lunedì 7 novembre 2022

PROGETTO SICILACQUE PER MENFI: SCADENZA OSSERVAZIONI AL MINISTERO TRANSIZIONE ECOLOGICA AL 12/11/2022

 



Continua il cammino del mega-progetto da cento milioni di euro di Siciliacque, società in mano a capitali privati ed alla multinazionale Veolia Acqua, per il tramite della controllata Idrosicilia. 
Ancora una volta, dopo avere allertato con il Comitato Acqua Pubblica di Menfi la cittadinanza e l'Amministrazione Comunale, desideriamo evidenziare che entro il DODICI NOVEMBRE DUEMILAVENTIDUE  scade il termine per la presentazione di OSSERVAZIONI al Ministero per la Transizione Ecologica. 
Ecco il link da cui trarre l'indirizzo e le modalità con cui presentare le OSSERVAZIONI: Ministero Progetto Siciliacque 
Di seguito anche il link contenente l'elenco delle Ditte espropriate di Menfi: Elenco Ditte di Menfi espropriate
Il Comitato per l'Acqua Pubblica di Menfi ha inoltrato una dettagliata memoria di osservazioni, oltre ad una serie di istanze e richieste all'amministrazione pubblica di Menfi per opporsi al progetto ed evitare che il territorio di Menfi, come in tante altre occasioni diventi preda di interessi e speculazioni. 
E' importante fare sentire la nostra voce anche al Ministero per la Transizione Ecologica, affinché i privati che occupano le poltrone di Siciliacque si rendano conto che esiste una opinione pubblica, fedele all'esito del referendum che vuole che l'acqua venga gestita in trasparenza ed efficienza da soggetti effettivamente pubblici e che perseguano esclusivamente l'interesse pubblico.
Veolia, come gli altri privati, persegue interessi propri ed imprenditoriali: 
a) vende ai siciliani la loro stessa acqua, lucrando sul prezzo e facendo propri i profitti; 
b) effettua investimenti con risorse pubbliche, sottraendo le stesse ad altre e più proficue destinazioni; 
c) decide quando, come e dove investire, trascurando la scelta dei dissalatori e non facendo scrupolo nel depredare le risorse idriche del territorio siciliano. 
Veolia ha allungato i suoi tentacoli con partecipazioni e società miste in quasi tutte le regioni italiane, creando ovunque scontento e rabbia nella popolazione per la gestione del servizio idrico. 
La gestione privata del servizio è penalizzante per l'utenza. 
Ai menfitani è stato detto dal personale Siciliacque che le risorse idriche di Menfi per il momento non verranno intaccate, ma la presenza massiccia di un acquedotto da cento milioni di euro all'interno del territorio e la costruzione di partitori in prossimità dei pozzi comunali significa che al momento opportuno nessuno può escludere che la mega conduttura si potrà allacciare ai pozzi comunali che già soffrono di emungimenti in favore di altri comuni. 
E' ora di dire basta. La realizzazione dell'opera avrà un impatto ambientale rilevante, anche con attraversamento di torrenti, fasce di rispetto e zone vincolate. Nel progetto sono del tutto ignorate le fasce di rispetto, l’equilibrio florofaunistico dei torrenti, le previsioni dei Piani paesistici, le tutele normative predisposte dal D.to Leg.vo n.22/01/2004 n.42 e dal D.to Leg.vo n.152/2006.
Viene da chiedersi il perché Siciliacque  anziché riattivare i dissalatori di Marsala e Trapani, gli unici che possono garantire la rinnovabilità della risorsa idrica, preferisce attingere ai bacini ed alle dighe, impoverendo il territorio e sottraendo l'acqua all'agricoltura ed alle attività. 
Si tratta di un'attività predatoria che, in tempi di carenza idrica e di scarsità di precipitazioni, non garantisce alcuna sostenibilità ambientale!
Impegniamoci affinché tale progetto non giunga a realizzazione. A beneficiarne sarà il nostro territorio e le generazioni future di menfitani. 
By M. Barbera
 

giovedì 13 ottobre 2022

INAUGURAZIONE DELLA XIX LEGISLATURA: LILIANA SEGRE PARLA AI SENATORI

 




Il Discorso, profondo e ricco di significati, del presidente provvisorio del Senato, Liliana SEGRE, pronunciato nell'Aula di Palazzo Madama in apertura della prima seduta della XIX legislatura:

"Colleghe Senatrici, Colleghi Senatori, rivolgo il più caloroso saluto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e a quest'Aula. Con rispetto, rivolgo il mio pensiero a Papa Francesco.

Certa di interpretare i sentimenti di tutta l'Assemblea, desidero indirizzare al Presidente Emerito Giorgio Napolitano, che non ha potuto presiedere la seduta odierna, i più fervidi auguri e la speranza di vederlo ritornare presto ristabilito in Senato. Il Presidente Napolitano mi incarica di condividere con voi queste sue parole: "Desidero esprimere a tutte le senatrici ed i senatori, di vecchia e nuova nomina, i migliori auguri di buon lavoro, al servizio esclusivo del nostro Paese e dell'istituzione parlamentare ai quali ho dedicato larga parte della mia vita".

Rivolgo ovviamente anch'io un saluto particolarmente caloroso a tutte le nuove Colleghe e a tutti i nuovi Colleghi, che immagino sopraffatti dal pensiero della responsabilità che li attende e dalla austera solennità di quest'aula, così come fu per me quando vi entrai per la prima volta in punta di piedi. Come da consuetudine vorrei però anche esprimere alcune brevi considerazioni personali.

Incombe su tutti noi in queste settimane l'atmosfera agghiacciante della guerra tornata nella nostra Europa, vicino a noi, con tutto il suo carico di morte, distruzione, crudeltà, terrore...una follia senza fine. Mi unisco alle parole puntuali del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: "la pace è urgente e necessaria. La via per ricostruirla passa da un ristabilimento della verità, del diritto internazionale, della libertà del popolo ucraino".

Oggi sono particolarmente emozionata di fronte al ruolo che in questa giornata la sorte mi riserva.
In questo mese di ottobre nel quale cade il centenario della Marcia su Roma, che dette inizio alla dittatura fascista, tocca proprio ad una come me assumere momentaneamente la presidenza di questo tempio della democrazia che è il Senato della Repubblica.

Ed il valore simbolico di questa circostanza casuale si amplifica nella mia mente perchè, vedete, ai miei tempi la scuola iniziava in ottobre; ed è impossibile per me non provare una sorta di vertigine ricordando che quella stessa bambina che in un giorno come questo del 1938, sconsolata e smarrita, fu costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il suo banco delle scuole elementari, oggi si trova per uno strano destino addirittura sul banco più prestigioso del Senato!

