venerdì 30 marzo 2018

TROPPO SPESSO CI DIMENTICHIAMO...


Quante volte ci dimentichiamo di essere cristiani, 
battezzati nella Fede e nel Credo fondato 
sulla redenzione della nostra fragile umanità? 
Quante volte. Quante volte distogliamo il volto dalla Croce,
in nome della tolleranza, che diventa paura di testimoniare, 
in nome della "cultura" che spinge ad essere blasfemi e superbi. 
Quante volte ci rifugiamo nella cattiva discrezione, 
nella colpevole omissione, nella falsa condiscendenza,
per timore della irrisione o di "disturbare" gli altri,
che sono intolleranti e superbi 
nella loro intransigenza vuota e dannata.
Gli "altri", a cui dovremmo dare testimonianza ed, invece, 
di cui diventiamo complici nella loro ignavia e nel loro errore. 
Di cosa abbiamo bisogno per essere noi stessi? 
Quando getteremo la maschera dell'ipocrisia che ottunde la coscienza?
Gli altri hanno bisogno di vederci credere, di saperci cristiani, 
di additare loro la via dell'unica salvezza. 
Il cristianesimo è storia dell'incontro fra umano e divino. 
E' storia d'amore, è verità eterna, è salvezza.
Se oltre duecento miracoli eucaristici non sono bastati nella storia 
per rendere vivo e tangibile agli increduli 
il sacrificio redentore della Croce, 
di cosa avremo mai bisogno per credere? 
Perché seguire falsi profeti e le loro fragili bugie
che recano divisioni, guerre, carestie e violenze 
e non fare fiorire la pace nel nostro cuore?
Uomo, di cosa hai bisogno per credere?
(P. Mil., De Ch. Red.)

sabato 17 marzo 2018

L'AFFAIRE MORO: MISTERO O VERGOGNA?


Ogni cittadino italiano dovrebbe conoscere la storia di Aldo Moro. In questi giorni di “candide” ( o forse dovrei dire ingenue) celebrazioni alla memoria degli eventi di Via Fani, chissà cosa direbbe Leonardo Sciascia che si occupò a caldo della vicenda con il suo nobile, straordinario e scottante saggio-documento, scritto nel 1978. 
Quasi un istant-book, un fulminante resoconto sulla tragica parabola del sequestro di Aldo Moro, la strage della scorta ed, in ultimo, l'assassinio a freddo dello stesso, dopo una penosa prigionia, a fronte della quale, le cosiddette Istituzioni consumarono la falsa ragione di stato nel più bieco opportunismo politico.
L'edizione Adelphi che ho per le mani del libro di Sciascia è corredata anche da un'accurata cronologia degli eventi e della relazione parlamentare “di minoranza” redatta dallo stesso Leonardo Sciascia e depositata agli atti della Commissione in data 22 giugno 1982.
Il sugo del libro pare racchiuso in quella strana epigrafe di Canetti che apre l'opera e lascia sfogo alle cateratte della memoria: la frase più mostruosa di tutte: qualcuno è morto al momento giusto.
Morire al momento giusto. Perché altri (chi altri? quali altri?) hanno deciso di sì. Perché da quella morte qualcuno, o forse in tanti, ne traevano un proprio egostico vantaggio in uno scacchiere politico ballerino e cronicamente instabile. In un misterioso gioco delle parti, in cui nessuno, però, voleva fare l'assassino, ma tutti, in modo più o meno percepibile, hanno aiutato (incoraggiato sarebbe dire troppo) il boia ad uccidere.

