Sempre le solite polemiche. In Italia gli scrittori sono in troppi, si scrive male, si legge poco, l'editoria a pagamento distrugge la "vera" letteratura...
Ogni volta che incontro lettori delle mie modestissime opere o, ancor peggio, critici o asseriti tali, come in una sorta di labirinto a senso unico del chiacchiericcio e della retorica, si finisce per parlare ( e sparlare) di quelli che io chiamo i "proletari" della penna, gente che in un modo o nell'altro decide di mettere su "qualcosa" e pubblicarlo.
Da lì il discorso si complica sino a quasi far nascere un senso di colpa al "piccolo" autore, reo di aver dato alle stampe il frutto delle proprie fatiche...
Si colpevolizza, si stigmatizza, si incriminano gli editori che pur di ramazzare qualcosa danno alle stampe opere che si dovrebbero dare... alle fiamme ( o ancor peggio agli inceneritori).
Salvo poi che questi criticoni delle abitudini nazional-popolari di noi italiani si danno da fare per aiutare i poveri malcapitati "scrittori" con corsi di scrittura creativa, agenzie o pseudo tali di natura letteraria e commerciale, manuali di scrittura creativa, etc...etc... il tutto ovviamente a pagamento.
Non sono d'accordo.
Penso che la scrittura, come la pittura, la poesia ed ogni altra libera forma di espressione del pensiero, proprio in quanto libera, deve avere il diritto e la possibilità di esprimersi, secondo le capacità ed i doni di ognuno.
Non condivido, semmai, coloro i quali scrivono con l'intento di creare un prodotto commerciale, alla mera ricerca della chimera del successo editoriale.
Ma chi scrive onestamente e in sincera genuinità, deve potere essere libero di farlo. In qualsiasi modo e con qualsiasi risultato.Anche modesto.
E' ovvio, come disse un saggio, che il diritto di parlare non include il dovere degli altri di darti ascolto.
Così come il diritto di scrivere, non include - mutatis mutandis - il dovere degli altri di leggere quel che si scrive o di acquistare il libro.
Quindi, ritengo che siamo tutti liberi di scrivere e siamo tutti liberi di leggere quel che ci pare.
E questo anche nella nostra Italietta, dove la cultura "nazional-popolare" è vista con il muso storto dai professionisti dell'editoria che cestinano senza riserve (e senza neanche guardarli) manoscritti di autori che meriterebbero di essere letti e danno spazio al profitto commerciale, preferendo pubblicare piuttosto che valenti sconosciuti, i manuali della nonna purché siano a firma di un volto televisivo o della velina-valletta di turno.
Quindi, non scandalizziamoci e guardiamo con simpatia alle "Fiere del libro di Vattelapesca" o al "Duemillesimo premio letterario della Provincia di Prampinopoli". Chi vuole frequentare il corso di scrittura creativa dell'Accademia della Pastasciutta, lo faccia liberamente.
Prendiamoli per quello che sono: occasioni di incontro, di scambio, di conoscere e farsi conoscere, senza troppe illusioni.
E, sopratutto, teniamo a freno la nostra innata capacità di critica su quello che scrivono gli altri, a proposito ed a sproposito e ricordiamoci dell'unica, grande vera regola della letteratura:
Chi vuole scrivere lo faccia per passione, senza imposizioni e senza intento, lo faccia perché sente di esprimere qualcosa dal di dentro. Con umiltà e sentimento, lavorando alla propria scrittura, accettando le correzioni e sopportando i giudizi degli altri, sforzandosi solo e semplicemente di migliorare se stessi, senza superbia e senza sentirsi migliori o superiori. Anche sbagliando. Parafrasando Socrate: chi corregge gli errori degli altri migliora gli altri, chi è capace di correggere i propri sbagli migliora se stesso.
E i lettori?
Beh, se Manzoni il santo protettore della lingua italiana se ne accontentava di ventiquattro...
Ciao, M.