Il Senato della diciannovesima legislatura è un'istituzione profondamente rinnovata, non solo negli equilibri politici e nelle persone degli eletti, non solo perchè per la prima volta hanno potuto votare anche per questa Camera i giovani dai 18 ai 25 anni, ma soprattutto perchè per la prima volta gli eletti sono ridotti a 200.
L'appartenenza ad un così rarefatto consesso non può che accrescere in tutti noi la consapevolezza che il Paese ci guarda, che grandi sono le nostre responsabilità ma al tempo stesso grandi le opportunità di dare l'esempio.

Dare l'esempio non vuol dire solo fare il nostro semplice dovere, cioè adempiere al nostro ufficio con "disciplina e onore", impegnarsi per servire le istituzioni e non per servirsi di esse.

Potremmo anche concederci il piacere di lasciare fuori da questa assemblea la politica urlata, che tanto ha contribuito a far crescere la disaffezione dal voto, interpretando invece una politica "alta" e nobile, che senza nulla togliere alla fermezza dei diversi convincimenti, dia prova di rispetto per gli avversari, si apra sinceramente all'ascolto, si esprima con gentilezza, perfino con mitezza.

Le elezioni del 25 settembre hanno visto, come è giusto che sia, una vivace competizione tra i diversi schieramenti che hanno presentato al Paese programmi alternativi e visioni spesso contrapposte.  E il popolo ha deciso. E' l'essenza della democrazia.

La maggioranza uscita dalle urne ha il diritto-dovere di governare; le minoranze hanno il compito altrettanto fondamentale di fare opposizione. Comune a tutti deve essere l'imperativo di preservare le Istituzioni della Repubblica, che sono di tutti, che non sono proprietà di nessuno, che devono operare nell'interesse del Paese, che devono garantire tutte le parti.
Le grandi democrazie mature dimostrano di essere tali se, al di sopra delle divisioni partitiche e dell'esercizio dei diversi ruoli, sanno ritrovarsi unite in un nucleo essenziale di valori condivisi, di istituzioni rispettate, di emblemi riconosciuti.

In Italia il principale ancoraggio attorno al quale deve manifestarsi l'unità del nostro popolo è la Costituzione Repubblicana, che come disse Piero Calamandrei non è un pezzo di carta, ma è il testamento di 100.000 morti caduti nella lunga lotta per la libertà; una lotta che non inizia nel settembre del 1943 ma che vede idealmente come capofila Giacomo Matteotti.

Il popolo italiano ha sempre dimostrato un grande attaccamento alla sua Costituzione, l'ha sempre sentita amica.

In ogni occasione in cui sono stati interpellati, i cittadini hanno sempre scelto di difenderla, perchè da essa si sono sentiti difesi.

E anche quando il Parlamento non ha saputo rispondere alla richiesta di intervenire su normative non conformi ai principi costituzionali - e purtroppo questo è accaduto spesso - la nostra Carta fondamentale ha consentito comunque alla Corte Costituzionale ed alla magistratura di svolgere un prezioso lavoro di applicazione giurisprudenziale, facendo sempre evolvere il diritto.

Naturalmente anche la Costituzione è perfettibile e può essere emendata (come essa stessa prevede all'art. 138), ma consentitemi di osservare che se le energie che da decenni vengono spese per cambiare la Costituzione - peraltro con risultati modesti e talora peggiorativi - fossero state invece impiegate per attuarla, il nostro sarebbe un Paese più giusto e anche più felice.
Il pensiero corre inevitabilmente all'art. 3, nel quale i padri e le madri costituenti non si accontentarono di bandire quelle discriminazioni basate su "sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali", che erano state l'essenza dell'ancien regime.

Essi vollero anche lasciare un compito perpetuo alla "Repubblica": "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Non è poesia e non è utopia: è la stella polare che dovrebbe guidarci tutti, anche se abbiamo programmi diversi per seguirla: rimuovere quegli ostacoli !

Le grandi nazioni, poi, dimostrano di essere tali anche riconoscendosi coralmente nelle festività civili, ritrovandosi affratellate attorno alle ricorrenze scolpite nel grande libro della storia patria. Perchè non dovrebbe essere così anche per il popolo italiano? Perché mai dovrebbero essere vissute come date "divisive", anziché con autentico spirito repubblicano, il 25 Aprile festa della Liberazione, il 1  Maggio festa del lavoro, il 2 Giugno festa della Repubblica? Anche su questo tema della piena condivisione delle feste nazionali, delle date che scandiscono un patto tra le generazioni, tra memoria e futuro, grande potrebbe essere il valore dell'esempio, di gesti nuovi e magari inattesi. 

Altro terreno sul quale è auspicabile il superamento degli steccati e l'assunzione di una comune responsabilità è quello della lotta contro la diffusione del linguaggio dell'odio, contro l'imbarbarimento del dibattito pubblico, contro la violenza dei pregiudizi e delle discriminazioni.
Permettetemi di ricordare un precedente virtuoso: nella passata legislatura i lavori della "Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza" si sono conclusi con l'approvazione all'unanimità di un documento di indirizzo.
Segno di una consapevolezza e di una volontà trasversali agli schieramenti politici, che è essenziale permangano.

Concludo con due auspici. Mi auguro che la nuova legislatura veda un impegno concorde di tutti i membri di questa assemblea per tenere alto il prestigio del Senato, tutelare in modo sostanziale le sue prerogative, riaffermare nei fatti e non a parole la centralità del Parlamento.

Da molto tempo viene lamentata da più parti una deriva, una mortificazione del ruolo del potere legislativo a causa dell'abuso della decretazione d'urgenza e del ricorso al voto di fiducia. E le gravi emergenze che hanno caratterizzato gli ultimi anni non potevano che aggravare la tendenza.

Nella mia ingenuità di madre di famiglia, ma anche secondo un mio fermo convincimento, credo che occorra interrompere la lunga serie di errori del passato e per questo basterebbe che la maggioranza si ricordasse degli abusi che denunciava da parte dei governi quando era minoranza, e che le minoranze si ricordassero degli eccessi che imputavano alle opposizioni quando erano loro a governare.

Una sana e leale collaborazione istituzionale, senza nulla togliere alla fisiologica distinzione dei ruoli, consentirebbe di riportare la gran parte della produzione legislativa nel suo alveo naturale, garantendo al tempo stesso tempi certi per le votazioni.

Auspico, infine, che tutto il Parlamento, con unità di intenti, sappia mettere in campo in collaborazione col Governo un impegno straordinario e urgentissimo per rispondere al grido di dolore che giunge da tante famiglie e da tante imprese che si dibattono sotto i colpi dell'inflazione e dell'eccezionale impennata dei costi dell'energia, che vedono un futuro nero, che temono che diseguaglianze e ingiustizie si dilatino ulteriormente anzichè ridursi. In questo senso avremo sempre al nostro fianco l'Unione Europea con i suoi valori e la concreta solidarietà di cui si è mostrata capace negli ultimi anni di grave crisi sanitaria e sociale.

