Nelle pagine de La
doglia muta mai come in
nessun'altra narrazione, traspare forte la metafora della Sicilia,
isola e cosmo, terra ricca e perduta nelle sue contraddizioni, nelle
sembianze di una donna partoriente che si contorce negli
spasmi del dolore, ma che da questo dolore trae l'origine della vita.
La protagonista, la vera
protagonista, Gelsomina è
donna, piena di mistero e di sorpresa, fiera ed indomita, che
si fa scudo e vestale di una tradizione misterica, alchemica ed, allo
stesso tempo, succube di forze oscure, retaggio di prepotenze
feudali, resa vittima e carnefice di passioni ancestrali, più subite
che volute.
È un antitetico gioco
delle parti, che naviga all'esterno delle rotte pirandelliane e del
verismo verghiano, traccia una parabola empatica, che trascina il
lettore in un'epoca che non è antica né moderna, ma idealizzata in
un topos che riesce difficile imbrigliare nella storia.
Peppe Zambito si muove a
suo agio negli archetipi di un'isola che conosce ed ama, idealizza un
conflitto che si muove sottotraccia nella trama articolata e pur nuda
del suo romanzo: non offre verità storiche o antropologie
edulcorate, ma sentimenti e passioni autentici, che si agitano nel
sipario di un microcosmo scolpito con il bisturi impietoso di chi non
si rassegna agli stereotipi e rifugge i luoghi comuni.
I personaggi sono
caratteri che sanno adeguarsi alle convenienze sociali, che
non intraprendono sfide prometeiche, ma sono egualmente coscienti del
dualismo distopico che vivono: il barone non si arrende al decadimento sociale
ed individuale, abituato a non conoscere altra legge se non la sua,
Gelsomina che, invece, da quel decadimento sembra trarre una nuova
linfa vitale, anche se è una vita nascosta, muta.
Così come la femmina siciliana che vive nei volti e nei corpi, nelle passioni e negli amori violenti di Gelsomina, di Giovanna e delle altre donne del romanzo: tutte paiono unite da un destino corale che accettano e verso cui debbono combattere una lotta impari, di fronte a cui decidono talvolta di rassegnarsi: agli occhi di Gelsomina non era né vecchio, né zoppo. Agli occhi di lei lui era il barone.
Così come la femmina siciliana che vive nei volti e nei corpi, nelle passioni e negli amori violenti di Gelsomina, di Giovanna e delle altre donne del romanzo: tutte paiono unite da un destino corale che accettano e verso cui debbono combattere una lotta impari, di fronte a cui decidono talvolta di rassegnarsi: agli occhi di Gelsomina non era né vecchio, né zoppo. Agli occhi di lei lui era il barone.
Ma
dietro la realtà falsa che
si trincera dietro i cartelli sociali, le differenze di ceto, vi è
quella vera che
reclama il suo tributo di dolore e sofferenza, che accomuna uomini e
donne ed agisce come una livella, travolgendo le impalcature ed i
falsi destini, che la inutile presunzione umana costruisce nella sua
piccola contingenza.
Così
il vecchio barone, Teresa, il “baronello”, Cecè e Gelsomina
diventano maschere tragiche che si muovono su un palcoscenico che,
improvvisamente, diventa più grande di loro e nel quale provano
smarrimento, di fronte all'eterno e soverchiante battito del tempo e
della storia.
Il
parto, la sua doglia, diventa il simbolo apotropaico del rinnovarsi
della vita nel dolore, il nodo gordiano della storia in cui si
affastellano le esistenze, nell'esaltazione dei
sentimenti, anche quelli più inconfessabili.
Ma
è una doglia muta, un
qualcosa di innaturale, di torbido, di non accettabile.
Solo
la resilienza dell'elemento femminile perpetua la Vita, sa rinnovarla
come una sorgente sempre pura che non arresta il suo flusso davanti
la morte o alla fragilità umana.
Peppe
Zambito, che già in passato ha dato prova delle sue capacità fabulatorie con pregevoli narrazioni, non risparmia al lettore una dose generosa di sentimenti
forti, di momenti di dolorosa umanità che rendono viva la presenza e
l'azione diegetica nel romanzo. Il colpo di scena finale, la
sorpresa, che la protagonista custodisce nelle trame del tessuto
narrativo, è la doglia
che s'acquieta, che finalmente dona pace, la verità che
prende il sopravvento. E ciò a
dispetto di trame meschine e di piccole congiure, ordite da egoismi
destinati a dissolversi di fronte all'eterno fluire del
destino-tempo, vero deus ex machina del
romanzo, che governa uomini e cose nella bella e perversa terra di
Trinacria.
La doglia muta è
un grande atto di amore e di coraggio di Peppe Zambito verso la sua
terra e verso i suoi uomini e le sue donne che, forse, vivono nei
sedimenti della storia dei grandi eventi, nascosti alle ipocrite
sentenze dei posteri, ma le cui orme sono braci ardenti, che animano
la passione ed il cammino dei popoli.
By
Michele Barbera
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