sabato 5 dicembre 2020

DOPO IL COVID-19? NON BASTERA' L'ASSISTENZIALISMO




"Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno; insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita". Così pensava Confucio. 
Il mero assistenzialismo di Stato, chiamatelo come volete, non basta né basterà. 
La pandemia ha dissanguato l'economia della nostra Italia, ha azzerato quel turismo che per noi era una risorsa unica e indispensabile e non poteva essere diversamente per la ricchezza culturale ed ambientale che la nostra nazione si ritrova. 
Purtroppo, la nostra economia farà fatica a riprendersi e già i dati statistici dicono che il 60% delle imprese si troverà in situazione disperata, sopratutto nell'ambito ricettivo e turistico. 
In tale contesto, la politica del "reddito di cittadinanza" che ha svilito l'iniziativa privata, che ha azzerato il microtessuto economico legato ad iniziative private, seppure piccole e marginali, e che si  è innestata in una cronica disoccupazione, nella latenza di posti di lavoro e di sottosviluppo industriale, non ha fatto altro che peggiorare le cose. 
Una economia sana si basa sul lavoro, privato e pubblico, la nostra Costituzione lo salvaguarda come valore fondante la nostra Nazione
Un'economia sana incentiva le iniziative produttive e gli "scudi" statali debbono salvaguardare per prima cosa i posti di lavoro, i livelli occupazionali ed il tessuto produttivo.
Un sussidio dato in cambio di niente diventa un disincentivo a lavorare. 
Il lavoro è sopratutto dignità, significa rispetto per l'individuo e la società, significa anche ricchezza collettiva. 

La domanda che molti economisti si fanno è: chi pagherà il conto del COVID?
La risposta la sappiamo tutti. Non certo chi dipende dal settore pubblico ed ha uno stipendio sicuro. Né le banche e le multinazionali, intente sin d'ora a preservare gelosamente i propri profitti.
In prima battuta, e già accade, pagheranno i dipendenti privati delle piccole e medie imprese, degli stabilimenti locali, licenziati o tenuti in coma da una cassa integrazione "ad esaurimento" ed asfittica.
Poi l'impresa locale, che non ha le risorse per continuare l'attività, né il mercato in cui collocare il prodotto. Né i soldi per pagare le tasse.
Infine, si continuerà a dissanguare, per quel poco che rimane, il lavoro autonomo, la rara iniziativa privata che oltre a subire la pressione fiscale oltre misura, dovrà fare i conti con una depressione economica senza precedenti.
In ciò, non dimentichiamo i giganti del commercio WEB, rifugiati nei paradisi fiscali, che hanno vampirizzato il commercio locale a beneficio di quello on line: un incremento durante il COVID-19 dell'80% che significa sottrarre ulteriori risorse ai circuiti del commercio locale.
Alla fine il meccanismo dell'assistenzialismo si incepperà perché nessuno pagherà o potrà pagare le tasse e lo Stato non avrà le risorse per soddisfare i crediti assistenziali.
E' un circolo vizioso fatale e distruttivo.
Ed allora, prima che sia troppo tardi, il Governo attui concrete misure per la salvaguardia del tessuto economico, delle imprese, del commercio locale, e destini i fondi in funzione dello sviluppo infrastrutturale e di quelle iniziative economiche che producono posti di lavoro e ricchezza. 
Meglio indirizzare i fondi a microiniziative private (non solo giovanili), defiscalizzando le neo-partite IVA, incentivando il piccolo lavoro autonomo e professionale, snellendo la burocrazia, aumentando le agevolazioni per chi assume, per chi vuole acquistare attrezzature, per chi vuole aprire attività artigianali, piuttosto che alimentare un fastidioso assistenzialismo improduttivo che alla fine disincentiva ogni stimolo economico e produttivo. 
Ogni altra politica meramente assistenziale è destinata a fallire. Il sussidio va bene se temporaneo e funzionale ad un sostegno economico transitorio. Poi diventa generatore di squilibrio economico e produce solo debito e sottosviluppo.
E' ora di insegnare a pescare, di incentivare il lavoro. Per il bene ed il futuro dell'Italia.
Altrimenti, altri approfitteranno della nostra debolezza. E, a quel punto, sarà troppo tardi.
Michele Barbera 



venerdì 9 ottobre 2020

A LOUISE GLÜCK IL RICONOSCIMENTO PER LA LETTERATURA 2020: UN PREMIO NOBEL D’ECCELLENZA

 


Nonostante certe “sbandate” con cui di tanto in tanto l’Accademia Svedese ci ha voluto sorprendere negli anni passati, la scelta del Premio Nobel conserva sempre un solido fascino nel proporre nomi forse inusuali, o non conosciutissimi al grande pubblico, ma spesso intensamente vocati e talentuosi.
È il caso di quest’anno.
Louise Glück, di cui avevo letto un paio di poesie qualche mese fa, rimanendone assai colpito, schiude nei suoi versi le pieghe più intime del suo animo al lettore, con cui entra immediatamente in una tormentata empatia.
Sono poesie metaemozionali, in cui la metafora naturalistica e l’umana esistenza trasfondono in rarefatte tessiture intimistiche, pronte a svelare un vissuto sofferto e passionale.
La poetessa con il Presidente Obama
Nella sua biografia, è nata a New York nel 1943 da una famiglia di immigrati ebrei, vi sono scolpiti tratti tormentati, come l’anoressia nervosa che l’ha colpita durante l’adolescenza e durata ben sette anni. Di quel periodo, lei stessa ha scritto: "Ho capito che a un certo punto sarei morta. Quello che sapevo in modo più vivido, più viscerale, era che non volevo morire"
Ha pubblicato più di dodici raccolte ed è presente in innumerevoli antologie, non solo negli Stati Uniti, dove è popolare e pluripremiata, ma anche nel resto del mondo.
Osannata come cantrice dei valori femminili più che femministi, la Glück arpeggia nelle sue liriche su vasti panorami di sentimento e di intensa analisi del “precario” umano. La morte, il fallimento, la sofferenza, la caduta, la ripresa, sono sfumature che tingono di ambigua valenza emotiva i versi. Molti critici americani la individuano come la poetessa del sentimento del “cambiamento”, di un progredire esistenziale frammentato, interrotto, ma continuo, che non s’arresta di fronte alle difficoltà di vivere ed al male che contraddistingue la condizione umana. Il pathos lirico la conduce ad un approccio con le tematiche esistenziali a volte ritenuto persino contraddittorio, dove a visioni idilliache si affianca una coscienza personale tormentata.
Spesso paragonata a Emily Dickinson, da cui però si differenzia per un notevole e moderno disincanto emotivo.
Ecco di seguito alcune sue poesie.