Non c'è un momento da perdere: dalle istituzioni democratiche deve venire il segnale chiaro che nessuno verrà lasciato solo, prima che la paura e la rabbia possano raggiungere i livelli di guardia e tracimare.

Senatrici e Senatori, cari Colleghi, buon lavoro!".

domenica 28 agosto 2022

“PARACADUTATI” ALLE ELEZIONI: UNO SCHIAFFO PER LA SICILIA ED I SICILIANI

 


Se qualcuno avesse voluto una prova (l’ennesima) del più bieco e becero opportunismo dei politici di questa Italietta, lo invito a scorrere le liste dei candidati al maggioritario ed al proporzionale.
Vince ovunque la ricerca del posto sicuro, del collegio blindato.
Una volta si diceva che il deputato doveva essere espressione del territorio. Oggi è l’esatto contrario: il candidato paracadutato potrà – al più – essere fedele e riconoscente al partito ( o movimento che dir si voglia) che lo ha piazzato, ma che interesse potrà avere per un territorio in cui forse sarà andato a fare una o due serate preelettorali?
In Sicilia non è andata meglio che in altre zone d’Italia. Oggi, anziché il granaio d’Italia, è vista come un feudo elettorale, un bottino da depredare, dove i risultati si danno per scontati. Così, qualche big di partito ha piazzato il suo sedere o quello dell’amico, o della sua fidanzata o compagna in collegi definiti “blindati”, un insulto all’elettorato, od anche in uno o più listini regionali legati all’aritmetica astratta o al gioco dei dadi dei consensi.
Il territorio è scomparso, la partitocrazia scellerata si è spartita l’Italia con una emigrazione incrociata di cavalier serventi e di ventura, in tremante attesa che i voti confermino la profezia delle statistiche, salvo – poi – una volta a Roma, voltar gabbana e spalle alla prima occasione di una poltrona o di un gratificante appannaggio. Ci sono politici che - con disinvoltura e faccia tosta - hanno cambiato idea, casacca e opinioni al primo spirar del vento, e che ancora oggi trovano incredibilmente posto in prima linea per il parlamento.
È il mostro che divora se stesso: cosa si possono aspettare i partiti che hanno asservito il popolo ad una classe politica mercenaria, che punta allo scranno di onorevole come un disoccupato all’agognato posto fisso?
A farne spese sono le regioni che, paradossalmente, avrebbero più bisogno di una classe politica attenta ed attiva ai loro bisogni, come la Sicilia.
Non è vero è che in Sicilia vi sono solo “pecoroni”.
La Sicilia da tempo aspira al cambiamento, è disponibile a giocarsi ogni volta il tutto per tutto pur di cambiare. Negli anni passati si sono visti capovolgimenti di fronte, i grillini che gridavano al “cappotto”, come avevano fatto prima i berlusconini.
Ma, a valutare i fatti, si vede come, ogni volta, se i suonatori sono cambiati, la musica è rimasta sempre la stessa. E la Sicilia sprofonda, sempre più arrabbiata, sempre più disillusa.
Ancora oggi, in questi primi scorci di campagna elettorale, tutti ad esortare che “la Sicilia deve cambiare” che i “siciliani devono avere uno scatto di orgoglio”, “prima la Sicilia” e così via...
Siamo sicuri  che i siciliani devono cambiare oppure è la classe politica barbina e farlocca che deve fare un serio esame di coscienza?
Ed i politici siciliani? Sono scomparsi? No, semmai, i più scaltri hanno utilizzato pure loro le alchimie della statistica per farsi paracadutare in collegi o listini apparentemente sicuri.
Non pigliamoci in giro. Per favore. Votare un ”candidato  forestiero”,  un soldato di ventura, uno (o una) che all’indomani delle elezioni e dei ringraziamenti di rito non riserverà un rigo delle sua agenda a quel territorio, che volete che utilità abbia?
La verità è che il paracadutismo serve proprio a cancellare le tracce di questo rapporto con il territorio: se il politico eletto fa male, lo si va a paracadutare da un’altra parte.
È una sorta di gioco delle tre carte, il supremo inganno, in cui a vincere sono sempre e solo i partiti. Ed a perdere, purtroppo, è il popolo.
By Michele Barbera


IL PIACERE DI LEGGERE: CHIANTULONGU, poesie DI JOSE’ RUSSOTTI

 

