L'ALTRA STORIA di Michele Barbera
Fatti, idee e riflessioni su Cultura, Cronaca e Società. "Se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla o non vale niente lui” (E. Pound) "Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso" (N. Mandela)
lunedì 8 dicembre 2025
ELOGIO DELLA (IMPERFETTA) CIVILTA’ OCCIDENTALE (EUROPEA)
lunedì 3 novembre 2025
EURO DIGITALE: I PERICOLI, COS’È E A CHI CONVIENE
È notizia di questi giorni: tra poco i cittadini europei potranno accedere all’ “euro digitale”. Se ne parla da anni, ma la BCE ha dato notizia dell’avvio nella pratica quotidiana solo da poco.
Di che si tratta?
È una moneta digitale, cioè, non fisica, un equivalente elettronico del contante. Pressappoco come una carta ricaricabile che i cittadini potranno utilizzare in alternativa al contante. Dovrebbe avere il tetto massimo di 3.000,00 euro ed essere senza commissioni, cioè i pagamenti sia per chi li fa che per chi li riceve avverrebbero a costo zero, senza commissioni o costi di gestione. Il condizionale è d’obbligo.
A chi conviene?
La BCE pensa al grande pubblico dei consumatori. Potrebbe sembrare utile per evitare gli odiosi costi che puntualmente le banche ci rifilano per le carte di credito o i bancomat che possediamo. Ma l’obiettivo ultimo, non dichiarato, è la ferrea volontà di fare sparire il denaro contante dalla circolazione.
Ci sono pericoli?
L’euro digitale, al di là delle pompose dichiarazioni sulla sicurezza, risente della intrinseca debolezza del mondo digitale: basta un hackeraggio, un malfunzionamento del sistema, un furto di dati e l’intero circuito va in tilt.
Non parliamo poi della mancata percezione della spesa e dei c.d. acquisti compulsivi (o impulsivi): si spende digitalmente senza avere una corretta percezione della incidenza dell’acquisto sui propri risparmi, con il risultato che, magari, si fanno acquisti superflui o al di là della propria capacità di spesa.
In realtà, anche oggi l’unico pagamento che assicura certezza ed affidabilità di disporre delle proprie risorse in ogni condizione è il denaro contante, checché se ne voglia dire: se uno ha i soldi compra, se non ha i soldi dovrebbe rinunciare o acquistare beni più economici.
Vi sono poi le conseguenze secondarie. Già quando utilizziamo le carte avviene la c.d. “profilatura”: i gestori e le banche sanno quando spendiamo, dove e perché (li autorizziamo noi quando chiediamo le carte). Poi c’è l’ossessione dei Governi per i controlli fiscali sulla spesa dei privati, anche al fine di monitorare eventuali “riciclaggi” di denaro o movimentazioni in nero.
Siamo sempre di più sulla via di essere controllati in tutto quello che facciamo, che consumiamo e dove andiamo. Che questo porti ad un miglioramento della qualità della vita, sinceramente, ne dubito.
Piuttosto, l’ingabbiamento digitale sempre più ferrato sui soldi dei cittadini, unito alla crescente manipolazione del consumatore (con pubblicità ingannevoli o induttive all’acquisto) riduce il cittadino-consumatore ad una condizione di schiavitù non solo mentale, ma anche fisica, con l’induzione all’acquisto di determinati beni piuttosto che di altri, grazie all’azione subdola degli algoritmi “suggeritori” del web ed a una pubblicità sempre più mirata.
Si tratta di una vera e propria limitazione della libertà che dovrebbe fare riflettere seriamente. Ma, oggi, come si sa, i mass media, i governi e i potentati economici non vogliono cervelli pensanti, ma solo masse facilmente controllabili, senza capacità critica e deboli intellettualmente, pronti a ubbidire alle leggi invisibili di un mercato globale e ai dettami ineludibili di meccanismi economici imposti dalle multinazionali.
lunedì 21 luglio 2025
MENFI: RISORSE IDRICHE E TUTELA DELL'ACQUA PUBBLICA
venerdì 3 gennaio 2025
AGRIGENTO CAPITALE DELLA CULTURA 2025: IL TUTTO ED IL NIENTE
Invece...
È di queste ore la polemica per il cartello ANAS sbagliato, che contiene ben due rozzi strafalcioni grammaticali. Poco male. Dopo la denuncia del Corriere tramite la salace penna di Gian Antonio Stella, il cartello è stato (o sarà) rimosso.
