sabato 5 marzo 2016

MENFI E L’EMIGRAZIONE SILENZIOSA



Premessa (doverosa): credo che quello che leggerete non è parte solo di Menfi, ma di tutto il Sud, o, forse, di un certo Sud. Narro solo di un vissuto personale e, perciò, per me, tanto più sentito e doloroso.
Trent’anni. O poco più. L’ho rivisto fermo ad un angolo di strada, in una posa che ho riconosciuto prima ancora di guardarlo negli occhi. L’incontro è stato una piccola scossa di terremoto che scuote il tran tran quotidiano. Una birra, domande scontate per risposte ovvie, ma che destano meraviglie.
Un compagno di scuola, perso dopo l’adolescenza. La via dell’emigrazione silenziosa, quella che ti fa cercare una “sistemazione” in città o al Nord. In quel posto indefinito dove si vive meglio e c’è la possibilità di lavorare senza trascinarsi dal politucolo al baronetto, in un pendolarismo clientelare da servi della gleba, per implorare quel diritto su cui si fonda la nostra nazione.
Trent’anni. Una parentesi che corre veloce. Facciamo un rapido calcolo con il mio amico. E scopriamo che del nostro gruppo – una trentina o poco più – a Menfi ne sono rimasti si e no otto. Un paio sono morti. E gli altri? Dove li ha condotti il fiume silenzioso della vita, quella triste slavina della esistenza che si chiama “bisogno”?
Ragazzi validi, con-la-testa-sulle-spalle, come si dice. Eppure scomparsi. Quasi una lupara bianca che miete le sue vittime senza scalpore, tranciando le radici e facendo disseccare la pianta dell’entusiasmo come un virus letale.
Non ci sono barconi nel mezzo, né trafficanti di vite umane o fili spinati che fanno-tanta-scena in tivvù. E' un'emigrazione silenziosa, ma non per questo meno dolorosa e traumatica.
Finiamo la birra senza entusiasmo. Il mio amico mi racconta che, ormai, non gli va più di scendere a Menfi. Vede solo il deserto. Si sente estraneo nella sua terra. Come una sorta di reduce di qualche guerra.
Vorrebbe fare qualcosa per rivitalizzare il legame – suo e di tanti – con il paese di origine dove i ricordi hanno ormai il sopravvento sui sogni. Ha provato a parlare con qualcuno, ma ogni volta sembra "che gli ridono in faccia". Non lo prendono sul serio. Mi dice con rabbia che Menfi è diventata una palude. O, forse, lo è sempre stata, rispondo.
Ci salutiamo senza rimpianti. Ci scambiamo i numeri di cellulare che annegheranno nella rubrica dello smartphone. Buoni solo per gli SMS preconfezionati di Natale.
Un sorriso, una pacca sulle spalle. Mi invita al Nord, dove lui vive. Scuoto la testa.
La mia battaglia la voglio condurre qui. E rilancio: dovremmo provare a bonificare la palude.
Stavolta a sorridere è lui.
By Michele Barbera 

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