Se qualcuno avesse voluto una prova (l’ennesima) del più bieco e
becero opportunismo dei politici di questa Italietta, lo invito a scorrere le
liste dei candidati al maggioritario ed al proporzionale.
Vince ovunque la ricerca del posto sicuro, del collegio blindato.
Una volta si diceva che il deputato doveva essere espressione del
territorio. Oggi è l’esatto contrario: il candidato paracadutato potrà – al più
– essere fedele e riconoscente al partito ( o movimento che dir si voglia) che
lo ha piazzato, ma che interesse potrà avere per un territorio in cui forse sarà
andato a fare una o due serate preelettorali?
In Sicilia non è andata meglio che in altre zone d’Italia. Oggi,
anziché il granaio d’Italia, è vista come un feudo elettorale, un bottino da
depredare, dove i risultati si danno per scontati. Così, qualche big di partito
ha piazzato il suo sedere o quello dell’amico, o della sua fidanzata o compagna
in collegi definiti “blindati”, un insulto all’elettorato, od anche in uno o
più listini regionali legati all’aritmetica astratta o al gioco dei dadi dei
consensi.
Il territorio è scomparso, la partitocrazia scellerata si è spartita l’Italia
con una emigrazione incrociata di cavalier serventi e di ventura, in tremante
attesa che i voti confermino la profezia delle statistiche, salvo – poi – una
volta a Roma, voltar gabbana e spalle alla prima occasione di una poltrona o di
un gratificante appannaggio. Ci sono politici che - con disinvoltura e faccia
tosta - hanno cambiato idea, casacca e opinioni al primo spirar del vento, e
che ancora oggi trovano incredibilmente posto in prima linea per il parlamento.
È il mostro che divora se stesso: cosa si possono aspettare i partiti
che hanno asservito il popolo ad una classe politica mercenaria, che punta allo
scranno di onorevole come un disoccupato all’agognato posto fisso?
A farne spese sono le regioni che, paradossalmente, avrebbero più
bisogno di una classe politica attenta ed attiva ai loro bisogni, come la
Sicilia.
Non è vero è che in Sicilia vi sono solo “pecoroni”.
La Sicilia da tempo aspira al cambiamento, è disponibile a giocarsi ogni
volta il tutto per tutto pur di cambiare. Negli anni passati si sono visti
capovolgimenti di fronte, i grillini che gridavano al “cappotto”, come avevano
fatto prima i berlusconini.
Ma, a valutare i fatti, si vede come, ogni volta, se i suonatori sono
cambiati, la musica è rimasta sempre la stessa. E la Sicilia sprofonda, sempre
più arrabbiata, sempre più disillusa.
Ancora oggi, in questi primi scorci di campagna elettorale, tutti ad
esortare che “la Sicilia deve cambiare” che i “siciliani devono avere uno
scatto di orgoglio”, “prima la Sicilia” e così via...
Siamo sicuri che i siciliani
devono cambiare oppure è la classe politica barbina e farlocca che deve fare un
serio esame di coscienza?
Ed i politici siciliani? Sono scomparsi? No, semmai, i più scaltri hanno
utilizzato pure loro le alchimie della statistica per farsi paracadutare in
collegi o listini apparentemente sicuri.
Non pigliamoci in giro. Per favore. Votare un ”candidato forestiero”, un soldato di ventura, uno (o una) che all’indomani
delle elezioni e dei ringraziamenti di rito non riserverà un rigo delle sua
agenda a quel territorio, che volete che utilità abbia?
La verità è che il paracadutismo serve proprio a cancellare le tracce
di questo rapporto con il territorio: se il politico eletto fa male, lo si va a
paracadutare da un’altra parte.
È una sorta di gioco delle tre carte, il supremo inganno, in cui a
vincere sono sempre e solo i partiti. Ed a perdere, purtroppo, è il popolo.
By Michele
Barbera