Quanta forza e pathos può avere la voce interiore del poeta?
E quanto più dall’interno scaturisce, tanto più convoglia in esso tutto il suo fremere, il suo pulsare, il suo sentire, il suo percepire, fino ad esplodere in una dimensione universale.
Il “pianto-lungo” che nella bivalenza semeiotica ed assonanza linguistica non è solo “chiantu”, pianto, ma anche, mi piace questa sinestesia fonetica, “canto”.
Un canto sommesso, che ricorda quello del bambino di fronte ai misteri del mondo (è che cosa è il dolore umano se non un mistero, una condizione di infelicità acuta ed atavica), ma riporta alla memoria anche il salmodiare dei cori tragici greci che accompagnavano gli spettatori alla catarsi, alla purificazione del dolore.
Il pianto, dunque, ha un potere ancestrale, intimo, personale, eppure universale. Accomuna tutti gli uomini, fin dall’atto della nascita. Leopardi si attarda nei suoi scritti a descrivere “la tragedia della nascita” e di come la madre deve sapere consolare il bambino, quasi come un viatico nel lungo cammino e dolore dell’esistenza.
José Russotti trasmette con le poesie di Chiantulongu, tutta la sua ansia intellettuale, il senso profondo ed oscuro di un disagio esistenziale che si dipana, nell’arco teso di una intensa tensione emotiva, in senso diacronico, ovvero con lo sguardo insieme alle proprie radici e, al contempo, proteso in un futuro incerto, labile e precario: “Ndâ l’utru chi gnutti l’uttima fogghia, / suru ‘na rrancata i ventu / muntùai nostri nommi. (Nell’otre che ingoierà l’ultima foglia/solo un attimo di vento / nominerà i nostri nomi.).
In questo oblio sensibile ed immanente, il poeta rappresenta una pietra d’inciampo, un lampu sbrannenti, un lampo splendente, che anela a rimanere, al di là dell’orizzonte materia-morte nel cuore di chi lo ha voluto bene, che richiama la foscoliana ”eredità d’affetti” che lega in comunione di spirito i vivi ai morti.
Ma il pianto è anche metafora di vitalità, di rabbia, di riscatto. È un sentimento passionale, mai domo né rassegnato, che – come è stato scritto – odora di rimpianto e desiderio.
Il grande merito di José Russotti nella sua silloge Chiantulongu è il volere esplorare con il desiderio e la passione, fare vibrare a fondo i suoi versi fino a tendere l’estremo arco lirico, un punto di non ritorno espressivo nel dualismo parlata dialettale-lingua italiana.
Le poesie di José vivono nella dimensione metafisica de Il vecchio ed il mare di Hemingway, in cui l’uomo è costretto ad affrontare - in una lotta dal lirismo struggente-, l’oceano-natura che lo circonda, con la consapevolezza che si tratta di una lotta impari, in cui deve confrontarsi con forze titaniche, destinate a travolgerlo. Eppure non si rassegna.
La vita, dunque, come sfida al destino ineluttabile, il coraggio e la tenacia dell’uomo che affronta il mistero dell’esistenza, la fusione dell’uomo con il suo habitat naturale, vissuto come proiezione dell’individuo, la tensione spirituale dell’incombere della morte.
Ma José Russotti non è solo. Il suo cammino sentimentale, per quanto impervio ed accecante, si orienta con bussole emotive che lo sorreggono nella sua riflessione, nel suo anelito lirico contro ogni banale contingenza.
La figura del padre, a cui José Russotti dedica versi che sono spaccati di cuore, in cui momenti di quotidianità assurgono a icone di memoria dove emergono, forti ed indissolubili, i caratteri dell’amarezza della vita, dei sacrifici che in apparenza inaridiscono gli affetti e si ergono a scudo di vissuti non facili.
Ma ecco la rivelazione, quelle mani piagate dal lavoro, quella scorza di apparente durezza si scioglie: “ ’U sacciu, sunnu mani di petra / ma sannu ancora ‘carizzàriti” (Lo so, sono mani si pietra / ma sanno ancora accarezzarti).
Accanto alla figura del padre, José si stringe alla madre. I toni diventano acutamente più sensibili. Anche lei portata via dalla morte, nel chiantu che trasmuta in cantu. José intona un lamento amaro, di fronte all’ultimo istante, l’uttima ‘rrancata, insieme a lei. E di fronte alle ossa sepolte, mute, incapaci di parlare, al poeta non rimane che “custodire la sua voce”.
Gli affetti familiari diventano ancore spirituali per il poeta, così nei versi dedicati alla moglie  ed alla figlia Elyza.   
L’eco pavesiano palesato dal poeta tratteggia la moglie come una “terra che nessuno ha mai svelato”, metafora di un legame d’amore che celebra la “femmina e madre”, in cui l’uomo implora rifugio: “dumannu a ttia, fimmina e matri:/ lassa stari l’affannu e fammi sentiri / a calura  di to’ mani subbra a facci, / ora, c’u ‘nvernu si tratteni”. (Chiedo a te, femmina e madre:/ lascia stare gli affanni e fammi sentire / il calore delle tue mani sul viso, / ora, che l’inverno si trattiene).  
Ed il cammino dei ricordi prosegue con la memoria della figlia Elyza, stella nascente, esposta come una “rondine d’amore” alla tempesta della vita, ad una sorte in cu il destino beffardo non risparmia colpi amari: “U distinu ti lassau â fera d’a vita, / commu s’a motti è na parora mai data / unnni u distinu si rrasca affina ȏ funnu” (Il destino ti lasciò alla fiera della vita,/ come se la morte fosse una parola mai data,/ dove il destino si raschia sino al fondo).
L’eco del “pianto lungo”, la corrente del canto, trascina via José dai suoi affetti intimi e familiari con uno sguardo sgomento alla pandemia, che costringe al chiuso, che gonfia e spacca i cuori, nell’aria ammorbata “d’i manziònnu senza canzuni”. Di fronte all’ineluttabile, tace l’aedo, il silenzio si misura a firagni, filari, mentre il dolore penetra come una spina e le donne contano i morti.
Il lirismo russottiano, venato di malinconica saudade, avvolge anche Malvagna, la terra del cuore. Nei versi di José dedicati al borgo ed alla natura che lo circonda, scopriamo il riverbero vivido di certi sipari montaliani che si accompagnano ad un degradare, ad un meriggiare pallido ed assorto che non dimentica il travaglio della vita e la “muraglia” con in cima cocci aguzzi di bottiglia.     
José canta i muri a secco, i gechi al sole, la gramigna nelle fessure: “ndȇ murazzi a siccu di ‘zzazzamiti ȏ suri / crisci e spaja / a rramigna ndȇ ‘ngagghi: / ghiommuru di radica ‘nta terra.”
Ma il poeta ha la veggenza di un futuro che non risparmierà il borgo, del quale rimarrà viva solo la memoria: Lassatimi cantari ȏmunnu / a storia d’un paisi chi mmori / di lacrimi e staciuni di viti passati”.    
L’afflato finale della silloge, l’uttima fogghia, è riservato alla sublimazione della esperienza universale, al comune sentire e vivere, alla sorte che rende eguali gli uomini: “non vidu nudda differenza / tra chiddu chi fu aieri / e chiddu chi sarà dumani: / suru a motti mmisca e sracancia i catti / subbra a tuagghia d’a vita”  (Non vedo nessuna differenza / tra quel che accadde ieri / e quale che accadrà domani: / solo la morte sconvolge e muta le carte / sulla tovaglia della vita).
La forza catartica della poesia è la leva della vita, la chiave di volta che risiede ed anima il cuore dell’uomo e di cui José ha un bisogno esiziale: si vive d’amore e di nulla, ma la poesia è un tesoro di cui l’uomo non deve privarsi, la poesia è acqua che esce dalla roccia.
E rimaniamo, mano nella mano, con José ed i suoi splendidi versi, che invito tutti a leggere, ad osservare affatati questo immane tramonto che è la vita umana, ad attendere lento il buio che scende con il desiderio che con sé porti un destino diverso, una sorte meno amara.
By Michele Barbera

sabato 13 agosto 2022

CONTRIBUTO DA UN MILIONE DI EURO: IL COMUNE DI MONTEVAGO VINCE IL RICORSO AL TAR

 


