martedì 26 aprile 2016

CERNOBYL, UNA CATASTROFE FRUTTO DI STUPIDITA’ UMANA


Černobyl, piccola città ucraina, conquistò un’improvvisa notorietà dopo l’incidente avvenuto nella centrale nucleare situata a pochi chilometri di distanza, avvenuto il 26 aprile del 1986. Le radiazioni emesse al momento del disastro, secondo la stima dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA), furono pari a 400 volte quelle liberate dalla bomba di Hiroshima. Il disastro di Černobyl è considerato il più grave incidente legato al nucleare per scopi civili; eppure, ancora oggi non vi sono opinioni concordi in merito alle responsabilità dell’incidente, al numero complessivo delle vittime e agli effetti a lungo termine sull’ambiente e sulla popolazione.
Chissà quanti come me ricordano l’effetto che fece la famosa “nube radioattiva” una sorta di mostro che vagava per i cieli europei. Le indicazioni di non mangiare frutta fresca o verdura che poteva essere stata esposta alla “nube”, i divieti di uscire di casa. Eppure sembrava una cosa così lontana, quasi fantasiosa che molti la presero per gioco.
Il regime sovietico nascose in modo vigliacco e subdolo per quanto gli fu possibile la tragedia che era successa: l’incidente avvenne nella notte fra il 25 e il 26 aprile 1986 nel reattore 4 durante un esperimento e, dalle ricostruzioni postume, fu probabilmente il tragico risultato di una serie di manovre scorrette, dei difetti di progettazione dell’impianto e della mancata conoscenza di alcune caratteristiche del reattore da parte dei tecnici che, secondo alcune testimonianze, non sarebbero stati adeguatamente istruiti sulle condizioni di pericolosità del sistema.
Il grave e colpevole ritardo con cui fu diramato l’allarme, la scarsa conoscenza da parte dei “liquidatori” (cioè dei tecnici e degli operai che lavorarono sul posto dopo lo scoppio per chiudere il reattore nel “sarcofago”) delle conseguenze della radioattività contribuirono ad aggravare i danni in misura esponenziale per la popolazione.
Quanti morti? Decine di migliaia sia in prossimità dell’incidente, sia a lungo termine. Divieto di abitare nell’area per altri 120 anni.
Eppure pochi sanno che la centrale continuò a funzionare con gli altri reattori, sino a quando nel 2000 l’ultimo fu spento.
Cernobyl è stato frutto di una spaventosa negligenza e di un errore grossolano. Ma di quante Cernobyl avremo bisogno per capire che l’atomo non è una strada sicura per l’energia? O di Fukushima? Negli ultimi cinquant’anni sono stati registrati CENTOTRENTA INCIDENTI NUCLEARI!
Quanti ancora prima che l’uomo si autodistrugga?

By Michele Barbera 

lunedì 18 aprile 2016

SE QUINDICI MILIONI DI ELETTORI VI SEMBRAN POCHI…


Buttiamola in politica. Così si diceva per smontare qualcosa di imbarazzante. Le trivelle, l’ambiente, il mare, la salute, il futuro energetico non contano nulla. Il referendum neanche.
Renzi-Mr. Bean, grandissimo figlio di lobby, si è rifugiato nell’aurea e scontata mediocrità di chi ha invocato (a bassa voce) l’astensionismo, sicuro della scelta vincente. Tanto bastava non far nulla.
E l’Italietta del dolce far niente, del lamento dietro le spalle, del qualunquismo fantozziano che subisce l’infido destino, ha disertato le urne, come un gregge di ovini alla greppia in un’assolata domenica primaverile. E proprio gli astensionisti sono stati quelli che hanno invaso le spiagge pronti a godersi il primo mare e l’aria pulita delle nostre coste. Imbecilli. Il referendum è saltato solo per la loro ignavia.
Renzi, figlio di lobby, ora punterà ad epurare il partito di quei due-tre (o forse più) politici, additati alla gogna espiatoria, che hanno osato “cavalcare il referendum”, rei di volere esprimere la loro opinione in un partito che di democratico non ha più nulla se non il nome, e di dire basta all’inutile martirio del mare per la pericolosa estrazione di una fanghiglia che ricorda lontanamente il petrolio.
Quaranta piattaforme in disuso, scheletri abbandonati in mezzo al mare, aree marine devastate, trivellazioni antieconomiche, la pesca diventata impossibile in aree impossibili da quantificare. Questa è l’Italietta dei figli di lobby, negazionisti mimetizzati nell’astensionismo.
Ma Renzi dovrebbe farsi una domanda: chi siamo questi quindici milioni di poveretti che anziché farsi i fatti loro siamo andati a votare ieri in un fragoroso silenzio delle istituzioni?
Siamo tutti di destra? Siamo tutti anti-PD-Renzi? Siamo grillini? Siamo leghisti? Siamo gente che si è rotta dei figli-di-lobby?
Chieditelo Renzi. Chieditelo. Quindici milioni che - contro ogni previsione - hanno sfidato la comoda indifferenza del poltronismo domenicale ed hanno fatto la loro scelta.
Quindici milioni, Renzi. A cui sarà difficile far digerire la polpetta del “buttiamola in politica”. Quindici milioni, che hanno ancora a cuore l’ambiente in cui viviamo ed in cui dovranno vivere i figli ed i nipoti.
E sono questi quindici milioni su cui potrà puntare l’Italia del futuro. Per salvarla dai figli di lobby.