Eccola la “pezza”, il “rattoppo”. Che pare caratterizzare tutta l’approssimativa organizzazione delle attività di un appuntamento storico per la città di Pirandello.
Chi è minimamente addentro l’organizzazione sa benissimo di riunioni convulse, di prese di posizione, di arroccamenti, di campanilismi e di ostracismi, che si consumano da un bel po’ su scrivanie di eccellenti uffici, nei salotti illuminati, davanti alle tazzine di sapido caffè, e così via.
Agrigento Capitale della Cultura è diventata l’occasione di un palcoscenico malato e tristemente tragico, in cui l’arte, la letteratura, l’esaltazione di luoghi mitici annegano in complicanze burocratiche e di favoritismi “bilanciati”, inviluppati in reti complicate di preferenze e amicizie political-scambiste.
Regnano i grand commis, i faccendieri mediatici, gli affarismi beceri, e, perché no, i paradossi pirandelliani, le convenzioni umorali, le sottili vendette e le rivalse dei dogmatici istituzionali.
No, signori miei, non è questione di “cattiva” organizzazione.
Sbaglia chi ritiene che Agrigento e gli agrigentini siano incapaci di organizzare eventi o fare programmazioni culturali.
Il concerto dei “Volo” è stato l’esempio di come ad Agrigento la finzione possa divenire realtà, con la complicità mass-mediatica del popolo agrigentino: un falso storico che, però, ha mosso consensi e denaro, soddisfacendo chi doveva soddisfare.
In Sicilia si dice argutamente che “il fatto è uno, il discorso è un altro”. Una cosa è l’apparenza di un caos magmatico (che starebbe pure bene fisiologicamente nella terra di Pirandello), un’altra è la guerra sottile che da decenni si consuma all’ombra delle pietre ataviche della Valle dei Templi.
Ci sono diktat che nessuno può ignorare, ma tutti dovrebbero combattere.
Al bando i “geni solitari” (come Camilleri, prima che lo straripante successo editoriale e televisivo imponesse ai suoi detrattori di accettarlo e digerirlo), via le manifestazioni letterarie “popolari” che davano visibilità agli scrittori locali ed agli artisti in erba, vadano a quel paese i cosiddetti operatori culturali indipendenti.
La cultura agrigentina ha le sue regole, le sue convenzioni, i suoi referenti, i suoi binari, le sue amicizie che devono obbligatoriamente gravitare attorno ai soliti noti, tramite collaudati canali di reciproci favori, conoscenze e precisi “scambi”.
La cultura agrigentina campa di se stessa, si cannibalizza, miope, incapace di vedere al di là delle colonne del Tempio della Concordia e di Telamoni raffazzonati.
Insomma, la Capitale della Cultura c’è. Solo che ancora non si vede. Sarà una capitale della cultura centralizzata, organizzata ed istituzionalizzata, con la dovuta ipocrita e maleodorante passerella di “vip” annoiati e nomi altisonanti pagati a peso d’oro, con i suoi, direbbe Camilleri, sparluccicanti festini e mostre lustrinate, indorata a dovere e lisciata come il pelo di un porco prima di essere scannato. Sarà la Cultura dei musei, delle rovine pastrocchiate, il tutto curato da abili maneggioni istituzionalizzati che pregano ciascuno per l’insuccesso dell’altro.
Tutto il resto a mare.
In quel sornione mare Africano, che tutto inghiotte e tutto assimila, crocevia di vita e di morte, di speranze deluse e di illusioni allucinate, forse l’unico elemento eterno ed autentico di questa terra dagli straripanti paradossi e pantomime farlocche.
Il mare, dove Luigi Pirandello, quel figlio del Caos che, criticato nella sua terra e costretto a cercare e ottenere il successo altrove, volle che fossero disperse le sue ceneri. E non mi sbaglio concludendo che, sul punto, Camilleri sarebbe d'accordo con me.
martedì 30 luglio 2024
LA SICILIA VERSO LA DESERTIFICAZIONE
Oggi la realtà è ben più drammatica. L’inettitudine di una classe politica da quarant’anni a questa parte ha aggravato la cronica “siccità” dell’isola sino a farne una perenne emergenza e una drammatica calamità.