L'On.le Margherita La Rocca Ruvolo
L’istanza di finanziamento del progetto e la relativa richiesta di contributo per l’esecuzione di lavori di ricostruzione della strada Serafino e di ristrutturazione di quella Sajaro nel territorio del Comune belicino guidato dal Sindaco On.le Margherita La Rocca Ruvolo, ammontante a €.999.974,03, è ammissibile e la Regione Siciliana dovrà esaminarla nell’ambito dei progetti finanziabili del Programma di Sviluppo Rurale REGIONE SICILIA 2014-2020.
A stabilirlo è stata la Terza Sezione del TAR Sicilia con la recentissima sentenza n.1876/2022.
Il Collegio dei Giudici Amministrativi, che ha accolto i motivi del ricorso patrocinato dall’Avvocato Paola Barbera, ha stabilito, infatti, che il progetto – riguardante il rifacimento di una importante arteria della viabilità rurale nel territorio montevaghese – aveva tutti i requisiti per essere ammesso nella graduatoria di quelli finanziabili dal P.S.R. 2014-2020, graduatoria dalla quale era stato illegittimamente escluso. 
Avv. Paola Barbera
L’avvocato Paola Barbera, impugnando i provvedimenti che avevano negato l’ingresso del progetto a finanziamento, ha sostenuto la ultroneità e la illegittimità delle conclusioni propugnate dagli uffici regionali che afferivano la successiva fase della cantierabilità (e dunque dell’esecuzione dei lavori) piuttosto che di quella dell’ammissione al finanziamento.
Il progetto,  presentato dall’Ufficio Tecnico del Comune di Montevago, con a capo l’ing. Sanzone aveva, infatti, i requisiti necessari per essere incluso nella graduatoria dei progetti finanziabili.
L'Ente ha scelto, dunque, di presentare il ricorso con il patrocinio del legale menfitano. 
La sentenza del TAR Sicilia, esecutiva nei confronti della Regione, nell’accogliere le motivazioni del ricorso, ha reso giustizia, obbligando gli Uffici regionali, sotto la pena del commissariamento ad acta, ad eseguire gli atti necessari per l’inclusione dell’istanza a contributo fra i progetti ammissibili a finanziamento.
Un ulteriore e positivo obiettivo, assieme a tanti altri, raggiunto dall’amministrazione del sindaco On.le Margherita La Rocca Ruvolo, che si distingue per le capacità progettuali ed il dinamismo gestionale, in grado di fare fronte con energia, tenacia e lungimiranza alle problematiche del territorio e della comunità montevaghese.
By M. Barbera  

venerdì 8 luglio 2022

SE PUTIN FOSSE INTELLIGENTE...

 


Se Putin fosse intelligente,
saprebbe che vendere l’anima al diavolo
non è mai un buon affare.
Se Putin fosse intelligente
saprebbe che chi comanda con il terrore
fa sempre una cattiva fine.
Se Putin fosse intelligente
saprebbe che invadere nazioni libere
innesca solo odio e rancore in tutti i popoli.
Se Putin fosse intelligente
saprebbe che la storia del popolo russo
non è fatta di lecchini, ma di rivoluzionari.
Se Putin fosse intelligente
saprebbe che mandare in guerra con l’inganno
alimenta nei soldati il tradimento e la diserzione.
Se Putin fosse intelligente
saprebbe che per un generale la migliore vittoria
è quella raggiunta senza spargimento di sangue.
Se Putin fosse intelligente
saprebbe che anche la nazione più ricca del mondo
ha bisogno di pace per prosperare.
Se Putin fosse intelligente
saprebbe che la fame e la miseria in guerra
sono veleni che appestano senza conoscere confini.
Se Putin fosse intelligente
saprebbe che nella storia ogni dittatore o tiranno
è sempre stato calpestato dal suo stesso popolo.
Se Putin fosse intelligente
saprebbe che per ogni tiranno, raggiunta la vetta,
dopo non c’è che la discesa e l’abisso.
Se Putin fosse intelligente
saprebbe che camminare sul sangue
significa affogarci dentro.
Se Putin fosse intelligente
ma non lo è. Questo è il vero problema.
By Michele Barbera

sabato 28 maggio 2022

SICILIA GRANAIO D'ITALIA? LE SCELLERATE POLITICHE AGRICOLE EUROPEE


 

Adesso che con la guerra in Ucraina è scoppiata la crisi del grano per colpa di quel pazzo di Putin che vuole affamare mezzo mondo (oltre a sterminare una intera nazione), tutti - improvvisamente - si sono ricordati che la Sicilia era nominata il "granaio dell'Impero Romano". 
Adesso, dopo che per decenni i politici italiani hanno tutelato l'agricoltura del Nord, l'allevamento della vacche, il latte, il mais, il riso ed hanno abbandonato nelle fauci ottuse dei burocrati di Bruxelles l'agricoltura siciliana e del Meridione, quasi boicottando la produzione di grano.
Oggi, nonostante tutto, in media la Sicilia produce oltre 770 mila tonnellate di grano all'anno e sicuramente potrebbe produrne di più, ma a che condizioni?
Hanno fatto storia le navi che approdavano in Sicilia con il grano canadese avvelenato di glifosate. Ma nessuno si chiede perché il grano siciliano è stato pagato per decenni ad un prezzo di mercato così irrisorio da scoraggiare i produttori a continuare le semine, con il risultato che siamo diventati sempre più vittime delle importazioni di un prodotto che da noi (come altri prodotti) raggiunge il grado di eccellenza. 
La verità è che per decenni l'agricoltura siciliana è stata devitalizzata, preda di burocrazie sorde ed ottuse, priva di dinamicità, strangolata dalle speculazioni di mercato. 
Risultato? Terreni incolti, abbandono delle colture autoctone, ricerca di nuovi "prodotti" per soddisfare i pruriti del mercato e sopravvivere. 
L'agricoltura è essenziale per l'economia e la vita di una Nazione. Prestare maggiormente tutela e sostegno alle peculiarità dell'agricoltura non è superfluo, né arretrato. Credo che oggi con la guerra in Ucraina, che ha distrutto interi cicli economici e sterminato inutilmente un popolo, l'Europa ed i nostri politucoli italiani si siano finalmente resi conto che incentivare l'agricoltura e renderci meno dipendenti dalla "globalizzazione" significa garantire il benessere di una Nazione. 
By Michele Barbera 

   

lunedì 23 maggio 2022

GUIDA BREVE AI REFERENDUM DEL 12 GIUGNO

Il 12 giugno 2022 oltre 51 milioni di elettori voteranno su cinque referendum abrogativi indetti con decreti del Presidente della Repubblica del 6 aprile scorso per il giorno di domenica 12 giugno 2022.

ABROGATIVO significa che votando SI' si abroga, dunque, si cancella una legge in vigore. 

Chi vuole mantenere le leggi attuali deve votare NO.

