Ne potremmo citare a decine. Italiani vittime di sistemi giudiziari
esteri, di polizie degne dei lager nazisti o di certi film dell’orrore. Eppure
è tutto vero, tremendamente vero. Basta un sospetto, una chiacchiera o, forse,
un pregiudizio. E l’italiano diventa quello da colpire. Sequestri, scomparsi,
omicidi. Ed ogni volta ci troviamo impreparati, incapaci di reagire in modo
adeguato. Alla meglio, quando ci sono di mezzo rapimenti, paghiamo riscatti
milionari, vergognandoci poi di ammetterlo.
Nel caso di Giulio Regeni brucia ancora di più.
Giulio era uno studioso, un giovane che si era costruito, come si
dice, sul campo. Aveva una sua reputazione accademica, stava conducendo una
propria inchiesta dall’interno delle pieghe di una società soffocata da un
regime liberticida e fragile. Che perciò ha paura di chi vuole capire,
riflettere e, possibilmente, denunciare le storture di un sistema sbagliato.
E la polizia del generale Khaled Shalabi, o i servizi segreti militari
su diktat del Ministro dell'Interno Magdy Abdel Ghaffar, o i servizi militari, hanno
sempre e comunque sbagliato. In modo tremendo, irreversibile. Sia che abbiano
effettivamente sbagliato uomo, sia che l’azione repressiva sia stata
maldestramente diretta contro di lui. Non ci sono scusanti, né giustificazioni.
Eppure l’Egitto nega. Per coprire qualche lurido funzionario-burocrate fanno il
teatrino, inventano versioni al limite dell’insulto, calunniano la memoria di
Giulio Regeni, fanno gli gnorri, arrivano a costruire capri espiatori di
flebile consistenza.
Per chi ha un minimo di esperienza, questi depistaggi hanno soprattutto
due cause e finalità: o debbono coprire responsabilità molto gravi di
funzionari di vertice e di apparati occulti, oppure fanno parte di una strategia del terrore per
dare un “avviso” concreto a chi, giornalista, studioso, straniero vuole “impicciarsi”
in affari che non lo riguardano.
Giulio Regeni cosa aveva scoperto? Con chi era entrato in contatto?
Qual era il materiale dei suoi studi?
A torto o ragione, sta tutto lì, in un’ambigua “ragione di stato” che
arriva a coprirsi terribilmente di ridicolo.
Sono in molti a chiedersi cosa sarebbe successo se al posto di Giulio
Regeni, un italiano, vi fosse stato un americano, un inglese, un tedesco, un
russo. E se a quel punto, l’Egitto avrebbe avuto la voglia di mettere su la
pantomima. O si sarebbe schermito dietro ragioni di alta politica o di rivendicazione
storica.
L’Italietta nostra, almeno quella ufficiale, si agita, scalpita,
protesta, ma solo finché ci sarà uno scalpore mediatico, solo finché la
coscienza pubblica non sarà assopita ed assorbita da altri scandali. E poi? Si
spegnerà il lumicino sulla vicenda di Giulio? Finirà tutto nell’oblio del tempo
che passa?
Questo governo da Mr. Bean, che sembra un piscina-party di figli di
papà viziati ed arroganti occupati ad arraffarsi l’ultima tartina con i
genitori indulgenti che li guardano dal balcone, dovrebbe riflettere che in
gioco c’è la sovranità dell’Italia, il rispetto dei nostri principi
democratici, delle nostre garanzie. Che non possono valere solo quando gli
stranieri sono in Italia, ma anche e soprattutto quando gli italiani sono all’estero.
By Michele Barbera
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