venerdì 9 luglio 2021

GIANMARIO ROVERARO: UNA RIFLESSIONE SUL SUO SEQUESTRO ED UCCISIONE

 

Correva l’anno 2006. 
L’Italia dello sport, il nove luglio festeggiava la vittoria ai Mondiali, con la Francia battuta sul filo dei rigori. Qualche mese prima, ad aprile, l’antimafia siciliana segnava negli annali l’arresto di Bernardo Provenzano, il sanguinario boss di Cosa Nostra.
Tra le pieghe della cronaca estiva di quell’anno, in una dimensione tragicamente umana, accadeva anche qualcos’altro: il ventuno luglio veniva ritrovato il corpo martoriato di Gianmario Roveraro, conosciuto per il suo passato di campione di salto in alto ed economista di grandissimo talento.
Gianmario era stato ucciso l’otto luglio, dopo un sequestro durato pochi giorni. In modo barbaro, brutale, odioso: il suo assassino, dopo avergli sparato a bruciapelo, in un impeto bestiale, aveva infierito sul corpo, smembrandolo ed abbandonando i resti nella campagna di Parma.
L’esecuzione efferata di Gianmario lasciò scossi tutti coloro che lo avevano conosciuto e che erano rimasti già sgomenti dal sequestro avvenuto a Milano qualche giorno prima, mentre stava ritornando a casa a piedi dalla moglie e dai tre figli.
Gianmario era nato nel 1936 ad Albenga, nella riviera ligure, terra con cui mantenne sempre un affettuoso legame. La sua vita è stata segnata da un profondo senso del dovere, da un incolmabile attaccamento al lavoro ed alla famiglia, da un esercizio entusiasta delle fede cristiana, a cui rendeva testimonianza ogni giorno, senza clamori o ostentazione, con il proprio lavoro e con la dedizione agli altri.
Aveva iniziato presto una carriera atletica, quella del salto in alto, che lo portò a conquistare ben tre campionati italiani ed a partecipare pure ad una Olimpiade. Contemporaneamente, si era impegnato tantissimo negli studi per conseguire la laurea in economia con un’innovativa tesi sui fondi di investimento, da lui poi introdotti in Italia e destinati a rivoluzionare il mercato del risparmio.
Economista talentuoso e finanziere riservato, competente e brillante, per i suoi valori cristiani e di aperta solidarietà verso il prossimo, c'era chi lo vedeva come contrapposto a certa finanza laica. Una definizione giornalistica che gli andava stretta e che aveva smentito subito affermando che: "la finanza non è cattolica, laica o massonica, è semplicemente finanza", ribadendo, così, che il suo impegno professionale era ben lontano da dietrologie o secondi fini.
All’apice del mondo finanziario italiano negli anni ottanta e novanta, ne divenne protagonista ai massimi livelli, mantenendo un’integerrima reputazione professionale ed una fede integra che lo accompagnò sino al giorno del suo assassinio.
Gianmario, però, era anche, e soprattutto, altro.
Dotato di instancabile energia, si era dedicato al volontariato, promuovendo, fra l’altro la fondazione dell’Associazione FAES, Famiglia e Scuola, e presiedendo per svariati anni la Fondazione RUI, Residenze Universitarie Internazionali, che promuove la cultura universitaria con la gestione di residenze e la concessione di borse di studio agli studenti meritevoli e disagiati economicamente. Istituzioni e che a tutt’oggi svolgono in modo qualificato le loro funzione nella preparazione delle future generazioni.
Animato da uno spirito vivace e generoso, era prodigo di attenzione verso chiunque si rivolgesse a lui, confidando nel suo impegno e nella sua attenzione. Le sue iniziative sapevano attrarre l’attenzione dei maggiori imprenditori italiani, sviluppando strategie per gli investimenti e lo sviluppo industriale.
La dedizione agli altri, la sua disponibilità, l’empatia che generava nel prossimo, erano sicuramente dei tratti personali che lo distinguevano nel mondo della finanza, spietato e cinico, corroso da interessi speculativi e da azioni spregiudicate.
Gianmario aveva dato prova di tempra forte, di sapere resistere alle insidie di quel mondo malato ed, anzi, di portare la sua luce limpida fin nei recessi più ombrosi, dove il male ed il bene si intrecciavano in trame d’interessi e di speculazioni incomprensibili ai più.
Puro e saldo nella fede cristiana, aveva aderito all’Opus Dei sin dal 1961.
Certo giornalismo bancarellaro aveva speculato su questa adesione, adombrando vanamente trame fosche all’ombra di chissà quali poteri occulti.

L’Opera di San Josemaría Escrivá per Gianmario era solo il completamento naturale della sua formazione cristiana. Lo stato di “soprannumerario”, proprio dei membri sposati, gli consentiva di vivere il suo matrimonio, la sua famiglia ed, al contempo, di appagare una profonda, rigorosa ed essenziale formazione cristiana e cattolica e con l’impegno nelle opere di volontariato e di promozione sociale.
La storia di Gianmario, la sua vicenda umana e professionale, ma soprattutto la sua testimonianza di fede meritano di essere ricordate oggi, a distanza di quindici anni, senza orpelli o falsi misteri.
Egli viveva in un'unica dimensione il suo lavoro professionale, la sua vocazione spirituale, l’elevazione e la dedizione di sé a Dio. Riservato e schivo non cercava notorietà, anche se attirava, come molti hanno testimoniato, stima e rispetto in tutti quelli che lo conoscevano.
La sua scomparsa, determinata da un odio efferato, da una dinamica criminale feroce e disumana, al di là dei processi e delle inchieste giornalistiche non può non interrogare  la nostra coscienza.
Per cosa è stato ucciso realmente Gianmario Roveraro?
Per una estorsione andata a male, per un mero intento criminale?
Appare strano che l’omicida per sfuggire all’accusa di sequestro abbia preferito uccidere, attirando su di sé una pena ben maggiore.
Ancora più strano, quello che l’assassino riferisce ai magistrati il giorno dell’arresto e della macabra scoperta del corpo: “...non mi ricordo di averlo ucciso...ma sento che è morto... io non sono matto, non mi drogo, non bevo”. E subito dopo : “...è molto probabile che l’abbia ucciso io, mi sembra molto strano che l’abbia fatto a pezzi... non mi ricordo di aver sezionato il corpo...”
Eppure l’omicida, per i periti del processo, al momento del fatto era capace di intendere e volere.
Chi è stato ucciso l’otto luglio di quindici anni fa?
L’uomo, il professionista o il cristiano?
L’odio che si è scatenato contro Gianmario Roveraro era quello di un disegno criminale disperato o di un'avversione al credente, all’uomo di fede?
L’assassino, nell’interrogatorio dell’11/12/2006, dichiara che “Roveraro si è suicidato attraverso me, lui ha scatenato la mia rabbia fino ad ucciderlo e farlo a pezzi, ...mi ha convinto a fare il finto sequestro coinvolgendo i miei due migliori amici e poi ha fatto marcia indietro”.

Forse, l’unico mistero dell’uccisione di Gianmario che vale la pena di indagare, sta in queste parole. Parole deliranti, pronunciate, però, da un soggetto dichiarato capace di intendere e di volere. Capace di volere il male. Sino all’estremo.
By M. Barbera


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