sabato 28 dicembre 2013

DOWNSHIFTING: VIVERE CON SEMPLICITA' PER ESSERE FELICI


Downshifting: è la parola d'ordine più trendy che circola dopo un ventennio di stress da super-lavoro e falsi modelli di vita imposti dallo sviluppo post-industriale. Lusso, viaggi, gioielli, ville da nababbi ed auto fuoriserie. Tutto abbandonato?
Complice la crisi che ha flagellato il benessere (falso) dei Paesi occidentali, il "net-pensiero" ha abbracciato uno strano ritorno alle origini: meno lavoro, meno jet-set, meno stress da carrierismo cinico ed opprimente, meno egoismo finanziario e speculazione ambientale. Tutto questo ( ed altro) è il downshifting che in inglese letterale significa "scalare le marce", ossia "rallentare", vivere slow.
Dunque, rallentare, recuperare il senso della vita vera, semplificare le nostre abitudini, non inseguire obiettivi ed orari di lavoro massacranti ed alienanti, non rincorrerci l'un l'altro come i famosi criceti sulla ruota. 
I top manager del boom speculativo internettiano, i "quelli-che-tutto-possono-e-vogliono" si sono fermati. Hanno ceduto il passo a figure "tardo-hippy" che credono nei valori veri ed ecosostenibili, in uno sviluppo a passo d'uomo. 
Verrebbe da dire che... hanno scoperto l'acqua calda. 
E' chiaro che in questi ultimi tempi con il moltiplicarsi del fenomeno sono cresciuti a dismisura manuali, blog, circoli, addirittura "scuole" dove il downshifting viene insegnato come pseudofilosofia di vita, come un lifestyle che coinvolge e sconvolge le abitudini da baby-boomers. 
Non sono contrario. Anzi, posso dire che da anni lo pratico, forse in maniera inconscia. 
Il mio ultimo libro (Il testamento di Vantò) è incentrato, inconsapevolmente, proprio su una figura (quella del protagonista) che del downshifting ha fatto una ragione di vita ed è disposto a tutto pur di testimoniare coerentemente la sua logica. 
Ma è chiaro che ognuno dei "capi-pensiero" o opinion leader, come fa più chic, interpreta il "pensiero del vivere lento" a suo modo, con i suoi paletti e con la sua logica. 
E c'è già chi critica le interpretazioni altrui di un "libero" pensiero che significa solo vivere in semplicità e con modestia, senza forzare e senza forzarci. 
Credo che il primo esempio di downshifting sia proprio Papa Francesco, umile, semplice, che proprio per questo ha miracolosamente rivoluzionato una Chiesa arroccata su privilegi e travolta da scandali. 
Il contrario del downshifting?
Facile. Guardate quello che è stato la nostra politica. Guardate le macerie ignobili dello spreco. Ricordate le mega-feste ed i festini. Le escort, le macchine di lusso ed i villoni con piscina riscaldata incorporata.
Per il resto non sono contrario a che si discuta del downshifting, magari a sproposito
E' giusto che le buone idee ed i buoni valori siano discussi e praticati, purché non li esasperi sino ad idolatrarli o, peggio ancora, vengano degradati a mode temporanee e frivole. 
Perché nel downshifting non c'è nulla di frivolo o modaiolo. 
Anche se... mi chiedo quanti di questi novelli profeti del "ritorno alla natura" e del "riappropriamoci della nostra vita" abbandoneranno il loro smartphone per il ritorno alla più sobria "app" dell'agenda di carta (ovviamente e rigorosamente riciclata).
By Michele Barbera 

