lunedì 15 novembre 2021

I BAMBINI POVERI D’ITALIA

 



No, non si tratta di un paese del Terzo o Quarto mondo, né di una esotica località sperduta in chissà quale Oceano. Sono lì, i bambini della porta accanto, fanciulli che al di là dei proclami di propaganda, faticano ogni giorno a nutrirsi in modo decente, a vestirsi, a soddisfare quei bisogni che troppo spesso diamo per scontati. Compreso quello di andare a scuola e studiare.
Fanno parte del popolo degli invisibili, e non sono semplicemente figli di immigrati, clandestini o orfani sfortunati.
Sono figli di una Italia impazzita che in dieci anni di politica insensata ha triplicato il numero dei bambini poveri. Incoraggiando il calo demografico. Ora sono, secondo le stime, 1.300.000. Proprio così.
Il pubblico disinteresse per l’infanzia, l’assoluta assenza di politiche di concreto e reale sostegno ai nuclei familiari con più figli, una demagogia spinta sull’orlo di una crisi di nervi ha prodotto questo risultato.
Il bello è che nessuno si sente in colpa.
Si parla di politiche ambientali, di diritti delle minoranze “di genere”, si battaglia per vaccini di regime, ma nessuno parla di questo fango in cui lentamente stiamo sprofondando.
Il futuro di una nazione non è semplicemente nella tutela delle risorse naturali, né nel rientro del debito pubblico.
Il futuro di una nazione sono i giovani e prima di loro i bambini.
L’attenzione alle famiglie con figli è stata disastrosa. Si disincentiva la procreazione, si abbandonano a se stesse le madri lavoratrici che spesso si debbono super-impegnare e fare acrobazie su due fronti: la famiglia ed il lavoro. “Figli non ne vuole fare più nessuno” è il mantra di una società alla deriva.
Le famiglie hanno perso oggi la bussola della loro identità e funzione sociale.
Troppo spesso ci dimentichiamo del ruolo fondamentale che ha la famiglia nella società, troppo spesso genitori egoistici (di qualsiasi livello economico) antepongono i loro interessi ai bisogni dei figli, trascurati, deviati, se non abbandonati a se stessi. Sacrificati sull’altare società consumistica: i figli costano, meglio farsi la fuoriserie o la crociera esotica.  
Neppure la scuola è in grado di sopperire alla funzione educativa essenziale che deve implementare quella della famiglia. Gli incontri genitori-docenti sono guerre sino all’ultimo voto, dove ogni critica del docente di turno viene bollata come abuso della funzione didattica e volano minacce se non viene assicurata la promozione a pieni voti.
Per non parlare poi dei servizi sociali, spesso inutili a se stessi, se non deviati e corrotti che, anziché sostenere le famiglie ed i bambini, puntano alla disgregazione, al disadattamento, alla messa sul ricco mercato dell’adozione di carne fresca ed appetibile. Colpa dei genitori bollati come “inadatti” o incapaci.
Vengono sbandierati Ministeri della famiglia, Assessorati per la solidarietà sociale, ma, in concreto, nell’assoluto deserto di valori sociali e familiari, prendono piede, per chi se le può permettere, le scuole di “miss-ballerine-cantanti” o quelle di “calciatori-modelli”.
I bambini, per i quali l’esempio vale più di mille parole, inseguono sogni di campioni sportivi o di attricette e cantanti sulla falsariga di influencer svestite e pronte a vendersi all’ultimo like.
Lo studio, la formazione, la cultura diventano scomodi optional, inutili pesi che gravano su cervelli aggiogati a Instagram, Tik tok e compagnia bella.
È un disastro sociale che svilupperà i suoi effetti collaterali nel prossimi anni: vi fareste mai curare una caviglia slogata da un Ronaldo qualsiasi? O affidereste il progetto di una casa alla Ferragni?
Internet ha sviluppato la capacità predatoria di individui senza scrupoli che speculano sulle voglie e inducono desideri nei ragazzi i cui genitori, per una malevola pace familiare, contrabbandano l’ultimo modello di smartphone o di gadget firmato con il silenzio deviato di bambini e ragazzi. Ma questo non può acquietare le loro coscienze.
Occorre una vera rivoluzione che riproponga il modello famiglia come laboratorio sociale, che intervenga non con inutili sussidi a “perdere”, ma con finanziamenti di scopo per il sostegno delle nascite ed il progresso negli studi e nella società del fanciullo.
Fin dal 1924, all’indomani del disastro della Prima Guerra Mondiale, le Nazioni Unite adottarono una “Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo”, poi integrata nel 1959. Pochi articoli, densi di contenuto, che dovrebbero indirizzare politiche attente allo sviluppo individuale del bambino ed a tutelarlo in ogni sua esigenza. La Dichiarazione pone il divieto di sfruttamento, il diritto di ricevere un’educazione adeguata, di assicurare la libertà e la crescita dei fanciulli. Pochi articoli, che sono rimasti lettera morta anche nei cosiddetti paesi civili, ammorbati da una politica fatta di molte parole e pochi fatti.
Ma si sa, i bambini non votano e quando protestano meglio zittirli con la play station che trascorrere un pomeriggio con loro.
Vergogna.
By Michele Barbera