Fine dell’estate
Dopo che mi vennero in mente tutte le cose,
mi venne in mente il vuoto.
C’è un limite
al piacere che trovavo nella forma…
In questo non sono come voi,
non ho risoluzione in un altro corpo,
non ho bisogno
di un riparo fuori di me…
Mie povere ispirate
creazioni, siete
distrazioni, in ultimo,
puri inceppi; siete
alla fine troppo poco simili a me
per piacermi.
E così candide:
volete essere ripagate
della vostra scomparsa,
pagate tutte con qualche parte della terra,
qualche ricordo, come una volta eravate
compensate per il lavoro,
lo scriba pagato
con argento, il pastore con orzo
per quanto non è la terra
a durare, non
queste schegge di materia…
Se apriste gli occhi
mi vedreste, vedreste
il vuoto del cielo
specchiato in terra, i campi
di nuovo nudi, senza vita, coperti di neve…
poi luce bianca
non più travestita da materia.

Aprile
Nessuna disperazione è come la mia disperazione…
Non avete luogo in questo giardino
di pensare cose simili, producendo
i fastidiosi segni esterni; l’uomo
che diserba cocciuto tutta una foresta,
la donna che zoppica,
rifiutando di cambiar vestito
o lavarsi i capelli.
Credete che mi importi
se vi parlate?
Ma voglio che sappiate
mi aspettavo di più da due creature
che furono dotate di mente: se non
che aveste davvero dell’affetto reciproco
almeno che capiste
che il dolore è distribuito
fra voi, fra tutta la vostra specie,
perché io possa riconoscervi,
come il blu scuro marchia la scilla selvatica,
il bianco la viola di bosco.

By Michele Barbera

giovedì 8 ottobre 2020

CITTADINI E BANCHE: LE SEZIONI UNITE DELLA CASSAZIONE PUNTUALIZZANO IN TEMA DI INTERESSI



Le Sezioni Unite,(Sentenza n. 19597 del 18 settembre 2020) decidendo su questione di massima di particolare importanza per il contenzioso tra utenti e banche, hanno affermato i seguenti principi di diritto:

- La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso.

- La mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perché “fuori mercato”, donde la formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto”.

- Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.E.G.M., così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista. 

- Si applica l’art. 1815, comma 2, c.c., onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma vige l’art. 1224, comma 1, c.c., con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti.

- Anche in corso di rapporto sussiste l’interesse ad agire del finanziato per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti, tenuto conto del tasso-soglia del momento dell’accordo; una volta verificatosi l’inadempimento ed il presupposto per l’applicazione degli interessi di mora, la valutazione dell’usurarietà attiene all’interesse in concreto applicato dopo l’inadempimento.

- Nei contratti conclusi con un consumatore concorre la tutela prevista dagli artt. 33, comma 2, lett. f) e 36, comma 1, del codice del consumo di cui al d.lgs. n. 206 del 2005, già artt. 1469-bis e 1469-quinquies c.c..

- L’onere probatorio nelle controversie sulla debenza e sulla misura degli interessi moratori, ai sensi dell’art. 1697 c.c., si atteggia nel senso che, da un lato, il debitore, il quale intenda provare l’entità usuraria degli stessi, ha l’onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento; dall’altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto.

By Michele Barbera 

giovedì 1 ottobre 2020

AI GENITORI: DIECI REGOLE PER SALVARE I RAGAZZI DALLE CHAT CHE SPINGONO AL SUICIDIO

 



Blue Whale, Balena Blu, Jonathan Galindo, Momo, Uomo col cappuccio, Dusky Sam, nomi bizzarri, che nascondono chat (challenge games) gestite da criminali che spingono al suicidio adolescenti giovanissimi.
Dopo averli irretiti e manipolati con sfide che li inducono ad atti di autolesionismo sempre più gravi, alla fine sfidano le vittime all’estremo “salto”, spesso sotto la minaccia di uccisione di un familiare (la mamma o il papà).
Nonostante, talvolta, i genitori si spingano a controllare i telefonini dei figli, o a toglierglieli, i contenuti delle chat non sempre sono raggiungibili o accessibili. Anche perché i criminali “girano” su vari social, si trincerano dietro nomi diversi e fantasiosi, con profili falsi e spesso inducono al silenzio ed al segreto la vittima.
Ecco alcune semplici regole per accorgerci in tempo se i nostri figli son
o stati “intrappolati” da una di queste terribili chat:
1.  Parlate più che potete con il ragazzo dei social, se ha fatto nuove amicizie, anche con nomi strambi, invitatelo a non seguire o accettare amicizie di gente che fa proposte “strane”, spingetelo a condividere con voi contenuti o immagini “buffe” o strampalate. Informatevi su che video sta vedendo e cercate di vederli assieme a lui. State attenti se il ragazzo improvvisamente ha interesse alla visione prolungata di film horror o particolarmente violenti (è una delle prime “sfide”).
2.  Se siete spesso lontani da casa e lasciate il ragazzo da solo, messaggiate con lui, informatevi su cosa fa, dategli piccole incombenze, responsabilizzatelo. Non fatelo sentire solo, anche se sbuffa o vi contraria.
3. Tra le sfide che lancia il criminale vi sono l’autolesionismo (tagliarsi o incidersi la pelle spesso sulle braccia, sul labbro e inviare le foto), l’autoisolamento (non parlare per un giorno, rispondere con frasi strane ai genitori o agli amici, etc…) o autopunizioni (chiudersi in camera, saltare i pasti, farsi del male). Controllate se i rasoi o i coltelli sono stati spostati dal solito posto o se vi sono tracce di sangue sui vestiti o in giro per casa. Controllate se il ragazzo nasconde eventuali lividi, lesioni o tagli sospetti sugli avambracci o su altre parti del corpo.
4. State attenti a bruschi cambiamenti di comportamento (mutismo improvviso, stati d’ansia, paura di uscire, se si alza di notte, se rimane insonne, se va in giro con vestiti o accessori strani, etc…). State attenti anche a eventuali uscite “in solitaria” sui balconi, terrazze, o “giochi” sul tetto.
5. Parlate in modo tranquillo e sereno con il ragazzo dei contenuti di certe chat che fanno minacce di morte campate in aria, fate capire che si tratta di fandonie a cui non bisogna dare credito e che conviene interrompere subito la chat con sconosciuti che minacciano. Dite che non bisogna mai dare l’indirizzo di casa o il numero di telefono a chi lo chiede nelle chat.
6. Seguite gli amici “reali” del ragazzo. Spingetelo ad invitarli a casa vostra per fare i compiti o anche per giocare. Dialogate con gli amici del ragazzo, possono essere fonti di “confidenze” preziose.
7. Fate, almeno una volta a settimana, un’attività assieme al ragazzo che diventi per lui un appuntamento piacevole, trascorrendo con lui un po’ di tempo libero. Parlate dei suoi progetti, di cosa farà nei giorni a venire, chi incontrerà. Ne vale veramente la pena.
8. Seguite il suo rendimento a scuola ed offritegli anche di impegnarsi in un’attività extrascolastica, secondo la sua passione (lettura, sport, imparare a suonare uno strumento musicale, etc…) o anche piccoli lavori. Non è importante il risultato, ma l’impegno.
9. Spingete chi vive con voi (coniuge, fratelli, sorelle, etc…) ma anche gli insegnanti ad interessarsi al ragazzo, non trattarlo semplicemente come un “bambino” ma dialogare, stimolarlo nei suoi interessi, conoscerlo per quello che fa o vuole fare. Lasciate sempre il vostro numero di telefono ad un insegnante di riferimento. Avviate una chat con altri genitori per segnalarvi reciprocamente eventuali comportamenti anomali o sospetti dei ragazzi. Segnalate alla mail dei social o alla Polizia Postale eventuali profili sospetti. 
10. Il consiglio più difficile: educate i vostri ragazzi a crescere. Con piccoli sacrifici, con il seguire piccole regole che sappiano farlo maturare, con eseguire piccoli compiti che lo facciano sentire responsabile ed importante nella famiglia. Giorno dopo giorno.
I ragazzi sono il nostro bene più prezioso.  Dobbiamo saperlo custodire perché il futuro sono loro. Non lasciamoli in balia di criminali senza scrupoli.
By Michele Barbera

giovedì 24 settembre 2020

IL COVID-19 CONTINUA A MIETERE VITTIME... LA MOVIDA PURE!