I modelli matematici parlano di uno-due anni di “sopravvivenza” idrica dell’isola. A meno di un miracolo divino, i siciliani - fra poco meno di due anni - vivranno in un territorio massimante a carattere desertico, con il settore primario (agricoltura e pastorizia) che da eccellenza del territorio, diventerà marginale. L’economia della Regione entrerà in un costante processo recessivo e l’emigrazione diventerà una necessità.
Oggi dei 24 invasi presenti nell’isola sei sono prosciugati e gli altri vedono progressivamente calare il loro livello.
La Giunta regionale ha delegato a Prefetti e commissari vari la patata bollente, che parlano di trivelle e pozzi come se il sottosuolo dell’isola fosse pieno d’acqua e così facendo innescano un irreversibile depauperamento dei bacini e l’ulteriore degrado del territorio.
Tutto è sbagliato. Non è questa la strada, caro Presidente Schifani.
In Puglia Emiliano, ha speso 100 milioni di euro per fare il più grande dissalatore d’Europa.
In Sicilia si è speso 100 milioni di euro per un inutile acquedotto che va dall’invaso Garcia sino al trapanese. Come se il Garcia, che peraltro è oasi naturale, fosse strapieno di acqua e non, invece, boccheggiante come è all’attualità. Vogliamo porre fine a questo dramma che è ormai una farsa?
Caro Presidente Schifani, perché non mettiamo un po’ di sale in zucca e azioniamo il cervello?
1. Togliere di mezzo Siciliacque. Un carrozzone, inutile, spaventoso, drammatico. Che ragiona con logiche di profitto, divora risorse, manca di progettualità e investimenti sociali. A parte il fatto che è privata, la Società è stata incapace di fare fronte a qualsiasi emergenza, miope nella logica di profitto, preferisce trivellare e rivendere l’acqua ai siciliani piuttosto che fare investimenti a lungo termine che possano abbassare i costi del servizio idrico per tutti i siciliani.
2. Togliere di mezzo le varie società d’ambito. Sono carrozzoni elettorali, moltiplicano i passaggi burocratici, hanno un costo inutile e si sono dimostrati assolutamente inefficienti.
3. Istituire un’unica agenzia regionale PUBBLICA con uffici centralizzati a cui delegare la programmazione per obiettivi ed efficiente per la tutela ed la circolarità delle risorse idriche. L’Agenzia deve avere al suo interno sezioni provinciali in modo da coordinare l’intervento pianificatore per singola provincia. Delegare ai Comuni la gestione premiale territoriale delle reti con interventi di monitoraggio e manutenzione della rete idrica locale, per evitare le perdite e le dispersioni.
4. Riattivare e progettare i dissalatori alimentandoli con energia solare. È l’unico modo per rendere circolare la risorsa idrica e costituire una fonte rinnovabile per l’agricoltura e l’uso civico. Costa molto di più fare fronte ad un’emergenza diventata cronica e che nei prossimi anni diverrà insostenibile dal punto di vista ambientale e finanziario. Basta un solo progetto, modulare, con i dissalatori di nuova generazione, che possa essere utilizzato per ogni nuovo dissalatore. Non occorre fare nove-dieci progetti.
5. Programmare la manutenzione degli invasi e dei corsi d’acqua. Per consentire l’immagazzinamento dell’acqua nei periodi piovosi ed evitare esondazioni, dissesti e fenomeni alluvionali. La Regione dispone di numerosi studi sulle zone franose e quelle più soggette a dissesto idrogeologico. Mettiamoli a frutto.
6. Favorire il rimboschimento anche nelle aree private. Rimboschimento e reddito sostitutivo per le aree incolte con formule crescenti e premiali per i privati in parallelo con l’anzianità dei boschi. Ciò favorisce la manutenzione degli alberi e riduce il rischio incendi, motivando il privato a custodire la risorsa boschiva ed evitare la desertificazione e l’abbandono dei terreni. Un bosco riduce il degrado del territorio, l’impatto delle alte temperature, favorisce il microclima e depura l’aria.
Sembrano compiti giganteschi, ma non lo sono: è una visione chiara e fattibile, aliena da logiche speculative e di profitto. E se non si inizia non si arriverà mai. Iniziamo dalla parte burocratica. Non ci sono alibi. Non possiamo stare a piangere mentre in tutto il mondo si sbracciano per risolvere il problema della siccità mentre noi siamo bravi solo a farci del male.
La Sicilia e soprattutto i siciliani non lo meritano, caro Presidente.
By Michele Barbera