Nel dettaglio, avranno i seguenti colori:



  • scheda di colore rosso per il Referendum n. 1: in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi;VOTANDO SI' anche chi è condannato per reati gravi con sentenza definitiva può essere eletto e ricoprire responsabilità di Governo
  • scheda di colore arancione per il referendum n. 2: limitazione delle misure cautelari nel processo penale; VOTANDO SI' chi è indagato per un reato non può essere detenuto in carcere anche se si teme che possa compiere altri reati gravi
  • scheda di colore giallo per il referendum n. 3: separazione delle funzioni dei magistrati. VOTANDO SI' si esclude che un magistrato durante la carriera passi a fare il Giudice da Pubblico Ministero e viceversa,
  • scheda di colore grigio per il Referendum n. 4 : partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari. VOTANDO SI' gli avvocati che fanno parte dei Consigli giudiziari potranno votare in merito alla valutazione dell’operato dei magistrati e della loro professionalità.
  • scheda di colore verde per il Referendum n. 5: abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura. VOTANDO SI' si cancella l’obbligo di un magistrato di raccogliere da 25 a 50 firme per presentare la propria candidatura al Consiglio Superiore della Magistratura.

Dal Ministero dell'Interno risulta che il corpo elettorale comprensivo anche degli elettori residenti all’estero, desunto dalla rilevazione semestrale 31.12.2021, è pari a 51.533.195 di cui: 25.039.273 uomini e 26.493.922 donne.

By Michele Barbera

mercoledì 18 maggio 2022

MENFI: INTITOLATA UNA PIAZZA AL POETA DIALETTALE NINO ARDIZZONE

 


È ufficiale: con delibera n.42 del 13/5/2022 la Giunta Comunale di Menfi ha intitolato il bel piazzale incorniciato dalle vie L. Cacioppo, Via IV Novembre, Via Mazzini e Via Cascino a “Nino Ardizzone Poeta”.
Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo ne ricorda di certo la viva intelligenza, la capacità sapida di penetrare gli eventi sociali e politici della “sua” Menfi, a cui serbava salaci riferimenti nelle sue poesie. Echi di impegni civile e sociale trasfusi  – con rara ironia e fine satira – in versi che meritano tutt’oggi di essere letti per la loro originale passione.  Ma non solo. Figlio di una sentita tradizione contadina, amante dell’ambiente, profondo conoscitore del territorio degli usi e costumi popolari,  incarnava nelle sue liriche una insuperabile saggezza, con versi spontanei ma ricchi di una capacità descrittiva pittorica: pennellava paesaggi letterari  tridimensionali, conservando nella memoria storica il genius loci, la ricchezza umile della civiltà contadina.
Lo “zziu Ninu lu poeta” era un “riminaturi di coscienze”, un “agitatore”, un moderno menestrello, capace in ogni situazione ed in ogni dove e con chiunque di infervorarsi e di scaldare l’uditorio che, immancabilmente, rimaneva trascinato ed appassionato alle sue rime che, come un buon vino invecchiato, sapevano dare vita ed essenza all’onestà dei sentimenti della gente umile, ai valori esistenziali più trascurati, alle sensazioni più intime.
Nino Ardizzone si è cimentato – con successo – anche nella drammaturgia, con – ad esempio – il dramma in versi “Lamentu di natura”, una sentita elegia che esprime tutto l’afflato dell’autore per la sicilianitudine mediterranea, densa di solarità e di toni veristi.
La poesia dialettale spesso – nel panorama culturale siciliano – è stata considerata in tono minore, snobbata perché i poeti dialettali erano quasi sempre figure del popolino, quasi analfabeti, figli di quella tradizione orale che pure vanta agli antipodi Omero e gli aedi della Grecia antica. Oggi questa tradizione orale vanta autori di tutto rispetto che prediligono il dialetto o lingua locale che dir si voglia, non per necessità ma per elezione, come mezzo espressivo dotato di una gamma di tonalità e vocalità uniche e raffinate, uno strumento che vibra su corde antiche, ancestrali, suoni espressi in lemmi arcaici, gergali, intimi.
Produzioni poetiche come quelle di Nino Ardizzone, che si pregiano di diverse raccolte e di centinaia di poesie, si collocano, per ricchezza espressiva, prolificità e originalità di contenuti, come gemme uniche, irripetibili del proscenio naif e neoverista della letteratura in lingua locale (o dialetto) di questo scorcio di millennio.
Voglio adesso darvi due esempi mirabili della produzione di  Nino Ardizzone. Li lascio così senza traduzione, titillando nei lettori non siciliani la voglia ed il desiderio di approfondire il dialetto siciliano.
La prima poesia è dedicata ad un prodotto agricolo simbolo del Menfishire, il carciofo, celebrato da lu zzu Ninu come prelibato prodotto culinario ed, allo stesso tempo, quasi un riscatto alle sofferenze del contadino, un premio alla sua costanza ed alla sua fatica in cui trasluce un pathos gratificante:  
 
La carcocciula
 
 
Pista, li viddaneddu n'tà la crita
mmezzu la terra tutta abrivirata
cu li pidduzzi dintra la stivali
pista e caddia, mmezzu li vattali.
 
lu suli cannalia forti ed è cucenti
e l'omu curvu sutta la calura
si chianta l'ova, soffri e un dici nenti
tuttu nfangatu e chinu di sudura.
 
La terra nfoca e scatta lu cardunu
mittennu ncapu terra lu gigghiuni
prosparu, beddu, chinu di bardazza
chi tra 'nnabrivirata e 'nna zappata
metti ad ognunu 'npettu la spiranza
c'un fussi chista natra malannata.
 
C'un mancia carcocciuli un ci cridi
ma la cardunera chianci,
la cardunera ridi
e ridi e chianci chiddu chi la chianta
chi prea lu cristu cu 'nna pacenza tanta.
 
Ognunu a lu modu sò e la sò manera
'paviri chi ti chiantà tuttu sudatu
ora ti cogghi prestu la matina
tuttu finu a lu cintu assampanatu
di li tò foghi chini d'acquazzina
e 'nti la facci senti 'nna vampata
quannu trova la triffa addisirata.
 
Cu tia la vita è veramenti dura
ma quannu finisci poi 'nti la pignata
ognunu chi ti mangia t'assapura
fritta a stufatu o fatta strapazzata.
 
E 'nta lu munnu nunn'asisti cocu
chi 'nun ti fa arrustuta n'ta lo focu
cu anticchia d'oghiu e un pizzicu di sali
si megghiu di la carni di maiali.
 
Li pitalicchi comu nnà rosa
virdi, viola di beddi culuri
quannu li metti mmucca su dda cosa
chi dunanu a la vita lu sapuri.
 
Duci è lu trunzu, e la cosca vidè
ma arrivatu a lu cori
è muccuni di re.
 
Domestica, viola o spinusedda
di li verduri tu si la chiù bedda
però cu tia la vita è sempri dura
si un veru gran misteru di natura.
 
