Ho sempre avuto una
spiccata simpatia per il movimento Cinquestelle, così come per Beppe
Grillo, che ho sempre ammirato per il coraggio che ha avuto – da
vero comico ed umorista - di dire quello che pensa, anche se questo
gli è costato per anni l'ostracismo nella “tv-di-stato”. Ancora
ricordo i suoi sberleffi e le irrisioni rivolte a quei politici
(socialisti, democristiani, repubblicani, etc...) che, prima ancora
di Mani Pulite, avevano messo a nudo le corruttele e scoperchiato la
pentola di malaffare e criminalità di cui era affetta l'intera
classe politica.
Niente da dire.
Anche per la leggiadra ed
eterea Virginia Raggi, ritrovatasi, come Alice nel Paese delle
Meraviglie, a fare il sindaco di Roma, ho nutrito sentimenti di
simpatia e di incoraggiamento.
Sappiamo tutti che
governare Roma significa amministrare la più difficile città
d'Italia. Una città che è al contempo, museo a cielo aperto, con un
patrimonio artistico e storico unico in tutto il mondo, capitale di
uno Stato, con i doveri di rappresentanza e con l'intreccio delle
relazioni istituzionali necessarie al governo nazionale, enclave di
uno stato particolare, come è la Città del Vaticano, una metropoli
convulsa, in sempiterna fase di crescita, etc...
Sappiamo tutti che
nessuno ha la bacchetta magica e che i problemi di Roma, compresa
un'endemica tendenza allo sfascismo, sono atavici ed affondano le
radici in una complessa tradizione storica ed antropologica, ma la
eburnea e danzante Virginia non può sperare di riscattare se stessa
e la sua pallida entrata in scena con una ingenua (a dir poco)
lettera al Viminale dove invita a non fare entrare rom ed immigrati
nella Capitale. E così sperare che si risolva il problema (o che
altri risolvano il problema).
È come scrivere al
Padreterno una lettera in cui lo si invita cortesemente a far
scomparire la fame nel mondo.
Certo i miracoli sono
sempre possibili...
Quello che i Cinquestelle
non hanno capito è che quando si passa al governo, vuoi o non vuoi,
finisce il tempo della protesta e comincia quello della proposta, del
FARE.
Ci vuole progettualità,
iniziativa, decisionismo, pianificazione, lavoro serrato, per
costruire, raggiungere obiettivi, soddisfare i bisogni della gente,
avere idee sullo sviluppo, creare opportunità. Poco alla volta,
costantemente, giorno e notte.
Un'amministrazione deve
saper rischiare, lottare per i suoi cittadini, affrontare i problemi
e le questioni di petto, senza sconti o indecisiioni. Qualcuno
criticherà, qualcun altro apprezzerà. Ma il decisionismo, l'azione,
il soddisfacimento dei bisogni della popolazione, è quello che
contraddistingue un sindaco ed il suo governo che non può essere
fatto di letterine a Babbo Natale o di tremebonde comparse in TV, in
cui si sventola la bandiera dell'innocenza e del
“nulla-so-nulla-faccio”.
Ma senza il “FARE”,
un'amministrazione cittadina diventa ombra che svanisce, fantasma di
se stessa, inutile perdita di tempo.
Grillo lo sa. Lo deve
sapere. Ed anche Virginia.
By Michele Barbera
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