Luigi Natoli (che scriveva con lo pseudonimo di William Galt) è stato
un grande affabulatore, o, forse, uno dei grandi scrittori storici che la
Sicilia abbia mai avuto. E’ famoso per il suoi “Beati Paoli”, ovvero la
narrazione di quella setta segreta che a Palermo amministrava una giustizia
rapida, feroce e violenta. A volte in contrapposizione con la giustizia ufficiale o per riparare i torti e le prepotenze dei signorotti di turno.
Ma Natoli, che oserei definire “pittore storico”, oltre a tracciare grandi affreschi, si è dedicato anche a “ritratti storici” che sono poi piccole
e grandi vicende che, non meritando magari la prospettiva profonda di un
romanzo, sono stati colti nella loro essenza, nel loro spirito in racconti brevi.
Così definisco il volume di Natoli “Storie e Leggende di Sicilia”, un
luogo di incontro tra realtà e fantasia, tra mito e storia, che copre il lungo arco di circa sei secoli, dove capita di
incontrare creature e personaggi che, magari, in epoche più recenti hanno avuto
blasoni più reclamizzati (vedi ad esempio la storia di Zosimo, incoronato Re di
Girgenti, ripresa da Andrea Camilleri in un suo romanzo).
E di Luigi Natoli credo che siano (anzi siamo) debitori molti
scrittori, poeti e narratori contemporanei, che fanno propria, studiano ed analizzano la “sicilitudine”, ovvero quel complesso
di comportamenti, caratteri, forme e metodi che nel tempo e nei secoli hanno
plasmato la civiltà siciliana.
A differenza dei grandi storici e studiosi della civiltà siciliana, i
quali hanno ritratto “in laboratorio” e registrato asetticamente i modi e le
usanze del popolo siciliano, Natoli a quelle stesse usanze, tradizioni,
leggende, miti, narrazioni, prigioniere talvolta di una “oralità” angusta e deformante,
ha dato nobili vesti letterarie, romanzandone i contorni e rendendole più “sugose”
(alla maniera di Manzoni) e più avvincenti.
By Michele Barbera
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