By Michele Barbera 

venerdì 8 aprile 2016

GIULIO REGENI E LE VERITA’ NASCOSTE


Ne potremmo citare a decine. Italiani vittime di sistemi giudiziari esteri, di polizie degne dei lager nazisti o di certi film dell’orrore. Eppure è tutto vero, tremendamente vero. Basta un sospetto, una chiacchiera o, forse, un pregiudizio. E l’italiano diventa quello da colpire. Sequestri, scomparsi, omicidi. Ed ogni volta ci troviamo impreparati, incapaci di reagire in modo adeguato. Alla meglio, quando ci sono di mezzo rapimenti, paghiamo riscatti milionari, vergognandoci poi di ammetterlo.
Nel caso di Giulio Regeni brucia ancora di più.
Giulio era uno studioso, un giovane che si era costruito, come si dice, sul campo. Aveva una sua reputazione accademica, stava conducendo una propria inchiesta dall’interno delle pieghe di una società soffocata da un regime liberticida e fragile. Che perciò ha paura di chi vuole capire, riflettere e, possibilmente, denunciare le storture di un sistema sbagliato.
E la polizia del generale Khaled Shalabi, o i servizi segreti militari su diktat del Ministro dell'Interno Magdy Abdel Ghaffar, o i servizi militari, hanno sempre e comunque sbagliato. In modo tremendo, irreversibile. Sia che abbiano effettivamente sbagliato uomo, sia che l’azione repressiva sia stata maldestramente diretta contro di lui. Non ci sono scusanti, né giustificazioni. Eppure l’Egitto nega. Per coprire qualche lurido funzionario-burocrate fanno il teatrino, inventano versioni al limite dell’insulto, calunniano la memoria di Giulio Regeni, fanno gli gnorri, arrivano a costruire capri espiatori di flebile consistenza.
Per chi ha un minimo di esperienza, questi depistaggi hanno soprattutto due cause e finalità: o debbono coprire responsabilità molto gravi di funzionari di vertice e di apparati occulti, oppure  fanno parte di una strategia del terrore per dare un “avviso” concreto a chi, giornalista, studioso, straniero vuole “impicciarsi” in affari che non lo riguardano.
Giulio Regeni cosa aveva scoperto? Con chi era entrato in contatto? Qual era il materiale dei suoi studi?
A torto o ragione, sta tutto lì, in un’ambigua “ragione di stato” che arriva a coprirsi terribilmente di ridicolo.
Sono in molti a chiedersi cosa sarebbe successo se al posto di Giulio Regeni, un italiano, vi fosse stato un americano, un inglese, un tedesco, un russo. E se a quel punto, l’Egitto avrebbe avuto la voglia di mettere su la pantomima. O si sarebbe schermito dietro ragioni di alta politica o di rivendicazione storica.
L’Italietta nostra, almeno quella ufficiale, si agita, scalpita, protesta, ma solo finché ci sarà uno scalpore mediatico, solo finché la coscienza pubblica non sarà assopita ed assorbita da altri scandali. E poi? Si spegnerà il lumicino sulla vicenda di Giulio? Finirà tutto nell’oblio del tempo che passa?
Questo governo da Mr. Bean, che sembra un piscina-party di figli di papà viziati ed arroganti occupati ad arraffarsi l’ultima tartina con i genitori indulgenti che li guardano dal balcone, dovrebbe riflettere che in gioco c’è la sovranità dell’Italia, il rispetto dei nostri principi democratici, delle nostre garanzie. Che non possono valere solo quando gli stranieri sono in Italia, ma anche e soprattutto quando gli italiani sono all’estero.