Lo spunto di questo post è nato dall'invito perentorio che Vito Clemente, agguerrito consigliere comunale di Menfi, ha dato con un suo scritto su Facebook: tacere significa essere complici...
Per la verità a Menfi e Porto Palo, causa il coronavirus, quest'estate polemiche chiacchiere e discussioni, non ne sono mancate. Così per come non sono mancate le "osservazioni" dei "pistoleri della lingua" ai controlli che le Forze dell'Ordine hanno fatto ad alcuni locali. 
La verità è una: a tutti, assessori e non, piace divertirsi, stare in gruppo, bere in compagnia. 
Giusto. Quando, però, questo non danneggia gli altri o mette in pericolo la loro salute. 
La nostra libertà finisce sempre quando inizia quella degli altri e con la salute non può scherzarsi. Non sono luoghi comuni ma verità fondamentali. 
Già nei dintorni di Menfi si è assistito a comportamenti irresponsabili di gente in quarantena o, peggio, positiva al virus che, in modo incosciente e criminale, gironzola per locali pubblici (di qualsiasi tipo) ritenendosi libera di infettare chiunque. 
Il virus nel mondo ha fatto oltre un milione di vittime. 
Muta, si diffonde, mette in crisi ogni tentativo di controllarlo. E' subdolo perché colpisce in modo differente gli individui, a volte è asintomatico, ed alcuni territori sono senza dubbio più attrezzati di altri per curarlo. Lo spettro della terapia intensiva (che è invasiva del corpo e costringe ad una anestesia pressoché totale in posizione innaturale,ad essere intubati ed a una perdita della massa muscolare in pochi giorni con la conseguente riabilitazione per chi è fortunato ad uscirne vivo) incombe su tutti coloro che possono contrarre il virus. 
E non c'è festa, movida, trenino, assembramento che tenga. 
Mettiamocelo nella zucca: il SARS-COVID 19 E' UN VIRUS TERRIBILE E MORTALE!
Le rosee previsioni dei virologi che davano la scomparsa del virus durante l'estate si sono infrante di fronte all'evidenza. La stupidità dei negazionisti è pari alla loro ignoranza. 
In questo momento anche la questione "politica" del virus sull'origine cinese passa in secondo piano. 
La ricerca medica può e deve dare i suoi frutti, con il giusto tempo. E speriamo che siano in grado di fornire un vaccino in tempi brevi. 
Nel frattempo, la tutela della nostra salute è affidata a noi stessi, alla nostra prudenza, al nostro sapersi limitare ed al nostro saperci comportare. Siamo in emergenza. Che non è finita.
La movida in questo non aiuta. Specialmente a Menfi, in Via della Vittoria con ragazzi che ogni sera, senza mascherina, si ammucchiano, sparandosi alcool senza ritegno, approfittando della mancanza di controlli.
Menfi non ha il San Raffaele o l'Ospedale Sacco. E noi non siamo Berlusconi. Ricordatevelo.  
Per non parlare dei rifiuti che quotidianamente confluiscono in mucchi selvaggi nei vari cortili... dove puzza e residui di alcol e cibi rancidi fanno la festa dei topi (ho qualche foto nel cellulare che non pubblico per ritegno). Ma che volete, anche i topi hanno il diritto di divertirsi.... o no?
By Michele Barbera



lunedì 21 settembre 2020

NESSUNO È LUCE A SE STESSO, il martirio di Rosario Angelo Livatino

 



Un giudice anonimo,  sconosciuto alla ribalta mediatica, che svolgeva in silenzio ogni giorno il suo difficile compito di tutore della legalità in una terra bagnata dal sangue di tanti innocenti, vittime della violenza luciferina della mafia. Eppure, oggi, a trent’anni dalla sua morte, il suo ricordo è vivo, la sua memoria integra, la voglia di conoscerlo tanta.
“Nessuno è luce a se stesso”, il titolo che ho voluto dare a questo saggio, una ricerca pluridisciplinare sugli eventi e sulle dinamiche che condussero alla morte del “giudice ragazzino”, non è solo una frase ad effetto, ma un programma di vita.
L’ho mutuata dal testo di una conferenza che Rosario Livatino tenne nella sua città, Canicattì. Ritengo che in questa frase sia celata la chiave dell’anima di Rosario Livatino, la sua cifra esistenziale. L’alchimia di sentimenti e fede, l’amore per la giustizia e per il prossimo, la testimonianza silenziosa e prorompente della sua figura, sono racchiuse nell’infinito sentire di questa breve espressione.

Ancora più che nell’acronimo “S.T.D.”, Sub Tutela Dei, con cui Rosario Livatino amava contraddistinguere i propri scritti intimi, le sue agende, come quella che hanno trovato accanto al corpo il giorno del suo omicidio.
O, meglio, martirio.
Proprio da lì, da quando tutto è finito o, forse, da quando tutto è iniziato, trae le mosse il mio desiderio di conoscere questo straordinario figlio di una terra tanto aspra quanto generosa.
In quell’assolata campagna dell’entroterra siciliano, in quelle contrade care a Sciascia e Pirandello, metafora di una dimensione dello spirito, lì, dove si è compiuto il martirio di Rosario Livatino.
Un martirio profeticamente annunciato da San Giovanni Paolo II, un martirio la cui considerazione ha avuto una costante progressione ed una conclamata adesione della Chiesa agrigentina nel processo diocesano, aperto dal Cardinale Montenegro, e condotto da don Giuseppe Livatino, cugino del Giudice e postulatore della causa, per elevare Rosario Livatino agli onori degli altari.
La dedizione di Rosario Livatino al proprio lavoro, visto come occas
ione di santificazione e “di dedizione di sé a Dio”, accosta la sua figura ad una concezione moderna e viva di santità universale, una santità che vuole rendere testimonianza eccelsa alla fede anche nell’adempimento eroico del proprio dovere quotidiano, sino all’estremo. Il martire non fugge dalla morte ma dal peccato.