Aldo Moro non era semplicemente un uomo politico, era il segno di una stagione che cambiava, che perseguiva ideali di partito nel contesto più ampio di un dibattito parlamentare affannato e contorto.
Sciascia, non dimentichiamolo, era schierato sul fronte del Partito Comunista, sia pure da indipendente, e non risparmia certo critiche alla logica democristiana che nella vicenda Moro sembrava aver soffocato nei suoi maggiori esponenti non solo il “senso dello Stato”, ma anche quello della verità, della solidarietà.
Ma, forse, proprio per questo, per questo antielogio del politico Moro e del suo partito (che viene da rassomigliare ad un emblematico guazzabuglio di invereconda codardia), prima ancora della considerazione per l'uomo e lo statista, che Sciascia rivela la sua onestà intellettuale. Proprio per questo la sua condanna di quella gara di colpevole inerzia e di “presa delle distanze”, che vide tra i suoi maggiori portagonisti gli esponenti di maggior spicco della democrazia cristiana ( senza maiuscole), appare ancora più vivida ed onesta.
Leonardo Sciascia è abituato con la sua scrittura a graffiare la realtà, a scalfire quel velo di buonismo ipocrita che spesso si traduce in collusione, in complice duttilità ed acrobatico trasformismo. E la vicenda Moro ne è un brillante esempio (cattivo esempio) di stato.
Nelle lettere che Moro scrive dalla prigionia e che Sciascia riprende nel loro spirito con sottile sagacia, traspare in tutta la sua sofferenza un j'accuse contro la crudele ambiguità di quelli che Moro considerava i veri arbitri della questione: «Muoio, se così deciderà il mio partito...».
La lucida coscienza dell'uomo di partito, dei giochi di potere che lo avevano assegnato ad un triste destino, si condensano in una parabola che lo aveva precipitato dal vertice del potere alla più assoluta impotenza.
Il libro di Sciascia, per chi non condivide una certa idea del mondo che ha l'autore, deve essere letto con disincanto ideologico e senza retrospettive profetiche.
L'opera è il grido puro, vivo, rabbioso della coscienza di un intellettuale, che ha vissuto il peggiore dei suoi incubi, lo Stato che si comporta da anti-stato, da combriccola che congiura non il silenzio, ma la complicità e la condivisione del male.
Alla fine è morto un uomo. Forse, come dice Sciascia, L'affaire Moro, potrebbe essere letto come opera letteraria e non come opera di verità. Ma così non è. L'assassinio di Aldo Moro non è un romanzo poliziesco, per quanto indecifrabile e fascinoso nella sua malvagia essenza intima. Sciascia, nell'ultimo paragrafo della pseudo-narrazione cita il Borges di Ficciones, e lancia l'ultima sfida al lettore: c'è un indecifrabile assassinio nelle pagine iniziali, una lenta discussione nelle intermedie, una soluzione nelle ultime. Poi, risolto ormai l'enigma, c'è un paragrafo vasto e retrospettivo che contiene questa frase: “Tutti credettero che l'incontro dei due giocatori di scacchi fosse stato casuale”. Questa frase lascia capire che la soluzione è sbagliata. Il lettore, inquieto, rivede i capitoli sospetti e scopre un'altra soluzione, la vera”.
By Michele Barbera


domenica 11 marzo 2018

ROSATELLUM OVVERO UNA LEGGE ELETTORALE DA CAMBIARE


A perdere, alla fine, siamo sempre gli stessi: i cittadini italiani. Non sto qui a rivangare i motivi di una legge elettorale che fa semplicemente schifo. Sia dal punto di vista giuridico che politico. Una legge che ha dato all'elettore una scheda preconfezionata in cui con una semplice croce, il cittadino votava per tutto: uninominale, partito e listino bloccato. La preferenza era solo aleatoria, i collegi massimamente dimensionati, tanto da fare perdere cognizione di quali candidati si stava votando, nomi sconosciuti ed imposizioni sul maggioritario, con candidati da votare a “naso chiuso” ed a occhi girati dall'altra parte. Pazienza.
Ci avevano incantato con il dirci che era una legge fatta per dare stabilità al paese. Così non è stato. All'indomani delle elezioni, per non bene identificate alchimie burocratiche, nessuno è in grado di governare da solo. Chi ha vinto sulla carta deve cercare strane alleanze, “nell'interesse del Paese”. E tutti avranno l'alibi di non poter realizzare le famose “promesse” elettorali, scaricando facilmente le colpe sui numeri che non ci sono e sulle difficoltà di formare il governo.
La paura concreta è che si ritorni ai governi del Presidente, senza nulla togliere a Mattarella, forse, in questo momento, la persona meno invidiata d'Italia. Governi tecnici, a geometria variabile, che non hanno (almeno in apparenza) nessuna connotazione politica, nati con l'intento di traghettare il Paese verso un'ignota meta, in un percorso obbligato segnato con le bandierine di un'Europa sempre più rigorosa ed avara con i paesi deboli strutturalmente.
Questo perché il Rosatellum è una legge a metà, nata dalla paura di perdere. Meglio essere disfattisti, andare allo sfascismo, piuttosto che lasciare che altri governino.
Proprio il fatto di essere in Europa avrebbe dovuto consigliare ai nostri politicanti di redigere una legge rigorosa, pulita, senza equivoci. Consentire un'alternanza alle forze politiche, mettere in condizioni chi vince, a qualunque schieramento appartenga, di attuare il programma offerto agli elettori, senza alibi matematici o equilibri occulti. Se poi non si era all'altezza, a casa. Senza se e senza ma.
Occorreva una politica del fare, ed, invece, ha vinto il partito del compromesso, del paracadute, della ciambella di salvataggio ai trombati eccellenti. Per rimescolare le carte. Spero, ma è solo una illusione, che in questa legislatura si metta mano ad una seria riforma elettorale. Siamo, o dovremmo essere nella Terza Repubblica. Speriamo solo che non sia la brutta fotocopia di quelle precedenti. E, purtroppo, le premesse ci sono tutte.
By Michele Barbera