lunedì 15 febbraio 2016

METAREALISMO E POESIA EMOZIONALE: UN CRITERIO ERMENEUTICO PER LA POESIA CONTEMPORANEA

Dalla Rivista "IL CONVIVIO", edita dall'Accademia Internazionale "Il Convivio" n.63 riprendo il mio saggio sulla poesia contemporanea: 

Non è raro imbattersi in analisi compiute verso la coscienza della poesia contemporanea, alla ricerca di un denominatore
comune che racchiuda la “poetica” lirica moderna. E facilmente le dissertazioni sono destinate a perdersi in un limbo, talvolta disordinato, di matrici letterarie non facilmente distinguibili. È vero che la poesia contemporanea è varia dal punto di vista stilistico: spazia dai neoermetici, sino ad avanguardie sperimentali post-moderne, che giocano sul filo del linguaggio destrutturato, dei paradossi, delle metafore sensoriali, sino a sprazzi di neoclassicismo con il recupero di metriche antiche e rimari. Ma la domanda da cui parte la mia modesta riflessione è assai diversa: Cosa vogliono dire oggi i poeti? Qual è l’oggetto, se esiste, della poesia? Attenzione, però. La poesia non è soltanto “comunicazione”. Non è uno strumento semiologico su cui innestare informazioni e contenuti di immediata fruizione. Se fosse così non sarebbe poesia. Jean Guitton, congiuntamente ai due scienziati G. Bogdanov e I. Bogdanov, nel saggio “Dio e la scienza. Verso il metarealismo”, pur da “non-poeta”, almeno in senso formale, enuncia la propria tesi nel sunto «ciò che vorrei dimostrare insieme ai fratelli Bogdanov, appoggiandomi su quelle che sono le loro conoscenze scientifiche, è il fatto che alla fine di questo millennio i nuovi progressi della scienza permettono di intravedere un’alleanza possibile, una convergenza, seppur ancora oscura, tra la conoscenza fisica e il sapere teologico, tra la scienza e il mistero supremo». Il pensatore francese introduce nella sua riflessione il concetto di “metarealismo”, visto e considerato come “un nuovo modo di pensare che eliminare le frontiere tra lo spirito e la materia”. Nulla di nuovo, forse, visto che già in Russia, nei poeti del  Novecento, troviamo teorizzata una “scuola metarealista”, sia pure in una prospettiva lievemente differente.
Ma in questo terzo millennio la poesia ha il suo campo privilegiato non tanto nella osservazione della realtà, quanto
nella emozione che la stessa osservazione provoca. “Emozione” intesa quale espressione libera e rarefatta dello
spirito, dove il lessico acquista nuova pregnanza e le sfumature stilistiche diventano arte allo stato puro sentimento,
concetto astratto di una realtà la cui introspezione richiede indagini extra o meta sensoriali. 
La realtà non è più tale. Diventa sentimento che il poeta, nella sua sofferenza, si sforza di comunicare, con esiti più o
meno felici, al suo lettore. Si dice che gli occhi vedono, gli orecchi sentono ma solo l’intelletto-anima comprende. Ciò che lo circonda diventa materia da plasmare per lo spirito del poeta che, lontano dalla fisicità meccanica, dallo stretto materialismo, o dalle costrizioni sensoriali, inventa emozioni, crea sentimenti, forgiando nuovi significati a parole antiche. Significativa la poetica di Olga Sedakova, espressione del metarealismo russo, nel suo “Solo nel fuoco, si semina il  fuoco”. G. Mainardi nella sua Prefazione, citando la poetessa russa M. Cveteva asseriva che “la contemporaneità del poeta è la sua condanna al tempo. Condanna ad essere da lui condotto”. La Sedakova che pure proclama la sua libertà, il suo iniziare a comporre poesie prima ancora di leggere e scrivere, parla di una “generazione perduta” di letterati condannati alla contemporaneità ed ad essere allo stesso tempo inattuali.
Un disagio tutto interiore che porta all’astrazione da una realtà inaccettabile (la Sedakova operò durante il regime sovietico e la stessa Cveteva era esule in Francia). S. Garzonio, nel commentare Vasilij Filippov, espressione dell’underground leningradese, scrive «Tra il mondo straniato dei segni letterari e quello del degrado mentale della clinica, il poeta elabora i suoi testi, nell’esigenza di fissare le impressioni quotidiane che affollano le sue percezioni, nitide o narcotizzate che siano, anche di azioni e situazioni insignificanti o di oggetti dimenticati in penombra. La poesia di V. Filippov ha una natura visuale e si esalta nell’artificio di cumuli di figurazioni metaforiche sovrapposte in associazioni libere con la disarmante semplicità di uno stile piano, molto spesso costruito su versi liberi. Nella complessa semplicità si racchiude l’essenza metafisica della scrittura dell’autore; questo rischioso ossimoro, che potrebbe alludere alla componente psicofisiologica della poetica di Filippov, non scade nella banalità e non necessariamente va inteso come sinonimo o sintomo di pazzia». Non vi è chi non veda in questa accurata analisi, l’esatto sovrapporsi alla spiritualità di una poetessa italiana come la nostra Alda Merini, testimone della propria lucida sofferenza, che la porta a sublimare i propri sentimenti, dove la rassegnazione diventa riscatto ed i versi diventano libertà.