Nella distorsione eretica della mafia, dove i simboli religiosi sono profan
ati ed offesi da intenzioni e cerimonie blasfeme, la purezza del pensiero di Rosario Livatino, la sua costante testimonianza, prodiga di attenzione e carità di fede verso coloro che era chiamato a giudicare, erano avversari temibili e odiosi.
Un odio che ha acceso una ritorsione crudele, feroce, demoniaca.
L’analisi di quanto accaduto il ventuno settembre di trent’anni fa, senza trascurare i riferimenti criminologici all’ “effetto Lucifero”, nel saggio apre la riflessione sul concetto di “martirio” e dell’”odium fidei”, un luogo teologico, che caratterizza la testimonianza suprema del credente, la sua costanza nella fede, pur nelle avversità del cammino terreno.
Dagli emblematici casi dei primi martiri della fede sino all’epoca contemporanea, già a partire da Pio XII con l’esempio di Maria Goretti, la difesa dei valori della fede, e, dunque il martirio, ha assunto vesti teologiche più ampie. Che vanno, necessariamente, a ricomprendere tutti quei casi in cui il martire è stato ucciso in quanto testimone vero e coerente del suo credo e di tutto ciò che la fede in Dio significa e che si esprime anche nei valori di giustizia, della carità e dell’amore verso il prossimo in quanto “immagine di Dio”, come ha affermato proprio Rosario Livatino. Egli “ha sovvertito il ruolo del giudice abbracciando la coscienza del prossimo e rendendo la giustizia umana, espressione di amore e verità. Sotto la tutela dello sguardo divino.”
Ora, non mi resta che augurarVi Buona Lettura, nel ricordo della testimonianza di Rosario Livatino che affido al Vostro cuore, oltre che alla Vostra riflessione, per accompagnarlo nel cammino comune di santità.
By Michele Barbera

mercoledì 16 settembre 2020

TUTTI A SCUOLA... TRA PAURA E SPERANZA




Il titolo non vuole allarmare o ingannare. Semmai, è un invito: dovremmo tutti ritornare a scuola, specie dopo la terribile esperienza del "coronavirus". A scuola. Di buone maniere, di senso civico, di responsabilità, di senso del dovere. Tutte cose che sono mancate durante la scorsa estate, e non solo.
Prendo lo spunto dalle polemiche, vere o inventate, che hanno animato la piazza dei social, prima di tutte Facebook e compagnia bella. 
Paura per l'avvio della scuola, e per il fatto che non si riaprisse per un nuovo lockdown, paura per gli studenti esposti a rischi "catastrofici", scenari apocalittici, interrogativi assurdi (i banchi con le ruote? le code per l'entrata? e se il bidello ha il virus? e i bagni? e l'orario? etc...). 
Dimenticando, forse, che i ragazzi sono più esposti al rischio di contagio quando vanno per i pub e le disco, strusciandosi l'un l'altro a farsi la movida senza controlli e senza... mascherine.
Giovani iperprotetti nelle famiglie, con i genitori pronti a scagliarsi contro l'insegnante di turno che abbia "osato" rimproverare o anche mettere un brutto voto al cocco-di-mamma. Come se la scarsa voglia di studiare o l'impreparazione fosse colpa dell'insegnante e non piuttosto della svogliatezza e della-voglia-di-far-niente del pargolo cresciutello, magari post-adolescente.
Giovani (non tutti per fortuna) scarsamente abituati ad essere responsabili delle proprie azioni e della propria educazione, a non fare sacrifici, ad avere tutto preparato e pronto, come un'app da scaricare. Salvo poi accorgersi che la vita, quella vera, è qualcosa di diverso. E richiede sacrifici, passione, pianto e sudore. Passo dopo passo. 
Se il coronavirus ha insegnato qualcosa, è che non c'è nulla di scontato. E che ogni conquista (fosse pure il tanto agognato vaccino) bisogna guadagnarsela. Anche ( e sopratutto) con il rispetto delle regole.
L'augurio (o la speranza, fate voi) all'inizio dell'anno scolastico è proprio che genitori, studenti, docenti si "contagino" a vicenda la voglia di crescere, di rispetto, di educarsi reciprocamente, di smettere di vedere la vita come una giostra folle, uno "sballo" insensato e ubriaco, ma come una casa che bisogna costruire insieme a partire dalle fondamenta. O, se preferite, per i più romantici, come un'avventura il cui finale non è affatto scontato. Da vivere "responsabilmente", come avverte certa pubblicità sugli alcolici.
Mi viene in mente  una frase che ho letto: "Se volete che la scuola diventi una seconda famiglia, allora dovete impegnarvi affinché la famiglia diventi la prima scuola"
Semplice, no?
Ma forse non è così scontato.
By Michele Barbera

giovedì 10 settembre 2020

QUANDO LA CULTURA CERCA LA VERITA’

 



Sera di fine estate. Questa pazza estate all’insegna del “coviddi” e della trasgressione, della movida sfrenata e dei contagi in risalita. Con le onde di risacca dei social che hanno trascinato via in alto mare ogni senso di paura e di remora per quell’inverno da incubo appena trascorso.
E che ancora oggi si nutre di sciocchezze, di chiacchiericci, di fuochi fatui dell’ignoranza. 
I social media diffondono e strombazzano ogni vuota eco di sensazionalismi dell’ultima ora. Frutto di brillanti “menti” scientifiche e presunte tali, di salotti televisivi e di interviste senza mascherina.
Travolto da questa marea invadente ed inutile di opinionisti “del grido internettiano”, tra un twitter ed un post, mi sono soffermato su una frase-pensiero di San Giovanni Paolo II, citata in un suo libro da Lou Marinoff, docente di filosofia e notevole saggista. 

“Molti sono coloro – afferma Giovanni Paolo II – che, 
procedendo alla cieca nella vita, 
giungono sull’orlo dell’abisso 
senza sapere dove stiano andando. 
A volte ciò accade perché coloro 
la cui vocazione è di dare espressione culturale 
al loro pensiero non hanno più di mira la verità, 
preferendo il rapido successo 
alla fatica di una paziente indagine 
volta ad individuare che cosa rende la vita 
degna di essere vissuta”. 

Dovremmo trarre le debite conseguenze da queste parole, perché indicano non solo ad ogni persona che si definisca “di cultura” ma a tutti i “comunicatori”, la strada maestra della ricerca – umile e paziente – della verità, senza rincorrere i selfie edulcorati, le sirene dei followers, i simulacri scandalistici o, peggio, illusioni date dagli abbagli di un falso successo. 
La cultura è, soprattutto, responsabilità. Sia nella ricerca, sia nei contenuti. 
Al di là di questo ci sono solo i quindici minuti di cieca e stupida celebrità che Umberto Eco riservava agli idioti informatizzati. E di questi ne abbiamo in sovrabbondanza. 
By Michele Barbera

