Una Comunità che guarda al futuro
deve avere memoria per il passato.
Rocco Riportella, con il suo gradevole
saggio (ristampa aggiornata e rielaborata di un’opera edita sedici anni
orsono), ripercorre con uno stile raffinato le “fondamenta” della città di
Menfi. Guardo sempre con interesse a questo tipo di saggistica, che spesso non
viene valorizzata nel modo che merita, ma che custodisce in modo mirabile, accorto
e accurato le memorie locali e
l’intrecciarsi della vita quotidiana di una piccola comunità con il tessuto
macro-storico, dei grandi eventi.
Il libro, corredato di preziosi
reperti fotografici, tocca in particolare la memoria di Menfi nella tragica
storia del suo Ospedale, nato per opera ed impegno di illustri mecenati,
arricchito con le donazioni di generosi cittadini menfitani e poi finito stritolato nelle avide pastoie
burocratiche che hanno privato la nostra comunità di un prezioso riferimento
sanitario e del suo patrimonio.
Basti pensare che l’Azienda
Sanitaria Provinciale di Agrigento, a tutt’oggi, con vorace rapacità, promuove
da tempo azioni per entrare in possesso dell’inestimabile patrimonio dell’
Ex-Ospedale Giambalvo per liquidarlo “al miglior offerente”, nel silenzio complice
delle istituzioni e con buona pace dei benefattori dell’Ospedale.
Rocco Riportella, che ha dedicato
a Menfi ben cinque saggi pubblicati tra il 1996 ed il 2012, è uno dei grandi
menfitani, a cominciare dal dottor Santi Bivona, filantropo e uomo di eccezionale
virtù e carisma, assieme a tanti altri (Francesco Bilello, il Maestro Piazza, Gioacchino
Mistretta, Nino Bondì, Enzo Lotà, Angela Balistreri, Antonino Ardizzone, Gregorio
Viviani, Rosario Loria) che, ognuno con le sue capacità, il suo linguaggio e la
sua arte, nel corso degli anni hanno profuso le loro energie per studiare
Menfi, la sue vicende storiche, il suo territorio, la sua popolazione,
raccogliendo preziose testimonianze e consegnandole alla memoria della
collettività.
Meritano tutto il nostro rispetto
e la nostra ammirazione per la loro alta azione di storiografia antropologica e
di custodi delle nostre memorie.
Quel che fa male e ci rende
tristi è che quest’opera, così come tante altre simili, dovrebbe ricevere un
posto d’onore nella letteratura locale, essere promossa dalle istituzioni
culturali e non, che pure vi sono nella città di Menfi, ma che paiono obliarsi in un
ingiustificabile sonno delle menti e delle braccia.
Diceva un incomparabile filosofo
ottocentesco dal nome quasi impronunciabile che “chi non è memore del suo
passato, non è degno del suo futuro”.
Concordo in pieno.
Ed allora, che ne dite, per
esempio, amici dell’Istituzione Culturale Federico II^ di svegliarvi e di…
svegliarci?
Non abbiamo solo bisogno di
festeggiare il vino di Menfi (con una mega festa-fiera che pare sia costata
centomila euro al giorno) ma anche e soprattutto la nostra città ed i menfitani
e con loro il nostro passato, le nostre tradizioni, la nostra civiltà,
duramente colpita da eventi naturali e storico-politici che ne hanno violentato
le radici antropiche e offuscato la memoria collettiva.
Il vino fa sicuramente buon
sangue, ma ubriaca i sensi ed intorpidisce la mente.
Ed oggi, più che mai, abbiamo
bisogno di rimanere svegli.
By M.
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