La seconda, per gentile concessione dell’Editore Aulino di Sciacca, sempre attento agli autori ed alla produzione letteraria locale, non solo in lingua italiana, ma anche in dialetto locale è Terra, tratta dalla silloge Quann’era picciliddu, pubblicata da Nino Ardizzone nel 1998. Una lirica dai toni universali, che sovrappone la grandiosità e l’essenzialità del fenomeno della pioggia, che quasi stravolge la vita, oggi si direbbe “resetta”, rispetto al rassicurante vissuto quotidiano, fatto di mille momenti che la chiuvuta, magari troppo abbondante o fuori tempo, interrompe, anche in un momento topico, quello della mietitura e della trebbia:
 
Terra
 
Chiovi e non si senti ciavuru di terra
né ciavuru di fenu ammanucchiatu
manca lu cavaddunciu, non c’è la gregna,
lu postu d’aria è sulu e disulatu.
 
Manca lu stinnituri, la timogna,
manca lu parafocu latu e latu
d’un virdi quasi russastru di vriogna
c’è sulu lu garifu ammaraggiatu.
 
Manca lu cantu di lu mitituri
chi lu iermitu ammasa a la bisogna,
la maistria di lu ‘nfasciaturi
chi cu ancinu e ancinedda, fa la gregna.
 
Manca la vuci di lu pisaturi
chi l’aria batti, cu jumenti e muli
caccia la cucchia chinu di suduri
tra spichi e busi, aspari di suli.
 
Manca lu spagghiaturi a la sintina,
la pagghia ammarvunata sutta ventu,
manca lu scrusciu di la cirnitina
lu ciavuru di spichi e di furmentu.
 
Manca lu cantu di lu pagghialoru
chi ‘ntona ‘ntà lu cori di la notti
nun c’è rituni ‘ncapu l’antaloru
nun c’è pagghieri cu finestri o porti.
 
Vertuli non ci ‘nn’è chiù ‘nta lu pagghiaru
manca lu ciascu, manca la lancedda
c’è sulu lu ricordu duci e amaru
di ‘nnà scarsa dieta puvuredda.
 
Chiovi e sbummica la terra
tuttu lu vilinazzu stramminatu
comu si l’omu avissi fattu guerra
guerra a la vita, guerra a lu criatu.
 
Chiovi, chiovi
e nun si senti ciavuru di terra.
 
Un plauso, dunque, alla memoria di Nino Ardizzone, all’Amministrazione Comunale di Menfi, per avere onorato la figura di uno dei suoi figli meritevoli e prediletti, alla famiglia Ardizzone ed, in particolare, al cavaliere Giovanni Ardizzone, uno dei promotori più attivi dell’iniziativa.
Mi auguro, come già espresso da Rosario Loria, attento operatore culturale di Menfi, che al più presto l’Amministrazione voglia ricordare la figura di lu ‘zziu Ninu con una bella manifestazione culturale, che coinvolga la popolazione ma che non sia prettamente “accademica” o sofisticata. Nino Ardizzone non lo vorrebbe. Invece, auspichiamo una manifestazione “dal basso” che veda protagonista il poeta ed il suo popolo, la sua gente, il suo territorio, che ha tanto amato e che è stata per lui inimitabile fonte di ispirazione ed alla quale rivolgeva sempre il suo canto di poeta indomabile ed appassionato e fin troppo, talvolta, incompreso.
By Michele Barbera 


mercoledì 16 marzo 2022

LA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA CONDANNA PUTIN E LA RUSSIA

 


La Corte Internazionale di Giustizia dell'ONU con Sede all'Aja ha emesso oggi l'ORDINANZA con cui ha adottato le seguenti misure cautelari su ricorso dell'Ucraina contro la Russia di Putin: 
1) la Federazione Russa deve sospendere immediatamente le operazioni militari che ella ha iniziato il 24 febbraio 2022 sul territorio dell'Ucraina; 
2) la Federazione Russa deve vigilare affinché nessuna unità militare o unità armata irregolare che potrebbe agire sotto la sua direzione o beneficiare del suo appoggio, né alcuna organizzazione o soggetto che potrebbero essere sotto il suo controllo o la sua direzione commettano atti tendenti alla prosecuzione delle operazioni militari indicate al superiore punto 1); 
3) le due Parti devono astenersi da tutti gli atti che rischino di aggravare o di estendere il contenzioso davanti il Tribunale o di rendere più difficile la composizione. 
Per i primi due punti su 15 giudici solo due hanno votato contro: il giudice russo e quello cinese, il terzo è stato approvato all'unanimità.
La Russia deve interrompere l'invasione e lasciare il territorio ucraino. 
La Russia non si è presentata davanti la Corte, asserendo che la stessa non aveva giurisdizione sul caso, eccezione del tutto infondata.
Per chi vuole leggere l'intera ordinanza ECCO IL LINK: ORDINANZA DELLA CORTE (TESTO FRANCESE) 
L'ordine è vincolante ai sensi del diritto internazionale, l'ONU è garante della sua applicazione. 
Questo ordine, seppure cautelare, dunque provvisorio ed urgente, potrebbe aprire nuovi scenari: non solo la sua mancata applicazione isolerà ancora di più la Russia e aggraverà l'accusa a Putin di essere un criminale di guerra e le accuse di genocidio a danno del popolo Ucraino, ma potrebbe legittimare un intervento della stessa ONU, con i famosi "caschi blu", sul territorio ucraino a difesa della pace e della popolazione. 
Per Mad Vlad, Putin "il pazzo", come lo chiamano in Inghilterra, una ulteriore batosta. Anche il "fronte interno", quello del popolo russo, comincia ad agitarsi: le bugie non bastano più a fermare la collera del popolo russo contro Putin.
Del resto, in Russia la dittatura ha buttato la maschera: non vi è libertà di parola, di informazione, di associazione, di esercizio del pensiero e di opinione. Vi è una grave crisi economica a causa di una guerra inutile e crudele contro un popolo fratello. Una situazione devastante. 
L'invasione feroce e barbara dell'Ucraina è stato un evento che il mondo intero non poteva ignorare. 
Putin deve essere fermato.
By Michele Barbera 

domenica 6 marzo 2022

PUTIN ED IL “FRONTE INTERNO”: LA GRANDE PAURA

 