venerdì 24 aprile 2020

CORONAVIRUS? NO, NON E' UGUALE PER TUTTI


Questo post - in un certo senso - non mi appartiene. Non avrei mai avuto la spinta a scriverlo se non avessi letto un articolo, intelligente ed arguto come sempre, di Roberto D'Agostino, giornalista gossipparo, certo, ma dalla scrittura intelligente e satiricamente raffinata. 
Dalle parole di D'Agostino è venuta fuori la voglia, una volta per tutte, di denunciare l'ipocrisia edulcorata di certi "VIP" che ci inondano di video, messaggini, cinguettii e si improvvisano nostri compagni di avventura, anzi di sventura, all'insegna del "ce la faremo" e del "siamo tutti insieme sulla stessa barca". 
No, non è così, cari VIP dei miei stivali. 
Non siamo tutti uguali, ed il virus non è diventato un improvviso equalizzatore della vita sociale, né la quarantena la stiamo vivendo allo stesso modo. 
C'è chi se la sta spassando su yacht chilometrici e fantamilionari, chi in ville da sogno, chi svolazza in jet privati, tutti serviti e riveriti, e chi sta facendo la fame, chi fa turni massacranti negli Ospedali, chi vive in micro-appartamenti, chi è costretto a lavorare con la paura addosso di incappare nel virus, chi muore in ospizi, divenuti anticamere dell'aldilà. 
No, non siamo tutti uguali. 
Ed allora, meno ipocrisia sui social, su facebook e su tutta la rete. 
Non me ne frega niente dei capricci del gatto della fashion blogger, degli esercizi nelle palestre delle ville e dei balletti improvvisati a bordo piscina, delle tute sponsorizzate dell'ultima moda. 
Vergognatevi. 
La disperazione della gente che si sfoga sulle terrazze dei casermoni popolari, quello sì che mi tocca. Perché, al di là del gesto stupido ed irresponsabile, è il segnale che qualcosa si è rotto, che il disagio è border line
Seguo con apprensione, come la gente normale, i progressi dei laboratori di ricerca, guardo con timore alle sporche manovre delle multinazionali che si vogliono accaparrare il vaccino, mi chiedo con orrore, e forse non avrò mai una risposta, se questo virus è naturale o frutto di manipolazioni. 
Ecco cosa è importante. 
Piango le file dei camion che hanno portato le bare dei morti, le salme di sconosciuti seppelliti in fosse comuni, e non chiamatemi patetico. Perché di patetico non c'è nulla in centinaia di persone che muoiono ogni giorno in questa civilissima Italia ed in migliaia che vedono cancellate le loro esistenze in tutto il mondo, perché sono senza assistenza e non possono curarsi. 
Non me ne frega niente del colore politico, ma ammiro coloro che per ora sono ai vertici dei governi e delle amministrazioni, con le loro decisioni difficili da prendere, di fronte ad un nemico invisibile e spietato, di fronte alla miseria che incombe sui popoli, di fronte ad un evento storico che lascerà cicatrici difficili da rimarginare. 
Ecco cosa mi interessa, cosa conta realmente. 
Non me ne frega nulla di cosa mangerà oggi il tale attore, o che mutande indosserà la cantante famosa, opportunamente rifugiatasi all'estero, in qualche atollo esclusivo. 
Quello che chiedo a questi signori è di interessarsi a cosa conta realmente per la gente e di impegnarsi con tutto il loro prestigio (vero o apparente che sia), le loro strabocchevoli risorse, materiali e morali, perché le Nazioni collaborino, in modo serio, sano e trasparente, al benessere del mondo.
Pensate seriamente agli altri come soggetti umani, non come fan o come pubblico da spremere e da sfruttare per la vostra avidità di successo e di soldi.  
Questa non è politica, ma umanità.
Solo così vi renderete uguali a noi, nel condividere il disagio di chi deve impegnare l'anello di fidanzamento per potere sbarcare il lunario e pagare l'affitto e le bollette arretrate. 
Per il resto, credetemi, per i vostri trastulli, ci sarà sempre tempo.
By Michele Barbera 




sabato 18 aprile 2020

LA GERMANIA BATTE LA PROPRIA MONETA AD USO INTERNO: IL SUPER "EURO"?


L'altro giorno avevo commentato l'iniziativa partita da un qualificato movimento politico e scientifico di azionare il "volano" di una moneta interna al contesto siciliano per incentivare una reale ripresa economica della Sicilia, ma i tedeschi... ci hanno battuto sul tempo. 
Per la verità, la notizia non è così nuova, già dal 2016, per "uso collezionistico" la Germania ha ideato una moneta da cinque euro di valore nominale per utilizzo interno sul territorio tedesco. 
La "passione" per la numismatica ha fatto sì che quei 250.000 pezzi fossero prenotati in un batter d'occhio. 
Qualcuno, celiando, disse che era una "bufala" internettiana.
Ora la faccenda è diversa. 
Perché quella moneta oggi è stata battuta in 2 milioni di pezzi
I conti sono presto fatti. La nuova moneta equivale ad un contante di DIECI MILIONI DI EURO.
In pratica la Germania farà circolare al suo interno dieci milioni di euro senza incidere minimamente cui "conti ufficiali". Senza considerare i 250.000 pezzi che equivalgono a 1.250.000,00 euro. 
Una sorta di "zecca" in nero, senza i controlli della BCE. 
Possiamo parlare ancora di "collezionismo"?
No. Specialmente se questa emissione fosse solo il preludio di altre e ben più sostanziose manovre di tipo monetario. 
Senza voler indugiare in esempi di scuola, l'effetto "leva" di dieci milioni di euro è proporzionale alla loro circolazione ed, alla fine, l'impatto che avrebbero sul mercato interno è stimabile in 70-100 milioni di euro immessi nel circuito macroeconomico. Che i tedeschi potrebbero utilizzare al meglio, senza gli intralci dell'Unione Europea. 
Non ci stupiremmo se tale moneta entrasse in un circuito parallelo all'euro ufficiale, anche oltre i confini teutonici, con effetti inflattivi di non poco conto.  
Ci stupisce come la BCE o la Commissione Europea non abbiano battuto ciglio. 
Il rischio serio è che tale emissione "strumentale" di moneta possa essere seguita da altre Nazioni, a cui - evidentemente - la Germania non potrebbe opporsi. 
Assisteremmo ad un paradosso monetario, in cui la moneta ufficiale (euro) farebbe concorrenza a se stessa in una vorticosa spirale autodistruttiva. 
Ciò senza considerare gli effetti negativi sul valore ufficiale dell'euro che perderebbe la sua stabilità nei confronti del dollaro e delle altre monete "estere". 
La Germania non può fare di testa sua e dirsi "europeista" a convenienza. 
Manovre come questa fanno traballare pericolosamente la stessa esistenza dell'Unione. 
Ultimo, ma non ultimo, il "supereuro" non riporta in alcun modo alcun riferimento europeo. Da un lato c'è l'aquila, simbolo veterotedesco. Dall'altro il mondo. Viene emessa dalla "Bundesrepublik Deutschland". 
Meditate, gente, meditate.
By Michele Barbera

