con l'immagine tradizionale del Risorto. 
Anch'io mi sono lasciato andare alla "moda" ed ho postato gli Auguri alla maniera "moderna".
Però una riflessione a margine l'ho fatta.
Sarò anacronistico, ma la Festa di Pasqua per me ha un sapore speciale, che non è... solo quello delle uova di cioccolato. 
Un Augurio di Buona e Santa Pasqua a tutti.  
By Michele Barbera

venerdì 30 marzo 2018

TROPPO SPESSO CI DIMENTICHIAMO...


Quante volte ci dimentichiamo di essere cristiani, 
battezzati nella Fede e nel Credo fondato 
sulla redenzione della nostra fragile umanità? 
Quante volte. Quante volte distogliamo il volto dalla Croce,
in nome della tolleranza, che diventa paura di testimoniare, 
in nome della "cultura" che spinge ad essere blasfemi e superbi. 
Quante volte ci rifugiamo nella cattiva discrezione, 
nella colpevole omissione, nella falsa condiscendenza,
per timore della irrisione o di "disturbare" gli altri,
che sono intolleranti e superbi 
nella loro intransigenza vuota e dannata.
Gli "altri", a cui dovremmo dare testimonianza ed, invece, 
di cui diventiamo complici nella loro ignavia e nel loro errore. 
Di cosa abbiamo bisogno per essere noi stessi? 
Quando getteremo la maschera dell'ipocrisia che ottunde la coscienza?
Gli altri hanno bisogno di vederci credere, di saperci cristiani, 
di additare loro la via dell'unica salvezza. 
Il cristianesimo è storia dell'incontro fra umano e divino. 
E' storia d'amore, è verità eterna, è salvezza.
Se oltre duecento miracoli eucaristici non sono bastati nella storia 
per rendere vivo e tangibile agli increduli 
il sacrificio redentore della Croce, 
di cosa avremo mai bisogno per credere? 
Perché seguire falsi profeti e le loro fragili bugie
che recano divisioni, guerre, carestie e violenze 
e non fare fiorire la pace nel nostro cuore?
Uomo, di cosa hai bisogno per credere?
(P. Mil., De Ch. Red.)

sabato 17 marzo 2018

L'AFFAIRE MORO: MISTERO O VERGOGNA?


Ogni cittadino italiano dovrebbe conoscere la storia di Aldo Moro. In questi giorni di “candide” ( o forse dovrei dire ingenue) celebrazioni alla memoria degli eventi di Via Fani, chissà cosa direbbe Leonardo Sciascia che si occupò a caldo della vicenda con il suo nobile, straordinario e scottante saggio-documento, scritto nel 1978. 
Quasi un istant-book, un fulminante resoconto sulla tragica parabola del sequestro di Aldo Moro, la strage della scorta ed, in ultimo, l'assassinio a freddo dello stesso, dopo una penosa prigionia, a fronte della quale, le cosiddette Istituzioni consumarono la falsa ragione di stato nel più bieco opportunismo politico.
L'edizione Adelphi che ho per le mani del libro di Sciascia è corredata anche da un'accurata cronologia degli eventi e della relazione parlamentare “di minoranza” redatta dallo stesso Leonardo Sciascia e depositata agli atti della Commissione in data 22 giugno 1982.
Il sugo del libro pare racchiuso in quella strana epigrafe di Canetti che apre l'opera e lascia sfogo alle cateratte della memoria: la frase più mostruosa di tutte: qualcuno è morto al momento giusto.
Morire al momento giusto. Perché altri (chi altri? quali altri?) hanno deciso di sì. Perché da quella morte qualcuno, o forse in tanti, ne traevano un proprio egostico vantaggio in uno scacchiere politico ballerino e cronicamente instabile. In un misterioso gioco delle parti, in cui nessuno, però, voleva fare l'assassino, ma tutti, in modo più o meno percepibile, hanno aiutato (incoraggiato sarebbe dire troppo) il boia ad uccidere.

Aldo Moro non era semplicemente un uomo politico, era il segno di una stagione che cambiava, che perseguiva ideali di partito nel contesto più ampio di un dibattito parlamentare affannato e contorto.
Sciascia, non dimentichiamolo, era schierato sul fronte del Partito Comunista, sia pure da indipendente, e non risparmia certo critiche alla logica democristiana che nella vicenda Moro sembrava aver soffocato nei suoi maggiori esponenti non solo il “senso dello Stato”, ma anche quello della verità, della solidarietà.
Ma, forse, proprio per questo, per questo antielogio del politico Moro e del suo partito (che viene da rassomigliare ad un emblematico guazzabuglio di invereconda codardia), prima ancora della considerazione per l'uomo e lo statista, che Sciascia rivela la sua onestà intellettuale. Proprio per questo la sua condanna di quella gara di colpevole inerzia e di “presa delle distanze”, che vide tra i suoi maggiori portagonisti gli esponenti di maggior spicco della democrazia cristiana ( senza maiuscole), appare ancora più vivida ed onesta.
Leonardo Sciascia è abituato con la sua scrittura a graffiare la realtà, a scalfire quel velo di buonismo ipocrita che spesso si traduce in collusione, in complice duttilità ed acrobatico trasformismo. E la vicenda Moro ne è un brillante esempio (cattivo esempio) di stato.
Nelle lettere che Moro scrive dalla prigionia e che Sciascia riprende nel loro spirito con sottile sagacia, traspare in tutta la sua sofferenza un j'accuse contro la crudele ambiguità di quelli che Moro considerava i veri arbitri della questione: «Muoio, se così deciderà il mio partito...».
La lucida coscienza dell'uomo di partito, dei giochi di potere che lo avevano assegnato ad un triste destino, si condensano in una parabola che lo aveva precipitato dal vertice del potere alla più assoluta impotenza.
Il libro di Sciascia, per chi non condivide una certa idea del mondo che ha l'autore, deve essere letto con disincanto ideologico e senza retrospettive profetiche.
L'opera è il grido puro, vivo, rabbioso della coscienza di un intellettuale, che ha vissuto il peggiore dei suoi incubi, lo Stato che si comporta da anti-stato, da combriccola che congiura non il silenzio, ma la complicità e la condivisione del male.
Alla fine è morto un uomo. Forse, come dice Sciascia, L'affaire Moro, potrebbe essere letto come opera letteraria e non come opera di verità. Ma così non è. L'assassinio di Aldo Moro non è un romanzo poliziesco, per quanto indecifrabile e fascinoso nella sua malvagia essenza intima. Sciascia, nell'ultimo paragrafo della pseudo-narrazione cita il Borges di Ficciones, e lancia l'ultima sfida al lettore: c'è un indecifrabile assassinio nelle pagine iniziali, una lenta discussione nelle intermedie, una soluzione nelle ultime. Poi, risolto ormai l'enigma, c'è un paragrafo vasto e retrospettivo che contiene questa frase: “Tutti credettero che l'incontro dei due giocatori di scacchi fosse stato casuale”. Questa frase lascia capire che la soluzione è sbagliata. Il lettore, inquieto, rivede i capitoli sospetti e scopre un'altra soluzione, la vera”.
By Michele Barbera