Non aspettatevi un romanzetto leggero o un giallo da sciropparvi sotto
l’ombrellone in spiaggia ma io, da “camilleriano” convinto, cioè da chi è
andato oltre lo scontato “Montalbano”, per intenderci, ed ha affrontato e
goduto la lettura de “La biografia del figlio cambiato” o “Pagine scelte di
Luigi Pirandello”, posso con “scellerata” presunzione affermare che il vero Camilleri
lo trovate in questo voluminoso saggio, pubblicato per la prima volta oltre
dieci anni orsono e riproposto di recente dallo stesso editore. Roberto Scarpa
(il curatore impertinente) e lui, Camilleri, affrontano con sagace leggiadria
ed impudica intelligenza non la “vita” del Camilleri, ma – oserei dire –
l’esperienza di vita e di cultura dell’autore (in senso lato) Andrea Camilleri.
A tratti più intenso di un memoir, il
saggio affronta con una schematica che non vuole essere tale, l’esperienza (per
l’appunto) di Camilleri nel teatro, le sue regie, le sue analisi, i suoi
tormenti, le sue vicissitudini, a volte tristi a volte allegre (e come potrebbe
essere diversamente per un “figlio” di Pirandello?). Quello che risulta
sommamente interessante è l’approccio (quasi religiosamente riverente) che
Camilleri ha avuto per il “teatro” in sé ed ad alcuni mostri sacri che lo hanno
incarnato, dato vita e manipolato. E’ una magica carrellata di “passeggeri” di
una conoscenza collettiva, che popolano il magico universo del palcoscenico:
Pirandello, Beckett, Genet, Adamov, Shakespeare, passando anche per personaggi
danteschi, miti classici ed interpreti contemporanei come De Filippo o
“teatrologi” come Silvio D’Amico. Ripeto: non è una nostalgica raccolta di
aneddoti o un’agio-autobiografia. E nemmeno è un pedante e saccente saggio di
letteratura. No. Piuttosto è qualcosa che va al di là: è l’afflato, la biopsia
del misterioso cordone ombelicale che ha unito Andrea Camilleri al teatro ed
alla sua esperienza (di nuovo) di regista e di autore. Si può essere d’accordo
o meno con certe analisi o conclusioni del Maestro, ma indubbiamente non si può
fare a meno di “discutere” con lui, di porci le stesse domande ed interrogativi
che lui si pone e tutto questo assaporando le atmosfere che hanno circondato
l’esperienza (sì lo ripeto) di Camilleri con il teatro sino a toccarne con mano
le “cicatrici”, l’impronta che ha lasciato sull’uomo e sullo scrittore. Da
questo punto di vista Camilleri è un organismo geneticamente modificato: il
teatro non è stato semplicemente l’amore (un amore?) della sua vita. Piuttosto,
(mi si perdoni l’azzardo) una via crucis che lo ha reso quello che oggi lo
conosciamo. E tutto questo non impedisce, anzi,
moltiplica la voglia di leggere le pagine del saggio-intervista. E’ un cammino
che si sviluppa in un senso diacronico ma solo per finta. Camilleri procede per
conto suo. Le pagine sono ricche di citazioni colte, di richiami raffinati, di
confronti inusuali. E Scarpa, il curatore del volume, deve avere avuto il suo
bel da fare per ordinare il materiale-magma vivo ed incandescente che sgorga
prorompente, dilagante, travolgente. Non svelo, per gusto, o per cinico
sadismo, il “mistero” dell’”ombrello di Noè” (ammesso che di mistero si possa
trattare, ma… c’entra qualcosa Achille Campanile, solo più in grande). Concludo
rifugiandomi (per paura o per pigrizia) in uno scontato, ma mai banale: nelle
pagine di Camilleri il teatro diventa così metafora della vita. Aggiungo,
ossimoricamente, della sua ovvietà.O, forse, è la stessa vita a rendersi
teatro. Dell’assurdo, però.
By Michele
Barbera