venerdì 27 dicembre 2013

IL PIACERE DI LEGGERE: IL VENTO NEL VIGNETO DI CARLO SGORLON


Per queste feste natalizie, che sono poi anche una pausa nel tran tran quotidiano, ho ripreso in mano il primo romanzo di Carlo Sgorlon, “Il vento nel vigneto”. Un romanzo d'annata (la prima edizione è del 1960), ma, se vogliamo, è stata una piacevole riscoperta.
La storia di Eliseo, un ergastolano graziato che ritorna al proprio paese, è di quelle che fanno riflettere. Non solo per la difficoltà del suo reinserimento o per la chiusura da parte di tutti o quasi i suoi paesani, diffidenti sino all’estremo nei confronti dell’ex-galeotto.
Fa riflettere soprattutto per due aspetti. Da un lato la costante voglia di riscatto che non si arrende nonostante i capovolgimenti del suo destino che sembrano accanirsi contro di lui. E’ una intrepida voglia di fare che lo scuote dal torpore e dalla depressione in cui le circostanze esterne sembrano sempre precipitarlo.
In questi tempi di crisi, dove tutto pare vada storto penso che la storia narrata da Sgorlon sia una iniezione di “auto-ottimismo”, sul fatto che non ci si debba mai arrendere nonostante le avversità.
Dall’altro, la lettura mi ha fatto riflettere sull’umiltà con cui dobbiamo approcciarci alle cose della vita. Eliseo non disdegna di fare sacrifici o di fare lavori faticosi o mortificanti. Lui ha davanti un obiettivo, quasi una rinascita sociale e non importa se per raggiungerlo deve affrontare ostacoli quasi insormontabili. La tenacia, la costanza, la modestia del personaggio sono un grande insegnamento morale per tutti i lettori del romanzo.
Sgorlon è conosciuto per altri romanzi della sua maturità, piuttosto che per questo esordio, sia pure felice. Ma, credetemi, questo romanzo ha nel suo cuore tutte le grandi qualità dello Sgorlon maturo. Da leggere (o rileggere). Buon Natale e Buon Anno!

By Michele Barbera 

venerdì 20 dicembre 2013

I TRE SETACCI DI SOCRATE




Un giorno Socrate fu avvicinato da un uomo in piena agitazione che gli disse:
«Ascolta Socrate, ti devo raccontare qualcosa d’importante sul tuo amico.» 
«Aspetta un attimo», lo interruppe il saggio, «hai fatto passare ciò che mi vuoi raccontare attraverso i tre setacci?» 
«Tre setacci?», chiese l'altro meravigliato. 
«Sì, mio caro, vediamo se ciò che mi vuoi raccontare passa attraverso i tre setacci. Il primo setaccio è quello della verità: sei convinto che tutto quello che mi vuoi dire sia vero?»
«In effetti no, l’ho solo sentito raccontare da altri.»
«Ma allora l’hai almeno passato al secondo setaccio, 
quello della bontà? Anche se quello che vuoi raccontare non 
è del tutto vero, è almeno qualcosa di buono?» 
L’uomo rispose esitante: «Devo confessarti di no, piuttosto il contrario…» 
«E hai pensato al terzo setaccio? Ti sei chiesto a che serva 
raccontarmi queste cose sul mio amico? Serve a qualcosa?» 
«Beh, veramente no…» 
«Vedi?», continuò il saggio, «Se ciò che mi vuoi raccontare non è vero, né buono, né utile, allora preferisco non saperlo e ti consiglio di dimenticarlo»

Dedicato a....

Michele Barbera

mercoledì 11 dicembre 2013

FORCONI E... FORCHETTE: DALL'ANARCHIA ALLA OMOLOGAZIONE



In questo blog tempo fa c'eravamo già occupati della protesta-simbolo dei "Forconi" siciliani. Avevamo espresso, forse in modo malcelato, simpatia per questo movimento "quasi" spontaneo che si riprometteva di "mettere finalmente le cose a posto". 
Quest'anno le cose sono diverse. Il movimento si è allargato in tutta Italia e la Sicilia, da fonte originaria della protesta, si è "intiepidita". 
E' una protesta anarchica, senza capi né idee, che unisce i vari Grillo-Berlusconi ed ora anche quelli di Forza Nuova. Una protesta universale, contro tutto e contro tutti: i politici della casta, l'euro, la disoccupazione, le tasse, etc...
Alfano beccheggia. Nelle interviste parla di salvaguardia del diritto di protesta, ma si esprime contro chi vuole mettere la città " a fuoco". Il suo lavoro non è facile, né semplice. E Berlusconi gode alle sue spalle. 
Un gesto dei poliziotti (togliersi il casco) ha sollevato mille interpretazioni tra simpatie e diffidenze. Il solito Grillo ne ha fatto bandiera per incitare ad una rivoluzione generale, quasi un colpo di stato contro tutti (di nuovo). 
Cosa c'è, però, al di là di tutto, di vero? Di autentico? Di genuino?
Solo una cosa: la rabbia. 
Rabbia. Tanta, vera, troppa. 
Siamo un popolo, facendo il verso ad una famosa canzone di Roberto Benigni, di "incazzati". 
Che vuole farsi sentire contro l'ipocrisia di chi governa (male) e non è capace di uscire fuori da un pantano economico-burocratico-istituzionale che comodamente chiamiamo "crisi". 
E' una protesta contro l'Europa matrigna, gestita da banchieri miopi ed egoisti, incapaci di vedere al di là del proprio naso. 
Il rischio, però, è quello della omologazione. Di protestare tanto per farlo. Di arrabbiarsi perché.... "piove, governo ladro"! La protesta fine a se stessa non serve. Ci vogliono idee nuove che camminino sul solco della indipendenza di pensiero, fuori dagli schemi europeisti e soggiogati dai poteri finanziari. Che sviluppino e soddisfino  le esigenze reali e concrete della gente.
Una banconota non serve a niente. 
Una pagnotta di pane può sfamare un uomo. 
Bisogna puntare sull'economia reale, non su speculazioni finanziarie che servono solo ad ingigantire le diseguaglianza sociale ed a premiare i più furbi. 
Il progresso non si fa al chiuso delle banche, ma in mezzo alle strade, nelle fabbriche, nei campi. 

