Quando Victor Hugo scrisse quest’opera proteiforme si era all’indomani
della Rivoluzione francese ma la ghigliottina continuava cinicamente a fare il
suo dovere di “assassina dolce”, tranne in quei (non rari) casi in cui la morte
del condannato non avveniva immediatamente ed allora si ricorreva a mezzi più o
meno rozzi (un coltello di macellaio per troncare i nervi del collo, ma Hugo
narra di gente che tirava il condannato dai piedi per staccargli quanto era
rimasto della testa attaccato al busto) per finire l’esecuzione.
In questo, che è un manifesto contro la barbarie della pena di morte,
Hugo aveva evitato nelle prime edizioni di apporre il suo nome come autore,
temendo ritorsioni. Solo nella edizione del 15 marzo 1832 egli scrive la Prefazione, un bellissimo saggio sulla
inutilità della pena di morte che fa riflettere il lettore. Da segnare un
cammeo, dove Hugo riflette sul fatto che la società non può “punire per
vendicarsi”, ma “correggere per migliorare” e “niente boia, dove basta il carceriere”.
Ritengo che chiunque voglia approfondire il tema della pena di morte, debba
leggersi quanto scritto da Hugo in questa prefazione-saggio, dove stempera la
sua esperienza personale (terribile) con insegnamenti filosofici altissimi.
La seconda parte del manoscritto è “Una commedia a proposito di una tragedia” un breve e quasi
scanzonato dialogo tra vari personaggi sulla pena di morte e sulla sua utilità.
Significativo un passo:
“IL SIGNORE GRASSO: (…) Ogni
tanto in Francia si tagliava qua e là una testa, al massimo un paio alla
settimana. E tutto senza clamore, senza scandalo. Non dicevano nulla. Nessuno
ci pensava. Nient’affatto, ecco un libro…un libro che fa venire un orribile mal
di testa.
IL SIGNORE MAGRO: Come potrà più
condannare un giurato, dopo averlo letto?
ERGASTE: Così si turbano le
coscienze.(…)
IL POETA: Quel che è certo è che
i libri sono assai spesso un veleno sovversivo dell’ordine sociale.”
Da ultimo, si apre il romanzo
vero e proprio, sotto forma di diario, o, forse, è meglio dire di frammenti
dove fatti, sentimenti, riflessioni si intrecciano per delineare il quadro
terribile dell’angoscia che attanaglia quest’uomo, il condannato. Dice bene lo
strillo di quarta dell’edizione che ho letto: nella sua mente incredula ed atterrita si consuma lenta e inesorabile
l’attesa, scandita dal ritmo ossessivo, martellante degli ultimi pensieri.
L’angoscia cresce, di minuto in minuto, e la coscienza della colpa si infrange
di fronte all’oscenità abominevole della folla che pretende, urlante, il suo
spettacolo capitale”.
E’ un libro perfomante, con tre modi affrontare lo stesso problema,
tre scritture che si intrecciano e si implementano, arricchendosi. Un’opera che
induce a intime riflessioni sui grandi temi della vita, sui valori universali.
Impeccabile la forma ed accattivante il plot che fa presagire un finale diverso
da quello che poi effettivamente adotta l’autore.
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