La preziosa opera di ricerca storica di don Luciano Rotolo, confluita
in quest’opera ha come significativo sottotitolo “Un Vescovo e un patriota nella bufera dell’invasione
piemontese”.
La storia la scrivono i vincitori, si sa, e non è dato conoscere un’eccezione
a questa regola. Già l’Antica Roma aveva istituzionalizzato la damnatio memoriae, come pena riservata
al traditore – vero o presunto – le cui gesta o la cui persona non meritasse neppure
il ricordo, una condanna all’oblio che si traduceva nella distruzione fisica di
tutto ciò che ricordasse o potesse costituire memoria del condannato.
Giandomenico Falconi divenne vescovo di Acquaviva e Altamura a furor
di popolo nel 1848 e la sua nomina fu confermata prima dal Pontefice Pio IX e
poi dallo stesso Re Ferdinando II. Il legame con il Pontefice e con il Sovrano
di Casa Borbonica costituirono un saldo punto di riferimento per Falconi che si
prodigò in modo eccezionale verso il popolo che lo aveva acclamato propria
Guida spirituale. Ma non bastarono le opere di filantropia, una fervida
attenzione per le esigenze del popolo, l’ortodossia spirituale e l’attaccamento
al Pontefice ed un vivido spirito di
Patria, a salvarlo dalla epurazione che la conquista piemontese operò nei
territori del Regno delle Sue Sicilie.
E non fu azione solitaria dell’ormai riconosciuta azione anticlericale
del solito Garibaldi, strumento acconcio nelle mani di fini strateghi, quanto
piuttosto una sistematica politica di destituzione e di delegittimazione delle
gerarchie ecclesiastiche che potevano in qualche modo essere fedeli o al Re
Ferdinando II o al Papa Pio IX, entrambi obiettivi della politica
espansionistica che condusse alla invasione cruenta del Regno delle Due Sicilie e dello
Stato Pontificio.
Come tanti altri Vescovi, Mons. Falconi fu costretto all’esilio coatto,
ad abbandonare la Diocesi per cui poteva essere, e lo era, un punto di
riferimento imprescindibile.
Nel volume di Luciano Rotolo una parte centrale ed originale riveste
il testo della Lettera Pastorale, redatta da Mons. Falconi il Venerdì Santo del
1861, dalla sede dell’esilio e pubblicata dal periodico “L’Unità Cattolica”
nello stesso anno in un supplemento al n.22. In questo documento storico
eccezionale, recuperato di recente grazie alla ricerca di don Luciano Rotolo, il presule non esita a denunciare la
minoranza facinorosa che lo ha perseguitato, volendo colpire in lui la sua
azione pastorale, ma –altresì – sullo sfondo del complesso scenario storico, manifesta la sua aspirazione ad una profonda opera di pacificazione sociale, improntata alla vera
libertà: “…non è libertà quella che mena
a sfogare gli odi, le vendette ed i rancori. …”, la vera libertà sta “…nel far trionfare la ragione, il diritto,
la giustizia…”, concludendo in un afflato mistico che “Ubi Spiritus Domini, ibi libertas”.
Luciano Rotolo riporta l’interrogativo di Nunzio Mastrorocco, storico
pugliese, il quale chiede in una sua ricerca, ancora influenzata dai
pregiudizi ufficiali, se “potrebbe essere
stato il Falconi un grande Prelato, malgrado tutto quello che si è scritto di
lui in funzione di un eccessivo liberismo e cieco anticlericalismo che
caratterizzava quel momento storico?»
A questa domanda l’opera del sacerdote Luciano Rotolo risponde senza sì e senza
ma, con dovizia di argomentazioni storiche e di reperti inconfutabili: Mons.
Falconi, ed assieme a lui, tanti altri, fu “vittima simbolica”, colpito nella
sua innocenza solo per essere stato fedele al suo popolo, al suo Re e, soprattutto,
al suo Papa, travolto dalla “bufera” dell’invasione piemontese.
By Michele Barbera
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