Anna Politkovskaja |
Anna Politkovskaja è stata una giornalista ed attivista russa sul fronte dei diritti umani. Nei suoi scritti trapela una disperata rassegnazione per lo sfacelo sociale causato dalla ferocia di Putin. Che non ha risparmiato e non risparmia nessuno.
Abbiamo detto “è stata” perché il 7 ottobre 2006 è stata assassinata mentre tornava a casa. Ovvio. Una fine comune ai dissidenti della nefasta “Era Putin” dove a chi invoca la libertà di pensiero, la democrazia, il rispetto della vita e dei più elementari diritti umani viene riservata solo un’alternativa: il carcere o la morte. I più “fortunati” fuggono, vanno in volontario esilio nei tanto bistrattati “regimi occidentali”, ma anche lì spesso la longa manus di Putin riesce a raggiungerli per “neutralizzarli”.
“DIARIO RUSSO”, assieme all’altro saggio “La Russia di Putin”, descrivono in modo sconvolgente questa realtà sotterranea, fatta di paura, di sconforto e rassegnazione.
Nelle parole di Politkovskaja non vi sono toni scandalistici, né piaggerie di autocommiserazione. Il tono è giornalistico, da cronaca scevra di sensazionalismi, ma le parole, le frasi si configgono nel cuore e nella mente del lettore, gli eventi si susseguono con un ritmo tragico e fatalistico, in cui è inevitabile che la rabbia e l’indignazione vadano di pari passo con l’impotenza del popolo oppresso da un regime sanguinario e feroce, ammantato di ovattata ipocrisia.
Putin ha costruito il suo regime sul terrore instillato a dosi omeopatiche e crescenti nella popolazione. Terrore e paura. Putin ha inscenato attentati, assassinato dissidenti, provocato guerre e conflitti, fatto incarcerare studenti, giornalisti ed oligarchi che avevano avuto il solo torto di manifestare la loro contrarietà al regime. Ha eliminato, con cura e pervicacia, ogni individuo (di qualsiasi età, sesso, professione, etnia), movimento, giornale, associazione, che solo provi ad esternare il desiderio di cambiare, di far cessare questo regime che da due decenni opprime il popolo russo. Ogni cenno di dissenso viene spazzato via.
Putin non si è fatto scrupolo di organizzare attentati in cui cittadini moscoviti hanno perso la vita, di aggredire popoli e nazioni confinanti, creando ad arte il “nemico” esterno, quello contro cui i russi debbono combattere uniti sotto il suo comando. Per la vittoria tutto è lecito, pure mandare al massacro centinaia di migliaia di giovani russi, arruolati in fretta e furia senza armi o addestramento.
Come possiamo meravigliarci di quello che succede oggi in Ucraina?
Da 23 anni al potere, Putin è sempre stato in guerra.
Putin è stato autore e protagonista della seconda guerra in Cecenia, della guerra nel Kosovo, ha invaso la Georgia, che aveva cercato di ottenere l’indipendenza da Mosca, ha appoggiato il regime di Assad in Siria, ha invaso la Crimea e ora pure l’Ucraina. Senza dimenticare il Kazakhstan. Senza dimenticare gli interventi in Africa, dove la Russia ha stretto alleanze con questo o quel leader tribale per fomentare guerre e conflitti.
Il tutto, ovviamente, condito da stupri, saccheggi, torture, esecuzioni sommarie, stragi delle popolazioni civili, che sembrano un obiettivo privilegiato di Putin per fiaccare il “nemico” di turno.
In Russia nessuno è al sicuro, neppure il più potente degli oligarchi o il semplice contadino della steppa o l’ignaro anziano o l’innocente bambino. Tutti rischiano la vita o come “carne da cannone” nello scompaginato esercito di Putin o come soggetto “non gradito” al dittatore. Tutti obiettivo potenziale di missili, attentati, omicidi su commissione, torture in carcere o sequestri forzati. Tutti. Adulti e bambini. Destinati, comunque, ad una fine orribile. Centinaia di migliaia di morti. Che non sembrano pesare sulla coscienza sempre più sporca di Putin, degna di un sulfureo anticristo che ha in odio l’intera umanità.
In ambito internazionale, quando qualcuno prova a fermarlo, Putin è lesto, con i suoi accoliti, a minacciare l’uso dell’arma nucleare, che - da deterrente - è divenuta mezzo di ricatto per comprarsi l’indifferenza delle nazioni allo scempio quotidiano di politiche guerrafondaie e terroristiche.
Leggendo le pagine di “Diario Russo” ben si comprende, oggi, la paura delle nazioni confinanti la Russia, eternamente e fortemente preoccupate che il dittatore rivolga a loro le peggiori sue intenzioni.
Putin non è pazzo né stolido. Usa una strategia vecchia come il mondo, collaudata e perciò pericolosamente efficace: da un lato crea il nemico esterno (terroristi ceceni, nazisti ucraini, alleanze occidentali, etc...) per infondere nel popolo russo la paura ed esaltare se stesso come unico “baluardo” difensivo della Russia, dall’altro fiacca e stronca ogni opposizione interna con un controllo ossessivo del dissenso, manovrando uomini e burocrati all’insegna della disinformazione, piegando ogni resistenza ed eliminando – fisicamente – ogni possibile avversario.
La Russia di Putin è un inferno, in cui il popolo è schiacciato sotto il tallone da un dittatore che si fida solo di se stesso: chi non gli ubbidisce o mette in dubbio i suoi diktat deve essere annientato.
“Diario russo” è un libro forte, fatto di contenuti semplici, di cronache vissute, ma proprio per questo coinvolge il lettore in modo sconcertante, scuotendolo da ogni indifferenza o apatia.
Un libro attualissimo, che bisogna leggere per capire, lontano dalle fatue e superficiali “analisi” tautologiche di “esperti” comodamente seduti in cattedra.
Un memoir cucito sulla pelle dell’autrice, permeato di un forte sentimento per un popolo, quello russo, costretto a subire da vent’anni un martirio silenzioso, dove la libertà è un privilegio che si riscatta solo con la morte, il carcere o l’esilio.
By Michele Barbera
Nessun commento:
Posta un commento