By Michele Barbera 


lunedì 9 dicembre 2013

IL TESTAMENTO DI VANTO': IL TESTO DELL'INTERVISTA PUBBLICATA DA "LA SFIDA"

A gentile richiesta pubblico il testo dell'intervista pubblicato dalla Redazione de "LA SFIDA", ringraziando sempre Dino per l'attenzione che ha riservato al romanzo:

“IL TESTAMENTO DI VANTO’”, Il nuovo romanzo di M. Barbera
Scritto da Dino Chiruzzi   
Dopo poco più di due anni ci incontriamo di nuovo con Michele Barbera, l’avvocato menfitano che nutre un’autentica passione per la scrittura, ormai ampiamente consolidata in una produzione che si arricchisce col passare del tempo sempre di più. L’occasione è la presentazione del suo nuovo romanzo, dal titolo accattivante e curioso: “Il testamento di Vantò”. Ed ecco la nostra intervista. 
ImageLa prima domanda sorge, direbbe qualcuno, spontanea: chi è Vantò?
Senza scendere nel merito del romanzo posso dire che Vantò è uno spirito siciliano. Incarna la contraddizione dell’essere, la determinazione caparbia dell’eroe onesto, la volontà solidale di aiuto ai deboli pur nell’ottusità miope di chi governa. Insomma, forse la parte migliore del popolo siciliano.

Il romanzo ruota attorno alla “roba” che in quanto a sicilianità ha precedenti illustri…
Sì, in effetti, il testamento, la roba, hanno nel surrealismo tragico pirandelliano enel verismo verghiano, un ruolo da protagonisti nel muovere e governare la vita del siciliano. Ma, contrariamente a quel che si pensa, la “roba” non è solo un concetto materiale, ma è una metafora esistenziale. Chi ha la roba diventa temuto, rispettato, onorato. Allora dalla prospettiva dell’avere, la questione si trasferisce all’essere. Se si guarda alle origini della mafia, quella dei latifondi, i gabelloti, le stesse baronie, hanno origine da un sistematico accaparramento di roba, anche violento e sopraffattorio, che garantiva al gabelloto il successivo stato di “signore”. Dall’avere all’essere, ripeto. Ma questa è un’altra storia.

Ritornando al romanzo, lo stile risulta particolarmente scorrevole, anche se ricco di citazioni colte: un matrimonio di stile?
Lì è il lettore che dovrà giudicare. Ho cercato, anche con chi ha fatto l’editing, di offrire una lettura piacevole ma non per questo ho voluto rinunciare a fare, scusa l’immodestia, nel mio piccolo, “letteratura”, cioè formare il lettore, non semplicemente informare. La storia letteraria è piena di pietre miliari che spesso, sono ingiustamente ignorate in nome di un modernismo che spesso è sinonimo di superficialità. Ed, invece, è bello riscoprire i classici, assaggiarli, quasi degustarli come un buon vino invecchiato, prezioso e raro. Solo il tempo dirà se questo matrimonio è riuscito!

Domanda secca: come è nato “Il testamento di Vantò”? Fra l’altro è assai differente per ambientazione al precedente “Esame incrociato”…
E’ vero, si tratta di due romanzi completamente differenti, ma entrambi hanno un comune denominatore nella Sicilia. Vero è che certi personaggi del complicato intreccio di Esame incrociato potrebbero stare benissimo ne “Il testamento di Vantò”. Cambia naturalmente lo stile e la struttura stessa del romanzo. Da una certa logicità e coerenza propria dello stile “legal”, si passa ne “Il testamento di Vantò” ad un susseguirsi di circostanze a geometria variabile che si rincorrono e, a tratti, si sovrappongono. Ne esce fuori una tavolozza variopinta in cui i colori originari si stemperano e sfumano, fondendosi l’uno con l’altro.