martedì 14 aprile 2020

LA SICILIA VUOLE RIPARTIRE: LIQUIDITA’ E CARTA MONETA PARALLELA PER IL RILANCIO ECONOMICO



È storia nota che la Sicilia, da sempre, ha dovuto soffrire le decisioni di altri, in politica, economia e non. 
Dopo la nascita della Repubblica, lo Statuto Siciliano e l’autonomia, sono stati per decenni, lo specchietto delle allodole, con cui rabbonire ogni scatto d’orgoglio ed ogni iniziativa non "coordinata” con il Governo centrale o, peggio, con i diktat europeistici. E quando la politica sovraregionale non faceva leva sul guinzaglio degli “aiuti” economici, l’argomento con cui zittire i siciliani è stata sempre la mafia: si veda, da ultimo, cosa è successo con i media tedeschi che ritengono giusto negare gli aiuti d’Europa alla Sicilia perché finiscono in mano alla mafia.
È un perverso circolo vizioso, che penalizza la Sicilia onesta, che vuole produrre ed investire. Non solo, ma fa diventare la Sicilia terra di “colonialismo finanziario”, dove gli investimenti leciti e da promuovere, costi quel che costi, sono sempre quelli che vengono “da fuori”. Il che produce devianze e distorsioni nel tessuto economico.
Mai ciò è stato vero come di questi tempi.
La Sicilia (e i siciliani) sono stati tacciati, da certi media, di “nullafacentismo”, tanto che se il virus “COVID-19” non ha devastato e decimato gli abitanti dell’Isola, ciò è dovuto al fatto che al Sud non si lavora e, quindi, la gente sta a casa!
Lo sciovinismo settentrionalista ripete il clichet. Salvo dimenticare che l’ossatura delle catene di montaggio del nord è fatta di operai meridionali, che il Regno delle Due Sicilie aveva riserve auree incommensurabilmente maggiori rispetto al regno piemontese, che se ne appropriò inopinatamente, che l’emigrazione intellettuale dall’Isola ha fornito al Nord cervelli di prim’ordine, etc..
Il fatto, però, è proprio qui: si è creata una “questione meridionale”, infarcita di falsità storiche e sociali, proprio allo scopo di inculcare al Sud, Sicilia in testa, una subcultura assistenzialista, da ruota di scorta del sistema produttivo italiano.
Prof. Massimo Costa
Per fortuna, le migliori risorse dell’Isola non si rassegnano a questo stato di cose. Emergono, in modo multidisciplinare, iniziative e progettualità tese allo sviluppo complessivo dell’Isola, come “Sistema Sicilia”.
Prof. Sergio Bossone
Un'interessante proposta viene da autorevoli personalità del mondo accademico ed economico, fra cui il prof. Massimo Costa, Docente di Economia all’UNIPA ed il prof. Sergio Bossone, top manager bancario che ha svolto anche la funzione di Ragioniere Generale della Regione Sicilia. Il progetto è stato supportato dal movimento politico “Siciliani Liberi”, con il Segretario Nazionale Prof. Arch. Ciro Lomonte, che ne ha condiviso le finalità e la praticabilità, oltre che l'urgenza nell'applicazione.
Prof. Ciro Lomonte
Il progetto si fonda sull’applicazione effettiva dello Statuto Siciliano che all’art.41 autorizza il Governo regionale ad emettere “prestiti interni”, che cioè abbiano “circolazione” solo all’interno del territorio regionale.
In concreto, il progetto prevede l'emissione da parte della Regione di un titolo di prestito pari a 12 miliardi di euro che verrebbe acquistato dall’IRFIS Sicilia.
L’IRFIS, a sua volta, distribuisce e suddivide il numerario in “moneta elettronica” (carte) o anche “titoli” (carta moneta o similari) spendibili all’interno della Regione Sicilia, il che avrebbe come effetto immediato una potentissima ed efficace iniezione di liquidità (12 miliardi di euro) nel sistema produttivo e commerciale siciliano e solo all’interno di questo.
L’esperienza non è nuova (la Regione Sardegna da tempo ha adottato il “sardex”) E FUNZIONA.
Infatti, in un macrosistema economico più il denaro circola, più – in modo esponenziale – crea beni, servizi e ricchezza, oltre a stimolare la capacità produttiva ed allineare domanda ed offerta.
Il sistema distributivo della Carta Moneta Siciliana richiama quello dell’helicopter money, in cui le risorse, proprio per evitare disparità o discriminare gli utenti, vengono distribuiti in modo egualitario tra tutti i possibili fruitori, sia imprenditori, lavoratori dipendenti ed autonomi, che comuni cittadini, con criteri che possono variare dalla sussidiarietà sociale, all’incentivo economico.
Il sistema dell’“helicopter money” garantisce una pronta fruibilità del denaro, svincolato da formalità e rendicontazione, ma la spesa sarebbe comunque garantita all’interno della Regione Siciliana, in modo che a beneficiare dell’effetto “moltiplicatore” siano gli operatori economici e le famiglie che risiedono nella Regione Sicilia.
Peraltro, proprio a motivo della pandemia in atto, i patti di stabilità sono sospesi e, dunque, un’operazione come quella proposta da un lato attutirebbe gli effetti negativi della crisi economica dovuta al coronavirus, dall’altro segnerebbe una politica economica espansiva dal forte impatto sul circuito economico siciliano, senza conseguenze negative sulle politiche di bilancio.
Come diceva quel saggio, da ogni difficoltà bisogna saper trarre un’opportunità. Il che, in tempi di coronavirus, non può che fare riflettere.
By Michele Barbera

lunedì 6 aprile 2020

I Contemporanei di Sicilia: Michele Barbera, a cura di José Russotti e "Fogghi Mavvagnoti"


Meritevole, e fin troppo generosa, la recensione bio-bibliografica di José Russotti e della Redazione di “Fogghi Mavvagnoti”, che ringrazio veramente di cuore. M.B.

