La storia
della politica americana quest’anno dava per scontata l’alternanza tra il
democratico uscente Obama in favore del candidato repubblicano, chiunque esso
fosse stato. Nella storia americana l'alternanza è un dato pressoché acquisito, specie dopo due mandati dello stesso presidente. Questo a meno di sorprese.
Hillary Clinton
aveva, dunque, il vento contrario non semplicemente per il Trump di turno,
quanto piuttosto a causa di una tradizione storica centenaria che la dava per sconfitta
sulla carta.
Sotto certi aspetti, la chiave
della elezione di Trump è tutta qua.
Ma per comprendere appieno l'exploit di Trump bisogna fare un passo indietro.
Ma per comprendere appieno l'exploit di Trump bisogna fare un passo indietro.
Bisogna
chiedersi come ha fatto un candidato come Trump, outsider, che nessuno voleva e
che nessuno appoggiava, a superare le “primarie” repubblicane a fronte di
candidati di tutto rispetto.
C'è un dato che pochi hanno considerato.
C'è un dato che pochi hanno considerato.
Di fronte ad
uno scenario che dava per fortemente probabile la sconfitta democratica, per Hillary
Clinton ovviamente sarebbe stato più agevole affrontare nella fase finale un candidato
strutturalmente fragile e destabilizzato come Trump piuttosto che un candidato
repubblicano forte e “presentabile” come Cruz, Bush, Carson, Gilmore o Kasich e
così via. Tutti candidati con un pedigree politico di tutto rispetto.
Eppure a
vincere le primarie repubblicane è stato proprio chi nessuno voleva ed in cui
nessuno credeva.
Che dietro
la vittoria delle primarie di Trump vi possa essere lo zampino della democratica Clinton
è un’ipotesi cattiva, ma non irreale, ipotizzata da più di uno dei politologi d’oltre
oceano.
La Clinton
non è una novellina della politica. Negli ultimi anni è stato Segretario di
Stato, la donna più potente del mondo, seconda – forse – solo alla Merkel. Da
decenni è nell’establishment americano, ha esercitato il Potere (con la "P" maiuscola) in concreto e sullo scacchiere mondiale,
è una stratega fine ed intelligente e fin dall’inizio della campagna presidenziale si è presentata come la
candidata, seria, moralmente rassicurante, “per bene”, tranquilla, l’amica di famiglia, totalmente contrapposta alla "furia" sconnessa di Trump.
Non solo ma Hillary ha avuto a disposizione risorse economiche miliardarie che ha profuso in una campagna elettorale all’insegna della grandeur.
Non solo ma Hillary ha avuto a disposizione risorse economiche miliardarie che ha profuso in una campagna elettorale all’insegna della grandeur.
Tra lei e
Trump, dunque, non vi era storia. A perdere avrebbe dovuto essere Trump. La Clinton voleva sconfiggere la malasorte dell’alternanza
democratica. Voleva fare la Presidente a tutti i costi.
E Trump era un
bersaglio facile, un perdente ideale, uno che sulla carta nessuno avrebbe votato e che, anzi, il
popolino e le minoranze avrebbero odiato per la sua immoralità, l'ostentata ricchezza, per le sue idee
estremiste ed antidemocratiche.
Ecco allora
che la vittoria delle primarie di Trump ha incredibilmente favorito sulla carta
la Clinton.
Per la
Clinton affrontare da ultimo Trump diventava una “passeggiata di salute”, un comodo red
carpet che l’avrebbe condotta direttamente allo Studio Ovale. Era, doveva
essere, una campagna elettorale banalmente scontata.
Ed, allora,
cosa è andato storto?
Il registra “contro-il-sistema”
Michael Moore, in un articolo dello scorso luglio sull’Huffington Post aveva
profetizzato la vittoria di Trump, una vittoria di un “sociopatico”, nata dal
bisogno viscerale degli americani di sfogare la loro rabbia, di sconvolgere “qualcosa”.
Il voto a favore di Trump
nasce da un basso istinto populista che trascende le simpatie politiche e la
condivisione di ideali. E’ un voto di pancia e Trump ha usato il più antico
espediente di marketing: l’identificazione tra venditore e compratore,
io-sono-come-te, io-sono-te: se tu sei arrabbiato, depresso, frustrato, io
condivido e ti appoggio, combattiamo la stessa guerra per quanto folle possa
essere.
Ed ecco il
disoccupato del Michigan, vittima del capitalismo becero, che vota Trump perché
Trump ha detto che vieterà alla Ford di trasferire la fabbrica all’estero,
imponendo dazi e proteggendo la produzione industriale americana contro i malvagi
cinesi ed i messicani violentatori e stupratori e spacciatori di droga.
La pancia,
il basso ventre, l’istinto prevale sulla ragione: la rabbia fa diventare
ciechi. Ed il populismo dilaga, la demagogia umorale fa implacabile le sue
vittime.
Ne sappiamo
qualcosa anche noi in Italia dove alle elezioni è facile che vinca chi
le spara più grosse e chi cavalca la rabbia occulta del malcontento popolare, sollecitando i bassi istinti della gente. Costi quel costi. Eh sì, perché poi a pagare è sempre e comunque il popolo.
Sappiamo
tutti che Trump è un capitalista senza scrupoli che segue la legge del profitto
e non certo un morigerato monaco francescano. E che le sue bugie sono e
rimarranno tali. Ma è questo il paradosso: tra una bella bugia ben detta ed una
verità scomoda a denti stretti, vince la bugia.
La Clinton è
rimasta vittima di se stessa, delle sue cattive ambizioni, dei suoi intrighi e,
perché no, della sua arroganza.
Ed anche,
aggiungiamo noi, senza mezzi termini, della sua strategia occulta pro-Trump durante le primarie repubblicane.
Strategia che l’ha cannibalizzata.
Perché, come
diceva il mitico Giulio Andreotti, a pensar male si fa peccato, ma molto spesso si indovina.
By Michele Barbera
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