Trasferisco da alcune mail che ho
piacevolmente scambiato con amici ed amiche alcune interessanti considerazioni
sul lirismo contemporaneo.
La poesia in sé, spesso non è
figlia del suo tempo, ma Madre, nel senso che i poeti sono la parte più
sensibile della Società, il punto nevralgico, in grado di anticipare tendenze e
contraddizioni. I poeti sono sempre un passo avanti gli altri. Ecco perché
leggere la poesia contemporanea spesso mette a disagio: i buoni poeti
contemporanei sono quelli che oltre ad emozionare, “scompongono” la visuale
della realtà sino a farla diventare fluida, una sorta di creta ancestrale da
modellare secondo la propria sensibilità estetica e concettuale.
La poesia, nel corso dei secoli,
ci ha abituati ad una mole impressionante di “canoni”, adottati di volta in
volta per assecondare il “gusto” di un particolare momento storico o culturale.
Un canone fondamentale è la rima, cioè la corrispondenza di
suoni-sillabe alla fine del verso, a partire dall'ultimo accento. La varietà di
rima (baciata, alternata, a terzina incatenata, etc...) rimanda a strutture
poetiche a schema fisso (come il sonetto, il madrigale,) o a strofe variabili, secondo l'estro o la sensibilità dell'autore. L'assonanza finale
dei versi crea, grazie alla cadenza fonica, una corrispondenza suggestiva,
quasi irrazionale. La rima facilita la memoria e la recitazione ed unisce
universalmente tutti i generi: dalla filastrocca popolare alla terzina
dantesca.
Altro canone fondamentale è l'accento,
cioè la cadenza, quella sorta di metronomo interno che scandisce il ritmo dei
versi. L'accento è correlato alla sillabazione metrica che assume vesti
differenti: dai senari, agli endecasillabi, ai novenari, sino ai dodecasillabi (o
doppi senari, come qualcuno dice) di Manzoni: “dagli àtrii muscòsi, dai fòri
cadènti / dai bòschi, dall'àrse fucìne stridènti...”. L'accento, che può
essere fisso o mobile, diventa in qualche modo padrone del verso e, come la
rima, rischia di annullare i contenuti della poesia privilegiando la forma in
sé.
In buona sostanza, il poeta, che
deve destreggiarsi tra accenti e rime, spesso deve “imprigionare” la propria
ispirazione in forme lessicali tronche, o volte mutilate o forzate, arcaiche,
dall'aria variamente aulica o recuperare termini vetusti o desueti per centrare
l'obiettivo formale.
Da qui l'esigenza, avvertita sin
dall'Ottocento, di “liberare” il verso da queste costrizioni per dare senso
pieno alla ispirazione poetica viva.
Ed eccoci al verso libero,
tanto vituperato ed osannato. Frutto di improvvisazione o, come diceva il poeta
T.S. Eliot, di abilità che nasce da “una tecnica così perfetta che la forma
diventa istinto e può adattarsi a ogni fine particolare”.
Attenzione: è sbagliato
privilegiare in sé la poesia metrica rispetto a quella a “verso libero” o
viceversa. Non c'è e non ci deve essere un preconcetto di fondo, o, peggio,
un pregiudizio ingiustificato. Il lettore deve essere in grado di apprezzare
liberamente l'una o l'altra forma, gustare un novenario in rima alternata,
piuttosto che un verso libero a sintassi mista (dove per “sintassi mista” si
intende un'alternanza di “microunità sintattiche” a versi metrici regolari).
Nella forma, quello che dovrebbe
guidare la poesia è l'estro dell'autore: non ci si mette l'abito da sera per
andare a giocare a tennis.
Così, ad esempio, parlare di
metrica nell'haiku non ha senso. L'haiku è fotografare “l'irripetibile
istante”, due o tre versi liberi che descrivono in modo concettuale quel che
accade attorno: «Oh,
guarda!»/ e null'altro da proferire/dinanzi ai ciliegi in fiore/ del monte
Yoshino (Y.
Teishitsu).
La poesia moderna esalta ed esaspera i contenuti-sentimenti,
sino a capovolgere e stravolgere l'uomo in sé ed il suo interiore, proiettando
la sua sofferenza verso un ambiente esterno indifferente, se non ostile. Un male
di vivere che aspira a valore universale. Dice Baudelaire a proposito dei
suoi “Fiori del male”: “in questo libro atroce ho messo tutto il mio
cuore, tutta la mia tenerezza, tutta la mia religione (travestita), tutto il
mio odio”. Questa espressione è diventata una sorta di manifesto per la
poesia moderna che pure ha trovato forme espressive diseguali: dall'ermetismo
di Ungaretti (M’illumino/d’immenso) al
futurismo di Marinetti, sino ad arrivare alle “parole-verso” che
esprimono profondità di sentimento, al di là di ogni fonosimbolismo. Viene
concettualizzato un afflato estremo tra il poeta e la realtà, che spesso
smarrisce il lettore nei labirinti lessicali in cui lo abbandona l'estremismo
fonetico. Tale è per esempio la poesia onomatopeica,
in cui il “rumore” diventa “suono” e
si sostituisce alla parola.
La metrica aulica, strutturata nelle forme regolari
più o meno conosciute, dagli esametri alle elegie, agli epigrammi, costretta in
accenti e rime, viene spezzata e destrutturata in versi distrofici in cui il
lirismo si rivela solo in una cadenza/alternanza di pause e fonemi, a volte
ripetitivi, che accentuano o diminuiscono – di volta in volta – l'intensità
della lirica.
La parola in sé diventa un epicentro delicato e
“pericoloso”, da variare secondo registri e temi personali, in grado di
racchiudere forme espressive inusuali, a volte al limite del puro
sperimentalismo letterario e fonemico (poesie-protesta, poesia-cronachistica,
poesia-sinonimica, acrostica, etc...). In buona sostanza, nei medesimi versi,
il poeta può far fiorire un ossimoro filosofico, piuttosto che giocare con
assonanze senza-senso, pregare, piuttosto che inneggiare alla squadra di
calcio. Il tutto con la massima libertà espressiva e letterale, senza più
piegarsi a canoni formali.
Questa destrutturazione, spinta all'eccesso, può
paradossalmente sfociare in una “incomunicabilità” tra poeta e lettore, in cui
non viene rispettata neanche la semiologia lessicale: il codice linguistico del
poeta è frutto di una sua personale elaborazione. In questo caso il lettore, a
meno di repentini abbandoni, deve “sforzarsi” di recuperare le “chiavi”
interpretative del poeta e condividere con lui quel patrimonio concettuale
trasfuso nella poesia.
Per carità, vale il detto de gustibus... , ma non
sempre è facile distinguere e misurare il contenuto artistico di una poesia
“moderna”. Né possiamo accettare tutto ciò che viene presentato in versi (più o
meno apparenti) come poesia. La poesia è musica, emozione, ritmo, espressione,
sentimento, passione, intensità.
Altrimenti, si rischia, come dicono Brugnolo e Mozzi, di
definire la poesia semplicemente come “un testo che va a capo prima che sia
finita la riga”.
Alla prossima, Michele Barbera