In questi tempi laceri e volgari, la figura di Michele Barbera emerge statuaria come una eccellenza di spiccato rilievo. Intellettuale raffinato e schivo. Un uomo di cultura che tanto ha dato alla letteratura e al teatro siciliano.
“…La sua è una poesia della memoria, che genera pensiero e induce alla riflessione. I versi di Michele Barbera sono quanto mai profondi, attuali e meditativi. La sua è una poesia emozionale, carica di energia, a tratti drammatica, con slanci di forte caratura sociale e di protesta. Il poeta scava nelle macerie di una società fragile e desolata, accoglie e celebra nell'ossimoro dolore-speranza i richiami del vissuto quotidiano, esalta le sensazioni del metaforico incontro dell'animo sensibile con il mondo. Il respiro lirico è universale, percorso e temperato in un intimistico diario dello spirito, un soliloquio a più voci, che disorienta gli ordinari limiti della ragione, concedendo alla memoria voli diacronici, orizzonti vivi e lontani da manierismi estetici. È una poesia che compenetra la realtà, immersa in ritmi apotropaici e flussi esistenziali liberi di avvincere il lettore…”
Michele Barbera nato a Castelvetrano (TP) nel 1969, vive e opera a Menfi (AG). Oltre ad essere avvocato cassazionista, ex magistrato onorario e libero docente è, indubbiamente, un fine poeta, scrittore e saggista, con all’attivo numerosissime pubblicazioni e collaborazioni con diversi periodici sparsi sul territorio nazionale.
Ha coltivato con instancabile intensità le doti letterarie, scrivendo saggi, raccolte di racconti, romanzi, poesie e testi teatrali, ottenendo per i suoi lavori decine di riconoscimenti, premi nazionali ed internazionali in Italia ed all’estero.
Ha curato monografie e testi critici: Goethe in Sicilia; Le dottrine totalitarie e Padre Massimiliano Kolbe; La quinta rivoluzione monetario: dal baratto al bitcoin. Per la narrativa, fra l’altro, ha pubblicato: Neri di Sicilia, (2009); Qualcosa di importante, (2011); In punto di morte, (2011); Esame incrociato, (2011); Il testamento di Vantò, (2013); Racconto d’autunno, (2013) Tredici sequenze in due tempi, (2014). Ha scritto fiabe e racconti per l’infanzia: Lucillo ed il Drago Mangiatempo, Ultima Frontiera, Raggio di sole, Il giorno che non venne mai, Totino ed il mare di notte. È autore dei gialli Colpe apparenti, (2015); La luna scomparsa, (2016).
Per il teatro ha scritto: Tutta colpa della libertà, (2014); Vederci chiaro e Cronache spoglie di uno psiconauta, (2014) oltre al monologo Io e Wally.
Al centro dell’intensa attività letteraria di Barbera c'è sempre stata, costante, anche la poesia. Ha scritto decine di liriche sia in lingua italiana che in lingua siciliana, ultimando tre sillogi: Voci nel buio, (2014); Orizzonti sospesi, (2016); Stagione di memorie fragili, (2018). Sue poesie singole sono pubblicate in diverse antologie sia in lingua italiana che in lingua siciliana. Attualmente sta definendo una silloge in lingua siciliana.
È suo il blog di letteratura, cronaca ed attualità, “L’altra storia”.
Per la sua attività ha ricevuto premi e riconoscimenti in tutta Italia ed all’estero. Nel 2012 ha vinto a Milano il Premio Nazionale di Scrittura Digitale Creativa. Ha pubblicato il racconto Linda Stevens (Selezione Storie Fantastiche), Racconto d’autunno ha ricevuto la Menzione Premio Internazionale Heritage; la fiaba Lucillo ed il Drago Mangiatempo è stata finalista al Premio Nazionale Perrault. Nel 2014 l’autore ha ricevuto in Svizzera una Menzione speciale per l’opera Raggio di sole. Nello stesso anno è finalista al Premio La Valle delle Storie con l’opera Ultima frontiera.
Il romanzo Il testamento di Vantò, oltre un lusinghiero gradimento del pubblico e della critica, ha ottenuto numerosi riconoscimenti, fra i quali, la Targa Premio Elimo Vate - Memorial Ruggirello (2013) ed il Premio Speciale Kaos, Festival dell’Editoria (2014). Il romanzo ha pure vinto la 3ª edizione del Premio Nazionale Letterario Nero su Bianco, Mino De Blasio, Provenzalino d’oro nella sezione Opere Edite. È stato selezionato quale Opera Finalista nel prestigioso Premio Nazionale Zingarelli. Infine, l’Associazione TeatrOltre di Sciacca (AG)d ne ha fatto un adattamento per una lettura drammatizzata.
Sulla sua attività letteraria hanno scritto, tra gli altri: Luca Colombo, Laura Pieroni, Lucio Rende, Joseph Cacioppo.

Lu tempu passa (Prima classificata - Fogghi mavvagnoti, 2019)

Li jorna cadunu, sunnu
fogghi ‘mmbriachi di ventu:
senza risettu e cangiamentu.
‘Nna vota, nivura comu la pici era la miseria,
li valiggi cu lu spacu, pani di casa
e la testa ‘nfusca, la manu chi trimava.
L’urtima taliata a lu funnacu, li lacrimi
sciugghianu li cori e attaccavanu li lingua.
A la fini, la porta si chiuria.
Lu jornu appressu lu celu paria di n’avutru culuri,
la faccia ammucciata sutta la coppola
e lu ferribotto cu ‘un arrivava mai.
Oj, chi cangiau? Oj, chi li picciotti,
allittrati e bonu vistuti, cu li giacchi stritti,
votanu li spaddi a lu paisi, carricanu ogni
spiranza e diventanu forasteri.
Lassanu sta terra ‘mpastata di chiantu e fami,
pigghianu l’apparecchiu e volanu appressu
a la sorti, a la vita amara chi li stravulia
e svacanta li strati e li casi, a la bona vintura.
Patri e matri suspirannu
s’arrunchianu li spaddi.
‘Nsilenziu, lu cori nicu nicu,
comu n’aciduzzu, la matri.
Chiangiri ‘un servi a nenti e porta
malauriu, dici lu patri.
Ma ‘nna lu cori nutria la spiranza,
‘nna malatia terna e senza cura.
Talianu la porta chiusa e aspettanu.
Aspettanu, lu tempu chi passa.

Il tempo passa
I giorni cadono, sono / foglie ubriache di vento: / senza calma e cambiamento. / Una volta, c’era la miseria nera come la pece, / le valige con lo spago, pane di casa / e la testa confusa, la mano che tremava. / L’ultimo sguardo al fondaco, le lacrime / scioglievano i cuori e legavano la lingua. / Alla fine, la porta si chiudeva. / Il giorno dopo, il cielo sembrava di un altro colore, / il viso nascosto sotto la coppola / ed il battello che non arrivava mai. / Oggi, cos’è cambiato? Oggi, che i giovani, / acculturati e benvestiti, con gli abiti attillati, / girano le spalle al paese, caricano ogni / speranza e diventano stranieri. / Lasciano questa terra intrisa di pianto e fame, / prendono l’aereo e volano dietro / il loro destino, alla vita amara che li stravolge / e svuota le strade e le case, in cerca di un buon futuro. / Padre e madre sospirano, / stringono le spalle. In silenzio, il cuore piccolo piccolo, / come di un uccellino, la madre. / Piangere non serve a niente e porta / malaugurio, dice il padre. / Ma nel cuore nutre la speranza, / come una malattia eterna e senza cura. / Guardano la porta e aspettano. Aspettano, il tempo che passa.


Disiu (Prima classificata - Fogghi mavvagnoti, 2017)

Ascutati. Di lu funnu di lu mari
comu acchiana lenta, pari ‘na cialoma,
ti sventrica lu cori e cchiù nun si può firmari.
Parti di luntanu, di ‘natra terra,
‘ndrabbanna lu mari, ciavuria di zaara e lumuna,
parfuma di sarmastru e gersuminu.
Accussì forti e suppili, chi ti pigghia ‘ntesta
e ti ‘mbriaca, comu lu vinu dintra lu varliri.
E io mi votu e svotu, senza paci, ‘nta lu jazzu,
aiu ‘nna stramera ‘ntesta, ‘un ‘rraggiunu
‘cchiù, m’arriducivi un pazzu.
Chi è ‘ssa cosa chi mi turmenta la vita?
‘Ssu pisu chiummu, misu a lu sceccu
comu un iucu, ‘nna sacchina china di petri,
chi mi scancara l’ossa e li spaddi,
comu ‘nna cruci ‘ncoddu mi la sentu
e ‘ntesta ‘nna curuna di spinasanti.
‘Nun sacciu chi dirivi, caru cumparuzzu meu,
‘nna traggedia ranni, ‘nun c’è ‘cchi ddiri,
ma ascutati a ‘mmia, c’aiu li capiddi bianchi,
scurdativilli ‘ssi du ucchiuzza lustri,
ca parinu ‘ddu stiddi a l’agghiurnari,
‘ssa pittorina trugghia comu un davanzali
chinu di rosi e ciuri a lu sbucciari.
Lu sacciu cch’è dura pusari sa busacca,
‘ca puru ‘nsonnu vi l’abbrazzati stritta stritta
pinsannu ca fussi idda, arma di celu biniditta,
e ‘nveci siti sulu, puviru sbinturatu,
‘nna maaria di fimmina vi fici ammalari,
pacienza, angilu miu,
chissu è amuri e nenti ci putiti fari.

