Premessa (doverosa): credo che quello che leggerete non è parte solo
di Menfi, ma di tutto il Sud, o, forse, di un certo Sud. Narro solo di un
vissuto personale e, perciò, per me, tanto più sentito e doloroso.
Trent’anni. O poco più. L’ho rivisto fermo ad un angolo di strada, in
una posa che ho riconosciuto prima ancora di guardarlo negli occhi. L’incontro
è stato una piccola scossa di terremoto che scuote il tran tran quotidiano. Una
birra, domande scontate per risposte ovvie, ma che destano meraviglie.
Un compagno di scuola, perso dopo l’adolescenza. La via dell’emigrazione silenziosa, quella che ti fa cercare una “sistemazione” in città o al Nord. In
quel posto indefinito dove si vive meglio e c’è la possibilità di lavorare
senza trascinarsi dal politucolo al baronetto, in un pendolarismo clientelare da
servi della gleba, per implorare quel diritto su cui si fonda la nostra
nazione.
Trent’anni. Una parentesi che corre veloce. Facciamo un rapido calcolo
con il mio amico. E scopriamo che del nostro gruppo – una trentina o poco più –
a Menfi ne sono rimasti si e no otto. Un paio sono morti. E gli altri? Dove li
ha condotti il fiume silenzioso della vita, quella triste slavina della
esistenza che si chiama “bisogno”?
Ragazzi validi, con-la-testa-sulle-spalle, come si dice. Eppure
scomparsi. Quasi una lupara bianca che miete le sue vittime senza scalpore,
tranciando le radici e facendo disseccare la pianta dell’entusiasmo come un
virus letale.
Non ci sono barconi nel mezzo, né trafficanti di vite umane o fili spinati che fanno-tanta-scena in tivvù. E' un'emigrazione silenziosa, ma non per questo meno dolorosa e traumatica.
Finiamo la birra senza entusiasmo. Il mio amico mi racconta che,
ormai, non gli va più di scendere a Menfi. Vede solo il deserto. Si sente
estraneo nella sua terra. Come una sorta di reduce di qualche guerra.
Vorrebbe fare qualcosa per rivitalizzare il legame – suo e di tanti –
con il paese di origine dove i ricordi hanno ormai il sopravvento sui sogni. Ha provato a parlare con qualcuno, ma ogni volta sembra "che gli
ridono in faccia". Non lo prendono sul serio. Mi dice con rabbia che Menfi è
diventata una palude. O, forse, lo è sempre stata, rispondo.
Ci salutiamo senza rimpianti. Ci scambiamo i numeri di cellulare che
annegheranno nella rubrica dello smartphone. Buoni solo per gli SMS preconfezionati di Natale.
Un sorriso, una pacca sulle spalle. Mi invita al Nord, dove lui vive.
Scuoto la testa.
La mia battaglia la voglio condurre qui. E rilancio: dovremmo provare
a bonificare la palude.
Stavolta a sorridere è lui.
By Michele Barbera
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