mercoledì 11 febbraio 2015

IL PIACERE DI LEGGERE: L’ULTIMO GIORNO DI UN CONDANNATO A MORTE DI V. HUGO


Quando Victor Hugo scrisse quest’opera proteiforme si era all’indomani della Rivoluzione francese ma la ghigliottina continuava cinicamente a fare il suo dovere di “assassina dolce”, tranne in quei (non rari) casi in cui la morte del condannato non avveniva immediatamente ed allora si ricorreva a mezzi più o meno rozzi (un coltello di macellaio per troncare i nervi del collo, ma Hugo narra di gente che tirava il condannato dai piedi per staccargli quanto era rimasto della testa attaccato al busto) per finire l’esecuzione.
In questo, che è un manifesto contro la barbarie della pena di morte, Hugo aveva evitato nelle prime edizioni di apporre il suo nome come autore, temendo ritorsioni. Solo nella edizione del 15 marzo 1832 egli scrive la Prefazione, un bellissimo saggio sulla inutilità della pena di morte che fa riflettere il lettore. Da segnare un cammeo, dove Hugo riflette sul fatto che la società non può “punire per vendicarsi”, ma “correggere per migliorare” e “niente boia, dove basta il carceriere”. Ritengo che chiunque voglia approfondire il tema della pena di morte, debba leggersi quanto scritto da Hugo in questa prefazione-saggio, dove stempera la sua esperienza personale (terribile) con insegnamenti filosofici altissimi.
La seconda parte del manoscritto è “Una commedia a proposito di una tragedia” un breve e quasi scanzonato dialogo tra vari personaggi sulla pena di morte e sulla sua utilità. Significativo un passo:
“IL SIGNORE GRASSO: (…) Ogni tanto in Francia si tagliava qua e là una testa, al massimo un paio alla settimana. E tutto senza clamore, senza scandalo. Non dicevano nulla. Nessuno ci pensava. Nient’affatto, ecco un libro…un libro che fa venire un orribile mal di testa.
IL SIGNORE MAGRO: Come potrà più condannare un giurato, dopo averlo letto?
ERGASTE: Così si turbano le coscienze.(…)
IL POETA: Quel che è certo è che i libri sono assai spesso un veleno sovversivo dell’ordine sociale.”
Da ultimo, si apre il romanzo vero e proprio, sotto forma di diario, o, forse, è meglio dire di frammenti dove fatti, sentimenti, riflessioni si intrecciano per delineare il quadro terribile dell’angoscia che attanaglia quest’uomo, il condannato. Dice bene lo strillo di quarta dell’edizione che ho letto: nella sua mente incredula ed atterrita si consuma lenta e inesorabile l’attesa, scandita dal ritmo ossessivo, martellante degli ultimi pensieri. L’angoscia cresce, di minuto in minuto, e la coscienza della colpa si infrange di fronte all’oscenità abominevole della folla che pretende, urlante, il suo spettacolo capitale”.
E’ un libro perfomante, con tre modi affrontare lo stesso problema, tre scritture che si intrecciano e si implementano, arricchendosi. Un’opera che induce a intime riflessioni sui grandi temi della vita, sui valori universali. Impeccabile la forma ed accattivante il plot che fa presagire un finale diverso da quello che poi effettivamente adotta l’autore.


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