Putin non teme la NATO, tenuta a bada con la minaccia nucleare. Né l’Ucraina. Sa benissimo che il potenziale bellico di cui dispone prima o poi costringerà Kiev a capitolare, dopo un’inenarrabile ed immane strage di civili e la distruzione barbara di interi territori ed infrastrutture.  
Bisognerà poi vedere se Putin si fermerà all’Ucraina o pretenderà altri territori in nome dell’espansionismo.
L’indifferenza del mondo all’occupazione bellica della Crimea nel 2014 è stato un segnale non ascoltato, che ha portato oggi alla invasione ed alla strage degli Ucraini con la lucidità di un pazzo criminale.
È stato un silenzio colpevole che ha innescato l’appetito vorace di un dittatore senza scrupoli.
In realtà Putin ha solo un punto debole ed è il “fronte interno”: quello della dissidenza, della coscienza di un popolo che rifiuta il genocidio ucraino e che non vuole assecondare il baratro della rovina verso cui lo sta spingendo il dittatore.
La storia insegna che alla fine nell’assecondare i progetti folli di un dittatore a rimetterci è sempre e comunque il popolo.
Putin ha perseguito con lucida strategia di rendere inoffensivo ed impotente il “fronte interno”.
Ecco perché da tempo ha avvelenato, ucciso, incarcerato tutti gli oppositori interni.
Ecco perché vieta persino di utilizzare i termini “guerra”, invasione e simili a proposito dell’Ucraina.
Ecco perché ha fatto promulgare dalla Duma, il parlamento fantoccio, una legge che punisce con 15 anni di carcere ogni autore di notizie che non siano compiacenti ai suoi desideri.
Ecco perché ha costretto le televisioni internazionali a ritirare i loro corrispondenti.
Ogni informazione libera e indipendente all’interno della Russia è stata annientata con lucida ferocia.
Putin continuerà a prendere in giro l’Occidente ed i suoi “intermediari”, proporrà finte tregue sino a quando Zelensky ed i suoi non si arrenderanno di fronte al genocidio del popolo ucraino.
Dopo l’Ucraina sarà la volta della Transnistria, quella lingua di terra tra l’Ucraina e la Moldavia che risulta indipendente. O della Moldavia? O dell’Estonia?
E poi? Chi porrà fine ai sogni di guerra del dittatore Putin?
L’FSB, il servizio segreto successore della KGB, assicura a Putin l’intercettazione di ogni membro del governo russo, sorveglia ogni comunicazione, ogni contatto ed ogni movimento di ogni politico russo. Pronto ad intervenire con “malattie” improvvise, incidenti o altro.
I veri eroi della Russia moderna sono i dissidenti, coloro che di fronte al dittatore non hanno paura di protestare e di invocare la libertà.
Putin teme loro più di ogni altra potenza estera. Ecco perché reprime con ferocia ogni tentativo di protesta e rassicura il popolo russo, fomentando l’odio verso le nazioni estere, colpevoli di “russofobia”.
Questa guerra potrà finire solo con la destituzione del dittatore Putin. Il mantenimento al potere di Putin è fuoco che cova sotto le ceneri.
Ed il popolo russo lo ha compreso.
By Michele Barbera


domenica 27 febbraio 2022

CARO VLADIMIR PUTIN...

 








La storia tragicamente si ripete. Nulla di nuovo sotto il sole. Sei il capo di un popolo che ha vissuto dittature, dispotismi e rivoluzioni, successi imperialistici e rovinose decadenze. Uno fra i tanti. 
Sei un leader che vuole esaltare il suo sentimento nazionale, il "patriottismo", che da quando è capo del suo governo persegue un ideale di grandezza, poco importa se personale o di tutta la nazione. Ci hanno provato in tanti, di recente personaggi come Hitler, Mussolini, Stalin, per fare esempi di cui tutti abbiamo memoria. Dittatori prima esaltati dai loro stessi popoli, poi umiliati e poi condannati.
Il copione è sempre lo stesso: annientamento dell’opposizione interna, culto della propria immagine di eroe-patriota, instaurazione di un regime autocratico ed antidemocratico, creazione del nemico “esterno”, espansionismo imperialista. Fino alla fine.
Per te parla la storia dell'interventismo in Siria, Libia, Crimea. Per non parlare degli stati mediorientali. Conflitti che non hanno aiutato quei popoli, ma che li hanno trascinati in un baratro di miseria e degrado. 
Pretesti per fare la guerra non ne mancano mai. Soprattutto se si confida che gli altri stati non reagiranno. Soprattutto se si attaccano paesi che hanno un apparato bellico nemmeno lontanamente paragonabile a quello di una superpotenza. 
Dicevi di voler difendere i confini della Russia dall’aggressione “potenziale” della Nato, dicevi di volere difendere le minoranze russofone del sud dell’Ucraina. Ma i fatti parlano di altro. Parlano di una leadership ucraina non digerita, di una democrazia che si muoveva in autonomia rispetto ai tuoi desideri. Parlano di una invasione programmata e deliberata di tutta una nazione, di un piano programmato di sterminio. Il tutto con la minaccia alle nazioni "occidentali" di non intervenire.
Sei ad un passo dallo scatenare la terza guerra mondiale. Che per l’umanità potrebbe essere l’ultima.
Se un giorno vi sarà memoria di questo come pensi che sarai ricordato?
Quante migliaia (decine, centinaia di migliaia?) di morti, anche innocenti, donne, bambini, quanti “effetti collaterali” ci vorranno prima di placare la tua violenza, il tuo “desiderio di potenza”? Che non è quello del popolo russo. Ne sono certo.
Pensavi che il dispiegamento bellico bastasse per far crollare il governo ucraino, che il popolo ucraino ti accogliesse come un liberatore (ma davvero pensavi questo?). Così non è stato.
Capisco perfettamente che per te è meglio ordinare l’”offensiva totale” piuttosto che di ordinare il ritiro dei carri armati, perché perderesti la faccia. O il potere. Cerchi ancora pretesti pseudo-politici ed insulti deliberatamente il governo ucraino, colpevole solo di non arrendersi. Credi davvero che questo sia il meglio per il popolo russo? 
Ogni guerra è un vicolo cieco. L'odio porta odio e la violenza porta la violenza. Gli antichi strateghi insegnano che la migliore vittoria è quella in cui non si combatte. Hai commesso un errore fatale che può costare la sopravvivenza di tutta l’umanità. Vuoi davvero questo?
Rifletti. Vuoi essere davvero catalogato in futuro (se ci sarà un futuro) come il più grande criminale di guerra del secondo millennio?
La tua storia personale parla di un uomo che ha sempre soppesato ogni sua azione, di uno stratega che calcola e riflette prima di ogni decisione.
L’impulsività fa male ed ancor di più quando sono in gioco la sopravvivenza ed il benessere dei popoli.
Il potere di un individuo vale davvero la distruzione dei popoli? La storia ci insegna di no.
L’umanità è ad una grande svolta: le questioni ambientali, lo sviluppo ecosostenibile, le scelte etiche di eguaglianza fra i popoli, il rispetto della natura e del pianeta. Sono queste le grandi sfide che i popoli dovranno necessariamente sostenere nei prossimi anni.
Una guerra non serve a nulla. Se non a portare distruzione e morte. Un cammino senza ritorno.
Vuoi davvero questo?
By Michele Barbera