La domanda me l’ha posta con la consueta e garbata
perspicacia via e-mail Francesca, una studentessa di economia: perché con
Berlusconi la gente non si lamentava della crisi?
Risposta facile, ma di una enorme complessità interna: la
politica economica di Berlusconi teneva alta la domanda ed incentivava i
consumi. In una parola, l’economica tirava, ma i numeri positivi erano solo quelli dei consumi
interni, drogati dalla euforia consumistica.
Non c’erano nuove industrie o nuovi posti di lavoro. Il
mercato occupazionale offriva sbocchi solo nel “terziario avventizio”: posti di
lavoro precari legati allo sviluppo consumistico.
La spesa pubblica immetteva nel circuito macroeconomico
stipendi, pensioni e contributi che a loro volta facevano crescere il
fabbisogno pubblico, rimpinguato indirettamente dalle imposte sui consumi e più
generosamente dal debito pubblico.
Quando i conti pubblici sballavano un po’ troppo ecco lo “scudo”
fiscale o il “condono” di turno a immettere denaro fresco nelle dissanguate
finanze statali.
Insomma, l’economia era drogata da un surplus di consumi non
supportato da una politica economica “reale”, cioè da una crescita vera.
Per il berlusconismo imperante la parola “crisi” era tabù e
chi la pronunciava era tacciato di disfattismo (un po’ come nel Ventennio, ai
tempi di “lui”…)
Questo ovviamente non risolveva la crisi, ma la mascherava bene,
probabilmente perché si credeva che a lungo andare la crescita della domanda
potesse innescare il meccanismo virtuoso dello “sviluppo reale”.
Così non è stato. Amen.
Poi è venuto Monti.
Con Monti l’asse della politica economica si è spostato al
monetarismo puro: il punto opposto!
Con il governo Monti la priorità è stata quella di
rinsaldare le casse statali a qualsiasi costo. Monti è partito da due evidenti
obiettivi principali: rastrellare moneta fiscale aumentando l’imposizione e
vuotando le sacche della elusione e della evasione fiscale e dall’altro
rafforzare l’immagine finanziaria dell’Italia per evitare che l’eccesso di
consumi e di spesa degradasse il Paese ad una seconda Grecia dell’area euro.
La drastica cura di Monti se ha stabilizzato i conti
governativi ha avuto effetti collaterali devastanti: il Paese (gli italiani)
hanno avvertito di botto il peso di una crisi economica in tutta la sua
negatività.
Risultato: la pressione fiscale portata all’esasperazione ha
mandato in tilt i circuiti microeconomici: quelli cioè legati all’attività di
ogni singola impresa o famiglia. Di colpo gli italiani si sono ritrovati più
poveri e costretti a fare fronte con una ipertensione fiscale implacabile.
Le imprese, alle prese con costi fiscali improvvisi, hanno
dovuto chiudere i battenti. I lavoratori precari sono stati licenziati. C’è
stata una contrazione dei consumi a due cifre nel giro di qualche mese. Con il
crollo dei consumi si è innescato il meccanismo della stagflazione: produrre
costa di più, i beni finali costano di più, ma paradossalmente l’economia non
tira ed anzi i posti di lavoro diminuiscono e la povertà guadagna terreno.
Più crisi di così.
Però in compenso i conti dell’Italia vanno bene. Almeno per
il momento.
Infatti, a lungo andare il gettito fiscale che proviene dai
redditi avrà una notevolissima riduzione perché i redditi totali diminuiranno.
Ma il governo Monti ha pensato anche a questo.
Con l’IMU.
Si tassano gli immobili, cioè il patrimonio inamovibile perché
le tasse del reddito sono insufficienti.
Risultato: la crisi si aggraverà ancora di più e da
economica diventerà prima politica e poi sociale.
Rimedi?
Ci sono. E Monti li conosce bene. La vera ripresa economica è legata ad un allentamento della morsa
fiscale, all’agevolazione fiscale delle nuove iniziative, alla ripresa dei consumi
con politiche incentivanti.
Se la domanda cresce, cresce la produzione di beni e servizi
collegati alla domanda stessa. E cresce pure la voglia di fare e di produrre. Crescono
i redditi e si ritorna ad investire.
In medio stat virtus: tra l’allegria consumistica e il
rigorismo monetaristico sta il circuito virtuoso dell’operosità economica in
cui la produzione sopporta un adeguato carico fiscale ed è incentivata a
crescere dalla ripresa della domanda. Questa è l’unica ricetta per uscire dalla
crisi.
Ecco perché Draghi diversi guru dell’economia stanno facendo
pressione su Monti perché allenti la morsa e consenta la riattivazione dei
microcircuiti economici.
Secondo alcuni studi, siamo già al punto di non ritorno.
L’IMU potrebbe essere il colpo di grazia.
E non basta una manciata di punti di spread a farci sperare
per il futuro.
Se Monti non vuole cambiare politica, allora è meglio che la
politica cambi Monti.
Altrimenti lo faranno gli Italiani.
By M.