Dunque, libertà di sentimenti, che equivale a libertà di espressione. In questo senso la grammatica diventa prigione
insopportabile e la sintassi catena da spezzare. Sino al rischio della incomunicabilità secondo i canoni convenzionali.
Il lessico è solo materia grezza da plasmare, sentimento da svelare o, a seconda, da nascondere dietro azzardate
metafore e percezioni metalinguistiche. Libertà al poeta! Ovvero alla sua emozione, intesa come capacità emotiva ed espressiva. Sembra questa l’unica legge che può governare un mondo d’illusioni e sofferenze, in cui la sensibilità sprofonda nell’angoscia ed il disagio di vivere è un binario a senso unico verso l’abisso sensoriale. Umberto Saba, che all’inizio fu duramente stroncato anche da critici illustri, ricerca, per suo stesso dire, nella sua opera, la “verità”, la “verità che giace in fondo”, profonda, nascosta, che solo l’esperienza del dolore è capace di rivelarci. E l’opera di Saba, per alcuni incerta dal punto di vista stilistico, quasi “grigia” o prosastica, in realtà è espressione di una vivida consapevolezza che trascolora il quotidiano in una triste percezione di impotente ed inutile paradosso: io non so amare / io non so fare / bene che questa cosa/ cui dava a me la vita dolorosa / unico scampo / io dico l’arte / d’incider carte / di difficili versi / che spesso stanno fra lor come avversi / nemici in campo
Ma la poesia, non è solo intima sofferenza. Essa accende gli animi, diventa “fuoco” che si forgia nel fuoco, pathos purissimo, che colpisce e coinvolge, se non stravolge, senza preavviso lo spirito di chi vuole leggere. E così è per l’ermetismo (Ungaretti, Montale, Luzi), in cui il concetto viene radicalizzato, scarno nella sua essenzialità. Il lemma diventa poesia, nel suo significato profondo, quasi un linguaggio iniziatico, che, come un magico scrigno, imprigiona le emozioni ed i sentimenti. Parole e costrutti che sintatticamente paiono semplici e banali, ma che contengono una terza dimensione, una profondità non immediatamente percepibile. Da troppo tempo il metalinguaggio dei poeti contemporanei è divenuto insolita materia di ironia per la sua sospetta incomprensibilità, che taluni confondono con incapacità espressiva. Di contro, si assiste ad una sospetta “proliferazione” di poeti: per molti rivestire i propri pensieri, per capacità, talento o fortuna, di espressioni o lemmi oscuri o illogici è divenuto sinonimo di poesia. Facilmente ci si attiene ad una “forma” che, con l’infarcitura di sospensioni e troncature, diventa surrogato di poesia.
Ma l’arte poetica è ben altro. Essa è concetto, sentimento, passione. Emozione. Che deve comunicarsi dall’artista
al fruitore. Può diventare (o sembrare o, forse, in definitiva, lo è) linguaggio per iniziati. Noi riteniamo che sia uno stimolo alla personale sensibilità di ciascuno di noi, poeti e lettori, una frusta per i pensieri troppo spesso stereotipati
dell’uomo moderno, afflitto da afflati consumistici ed a obsolescenza programmata, affinché non abbandoni la capacità
di riflettere, di sopravvivere ad una civiltà fast-food che brucia l’effimero, che rarefà ogni sentimento, che dietro
l’illusione nasconde il vuoto abissale.
Mi piace congedare questa mia riflessione sulla liricità contemporanea con i versi rivelatori di Quasimodo: “ognuno
sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole / ed è subito sera”, dove la solitudine dell’uomo-poeta fa da
contrappeso alla brevità della esperienza umana, pure illuminata da evanescente felicità (raggio di sole), che si mostra
pure essa crudele (trafitto).
La poesia trascende la materia, la fisicità, va oltre la realtà, diventa emozione profonda, intimistica e pure universale.
In una parola metarealistica. 
By Michele Barbera

Nessun commento:

Posta un commento