 By Michele Barbera 

sabato 2 aprile 2016

COLPE APPARENTI E... IL DETECTIVE FILOSOFO




Ringrazio la Professoressa Pina D'Alatri per la bella ed attenta recensione su "Colpe Apparenti", pubblicata nella Gazzetta del Sud del 27/03/2016 e sul sito dell'ADSeT, Associazione dei Dirigenti Scolastici e Territorio di Messina.

Un detective filosofo

di Pina D’Alatri

 Il romanzo giallo è una tipologia narrativa  che trova ampio riscontro tra gli scrittori siciliani contemporanei. Il giallo, come genere  commisto, è ricco  di suggestioni letterarie e paraletterarie e in esso si mescolano metafora e allegoria, intrecciandosi in un gioco sottile e complesso. Sofisticheria, ambiguità, paradosso, in un mondo in bilico tra potere statale e illegalità , costituiscono gli ingredienti tipici della produzione noir siciliana. Al gran numero degli scrittori già celebri, può certamente accostarsi Michele Barbera, poliedrico scrittore di Castelvetrano (“Colpe Apparenti” 2015  Sciacca, Aulino Editore) che rivela un quid di originalità, rispetto agli autori suoi conterranei, sia nella modifica del contesto sociologico sia nella figura di un investigatore –filosofo, tuttavia gli elementi tipici del giallo siciliano ci sono tutti. Una serie di delitti inspiegabili si verifica in un tranquillo paese, arroccato alle falde dell’Appennino abruzzese che, seppur evocando luoghi di “siloniana” memoria, non manca di suggerire scorci e immagini dell’entroterra isolano. La stazione dei carabinieri di Roccapiana, piccolo centro montano nei pressi di Perugia, comandata dal maresciallo Massimo Liberti, viene all’improvviso scossa da eventi delittuosi che spezzano la routine costituita da qualche rissa tra ubriachi o da episodi non significativi di spaccio di droga. Un potente riflettore si accende sul paesino e le forze dell’ordine entrano nel mirino dell’opinione pubblica e dei superiori. A cosa serve una laurea in filosofia, oltre ad indagare i tortuosi percorsi della mente e ad approfondire le ragioni dell’essere? Massimo Liberti non lo sa, gli eventi però glielo chiarificheranno. Un giovane con un bagaglio culturale fatto di studi profondi basati sulla ricerca dell’essere e delle sue ragioni in cui la disamina delle forme conduce alla scoperta di complessi nodi esistenziali, difficilmente si colloca nel sistema produttivo della società odierna e per lo più deve cedere al compromesso. Tuttavia ciò che è acquisito resta e diventa strumento d’indagine tra i più raffinati, di ciò si rende conto Liberti quando scopre di avere una marcia in più, nella ricerca della verità, rispetto agli altri investigatori. Abituato a soppesare ogni indizio e a setacciare il reale per cercarne le ragioni nascoste, è convinto che la verità assoluta non esiste ma piuttosto una propaggine nebulosa di ipotesi probabili. Consapevole del fatto che in filosofia il dualismo costituisce un’antinomia strutturale, si rende conto che avere più potenziali colpevoli determina una realtà imperfetta, ambigua e perciò non vera. L’”arte “ maieutica lo conduce pian piano alla soluzione dell’intricata vicenda consentendogli di penetrare nella profondità delle cose, senza fermarsi all’apparenza. La soluzione più vicina non è sempre quella giusta, per squarciare il velo basta talvolta mutare il punto di osservazione della realtà e rimuovere la fissità di certi schemi che offuscano la verità.


Ecco il link completo all'articolo: recensione ADSeT

By Michele Barbera