Parliamo della trama. Nel romanzo Vantò è vittima ed artefice del suo stesso inganno…
Ti voglio precedere. “Il testamento di Vantò” non ha una trama in senso stretto. Chi legge il romanzo segue una scia temporale, nel senso di avvenimenti che si susseguono in una serie di intrecci ma, in realtà, più che di una trama “storica”, mi piace parlare di un pirandelliano confronto di personaggi, un confronto dal quale ognuno può trarre le proprie conclusioni. Lo stesso protagonista non è fine a se stesso, ma è plasmato dalla continua interazione con gli altri soggetti della vicenda.

Nel romanzo ha una parte fondamentale l’incontro di Vantò con i rom. C’è qualcosa di autobiografico in questo?
Ritengo, comunque, che ci sia sempre qualcosa di autobiografico, anche a livello inconscio, in quello che si scrive e, più in generale, si realizza artisticamente. In effetti, diversi anni fa mi occupai di un caso in cui era coinvolta una famiglia rom. Non ti nascondo che mi sono dovuto recare, all’inizio con una certa apprensione, poi con naturalezza a visitare diverse volte un campo rom. Da lì una conoscenza che mi ha colpito. Per il libro mi ha aiutato molto il contatto con un paio di ragazzi ed il colloquio con un anziano di Agrigento che vantava ascendenze rom. Poi, tanto studio su una civiltà che è sui generis rispetto alla nostra tradizione culturale.

La questione dei rom e dei pregiudizi su di loro nel romanzo è affrontata sotto aspetti drammatici. Pensi che avrà una soluzione?
E’ difficile dirlo. I rom sono un popolo per certi versi contraddittorio e quantomai variegato. Per molti versi è saldamente unito e tipizzato da un sostrato di valori immateriale, ancestrale, per altri aspetti ogni clan riconosce e pratica usanze e regole che sono diverse rispetto ad altri. Del resto, i rom sono il crogiolo di diverse etnie, contaminati da innesti socio-culturali con i popoli stanziali dei continenti attraversati nei secoli dalle loro carovane. Non è semplice che i rom rinuncino a quello che considerano il loro bene più prezioso e congenito: la libertà del nomadismo, inteso come logica di vita. L’integrazione passa da lì. E non è facile.

Domanda finale, anche questa scontata: a quando il prossimo romanzo? Ci puoi dare qualche anticipazione?
Mi metti in imbarazzo, perché è l’unica domanda alla quale sul serio non so risponderti. Tra “Esame incrociato” ed “Il testamento di Vantò” ho fatto diverse, o meglio scritto, altre cose che potrebbero evolversi in un romanzo. Ma sono, come si dice, a lenta gestazione. Poi dipende dal tempo che avrò e… dalla pazienza dei lettori, oltre che dal loro gradimento.


venerdì 6 dicembre 2013

ONORE E MEMORIA A NELSON MANDELA



Chi della non-violenza
riesce a farne un credo per un popolo,
Chi non distingue i colori della pelle
e colora un arcobaleno di pace,
Chi della politica non ne fa un fine
ma uno strumento,
Chi riscatta nella propria sofferenza
la schiavitù dei fratelli,
Chi nell'umiltà del silenzio
riesce a gridare la sua voglia di vivere,
Chi sulle sbarre della prigione
fonda il monumento alla libertà,
Chi vuole per i propri figli
un futuro migliore di quello che il destino ha riservato a lui stesso.

Michele Barbera

martedì 3 dicembre 2013

ORME SULLA SABBIA


Questa notte ho fatto un sogno,
ho sognato che camminavo sulla sabbia
accompagnato dal Signore,
e sullo schermo della notte erano proiettati
tutti i giorni della mia vita.

Ho guardato indietro e ho visto che
per ogni giorno della mia vita,
apparivano orme sulla sabbia:
una mia e una del Signore.

Così sono andato avanti, finché
tutti i miei giorni si esaurirono.
Allora mi fermai guardando indietro,
notando che in certi posti
c'era solo un'orma...
Questi posti coincidevano con i giorni
più difficili della mia vita;
i giorni di maggior angustia,
maggiore paura e maggior dolore...

Ho domandato allora:
"Signore, Tu avevi detto che saresti stato con me
in tutti i giorni della mia vita,
ed io ho accettato di vivere con te,
ma perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti
peggiori della mia vita?"

Ed il Signore rispose:
"Figlio mio, Io ti amo e ti dissi che sarei stato
con te durante tutta il tuo cammino
e che non ti avrei lasciato solo
neppure un attimo,
e non ti ho lasciato...
i giorni in cui tu hai visto solo un'orma
sulla sabbia,
sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio".
Anonimo