Desiderio
Ascoltate. Dal fondo del mare / come sale lenta, sembra una nenia di marinai / ti colpisce al cuore e non si può fermare più. / Parte da lontano, da un’altra terra, / dall’altro lato del mare, odora di zagara e limoni, / profuma di salmastro e gelsomino. / Così forte e sottile, che sale in testa / e ti ubriaca, come il vino dentro il fiasco. / E io mi giro e rigiro, senza pace, nel letto, / ho una confusione in testa, non ragiono più / mi sono ridotto come un pazzo. / Che cos’è che mi tormenta la vita? / Questo peso come piombo, messo all’asino / come un giogo, un sacco pieno di pietre, / che mi sconquassa le ossa e le spalle, / me la sento come una croce addosso / ed in testa una corona di rosaspina. / Non so che dirvi, caro compare mio, / una grande tragedia, non c’è che dire, / ma ascoltate me che ho i capelli bianchi, / dimenticateveli quegli occhietti lustri, / che sembrano due stelle all’alba, / quel petto rigoglioso come un davanzale / pieno di rose e fiori appena sbocciati. / Lo so che è difficile posare questa bisaccia, / che persino in sonno ve l’abbracciate stretta stretta, / pensando che fosse lei, anima di cielo benedetta, / e invece siete solo, povero sventurato, / una stregoneria di donna vi ha fatto ammalare, / pazienza, angelo mio, / questo è amore e non ci potete fare niente.


‘A rizzagghiata (Menzione d'Onore - M. Costa, 2017)

M’aiu a godiri la friscura di stasira. ‘Na carmaria
chi risetta l’arma e astuta ogni vampa di trumentu.
Stancu e straccu, m’assettu ‘ncapu un muru di tistetti
‘nni lu curtigghiu ‘nturniatu di scali e strati stritti.
A lu lustru di luna m’accordanu puru li cicali
chi zurlianu cuntenti e parunu biulina stunati.
C’è chi vogghiu calari ‘nna vota e bona
lu rizzagghiu, vidilu scinniri a pisu chiummu,
cogghisi tutti li malummira, li ‘mpinciuna,
lu malustari e puru la sfurtuna di stu munnu.
Scinni lu rizzagghiu, affunna chi t’affunna,
s’allarga, pari chi si ‘nserra e poi si rapi,
nenti ci pò scappari dintra lu me cori:
riordi nivuri e scantura scurdati, fitti
‘nta l’ossa e chiantura allacrimati.
Cogghi, cogghi lu rizzagghiu, l’amaru
di sta vita trubbuliata, li spiranzi addimurati,
senza ‘mpinciri ‘nta li scagghiuna
di la genti favusa e cascittuna, bona a fari
‘mpidugghiaperi e malacunnutta a cummininienza.
Bonu, bonu! Lu rizzagghiu è chinu a tinchitè,
c’è di svacantarlu ‘nta li zimmila di crîna,
jttari tuttu ‘nta lu focu, luntanu, se cosa
anniarlu ‘nni quacchi gibbiuni funnutu.
Poi fazzu li me cunti: chissa è la me vita.
Tra malu stari e malu a veniri, aiu avutu
puru la me furtuna. Chiamatila Pruvidenzia,
comu sia sia; anchi a vutarimi li spaddi,
m’à tinutu sempri pi manu, idda ammuttannu
e je tirannu, ‘nta l’acchianati e li scinnuti.
Ora, tinta o bona ‘sta sorti mi la tegnu.
Lassu lu rizzagghiu: la pica maistra si ‘nturciunia
e po’ s’allasca, liberannu li me affanni.
Chi silenziu! Rapu e chiuru l’occhi:
arrestu alluccutu a taliari lu celu chi s’ allustrau.
Stà agghiurnannu e mi sunnai tuttu.
Mi susu e arrunchiu li spaddi suspirannu,
m’abbiu a la casa mezzu addummisciutu
e li guaj c’aiu ‘ncoddu unni li vaiu pinsannu.

La retata (1)
Mi devo godere il fresco questa sera. Una calma / che acquieta l’animo e spegne ogni fiamma di tormento. / Stanco e sfatto, mi siedo sopra un muro di conci di tufo, / nel cortile circondato di scale e strade strette. / Alla luce della luna mi seguono pure le cicale 7 che friniscono contente e sembrano violini stonati. / C’è che ho voglia di calare una buona volta / il giacchio, di vederlo scendere pesante come il piombo, / per raccogliere tutti i fantasmi, gli ostacoli, / il mal stare e pure la sfortuna di questo mondo. / Scende il giacchio, affonda e affonda, / s’allarga, sembra che si stringe e poi si apre, non gli può scappare nulla dentro il mio cuore: / ricordi neri e spaventi dimenticati, dolori / nelle ossa e pianti lacrimosi. / Coglie, coglie il giacchio, l’amaro / di questa vita travagliata, le speranze disilluse, / senza impigliarsi nelle fauci aguzze / della gente falsa ed infame, buona a fare / inganni e azioni cattive a convenienza. / Basta, basta! Il giacchio è pieno a iosa, / bisogna svuotarlo nelle gerle di erica, / buttare tutto nel fuoco, lontano, se del caso / annegarlo in qualche fossato d’acqua profondo. / Poi faccio i miei conti: questa è la mia vita. / Tra male presente e male futuro, ho avuto / pure la mia fortuna. Chiamatela Provvidenza, / come sia sia; anche a voltarmi le spalle, / mi ha tenuto sempre la mano, lei spingendo / ed io tirando, nelle salite e nelle discese. / Ora, brutta o buona, questa sorte me la tengo. / Lascio il giacchio: la corda maestra si attorciglia / e poi si allenta, liberando i miei affanni. / Che silenzio! Apro e chiudo gli occhi: / rimango come un allocco guardare il cielo che schiarisce. / Sta facendo giorno e mi sono sognato tutto. / Mi alzo e stringo le spalle sospirando, / mi avvio a casa mezzo addormentato / ed i guai che ho addosso non li vado pensando.

(1) La “rizzagghiata” è una forma di pesca con una particolare rete rotonda, appesantita da piccoli piombi che in italiano si chiama giacchio.