"Ma a notti è fatta suru di sirenzi,
unni mi peddu e mi cunfunnu
…
intra stu mancanti i nenti
iapru ‘u cori e mi lassu iri".
(ma la notte è fatta solo di
silenzi,
dove mi perdo e mi confondo
…
dentro questo vuoto di nulla
apro il cuore e mi lascio andare).
(da Arrèri ô
scuru)
José Russotti, il cui estro poetico è già ben noto ai nostri lettori, ci ha donato con la sua nuova silloge “Arrèri ô
scuru” (Controluna Ed., 2019) un emozionante dualismo poetico, in cui lingua
italiana e dialetto mavvaggnotu si
incontrano in modo simbiotico e rendono trepidante
omaggio a quelle emozioni che il critico definì “scissioni dell’animo”, ovvero pure e nude verità emozionali.
José, da assoluto cantore dell’anima siciliana e
poeta celebrativo della “bella lingua”, è
riuscito a sanare il mortificante dualismo dialetto-traduzione, esaltando la
musicalità poetica di entrambi i registri linguistici, talché la silloge è
godibilissima nelle due anime interne che si specchiano l’una nell'altra.
La silloge è afflato di silenzi e grida che animano illusioni di vuoto e nulla, ma
anche germinazioni di sentimenti caldi e passionali, ritratti impressionistici
e calde emozioni a volte devastanti, come la lava della Muntagna che scorre, linfa
vitale e nascosta, tra i versi dei fogghi mavvagnoti di José.
José Russotti |
“Vuoto di nulla” che apre il cuore e lascia il
poeta “nudo e solo” su un tappeto di
pensieri. José non si nasconde dietro i versi, gioca a dadi col destino,
diventa funambolo del desiderio, sospeso nel buio.
Il dialetto scolpisce i versi nel legno vivo e duro, impregnando le liriche di antinomie e di ossimori: sfugge la dimensione del reale, la poesia irride l'illusione di vivere, ma celebra anche l’ansia del puro, la “fini d’ogni cosa” nelle “dumanni senza risposti”.
Il dialetto scolpisce i versi nel legno vivo e duro, impregnando le liriche di antinomie e di ossimori: sfugge la dimensione del reale, la poesia irride l'illusione di vivere, ma celebra anche l’ansia del puro, la “fini d’ogni cosa” nelle “dumanni senza risposti”.
Nelle liriche della silloge, la dimensione onirica
ed ineffabile del sentimento poetico si scontra con la salda concretezza di un’esistenza
viscerale, scevra di ipocrisie, fiorita “in un pugno di sole con attorno il
mare”. Inevitabile il richiamo a Malvagna, alle pendici della Montagna, al paesaggio
solare, al fuoco che brucia, alla civiltà che ha radici ataviche, ai legami familiari forti, saldi, certi, da
meritare il totale ed “eterno abbandono”.
Spesso l’uso del dialetto implica un genetico
e funzionale policentrismo radicale: geografico, storico, antropologico, dove l’idioma
localizzato diventa semeiotica isolazionista, comunicazione iniziatica, fatta non
solo di parole, ma di simboli, di segni, di sfumature. José Russotti spezza il
localismo verbale, gioca con i fonemi nel duplice registro compositivo e ne fa veicolo di messaggi
empatici, universali, densi di atmosfera dominante, in cui ogni antagonismo
idiomatico si arena sulle sponde del canone poetico.
La densità dell’ispirazione poetica è pari al suo
pluralismo: le relazioni affettive, l’intimismo arcaico, la sensibilità verso
la Sicilia, alma mater, sin’anche la passione politica che trasmuta in rivendicazione
sociale, le voci che “si chiamanu” dei migranti in mare, tutto diventa metafora
di quel sentimento “vivu e dannatu”
che agita l’animo del poeta che affronta, solo e nudo, i contrasti e gli
affanni della vita terrena.
Quasi in una rilettura del dubbio esistenziale che riecheggia i sepolcri
foscoliani, anche la morte, specie quella solitaria, nascosta, non confortata dal pianto, diventa occasione
di angoscia: “si moriri è tintu e nun
duna abbentu / ancora chiù tintu è moriri a mmucciuni”. Il tremito della
speranza, che fugge i morti, è amplificato dallo “spleen” (è José che così trasla
“cassariamentu”) della insoddisfazione al vivere, della sofferenza che
travaglia l’uomo.
Il sentimento dominante, la cifra originale di José, è, così, l’ “ansia del puro”,
il tormento dell’innocenza, a cui solo la poesia, vera catarsi dell’anima, può
trovare rimedio. Nell’amore verso chi ama, nell’amicizia, nell'afflato degli ideali, nella natura che non
inganna, nei rimpianti dell’essere bambino, José ritrova orizzonti di silenzio,
dove si placa ogni tensione emotiva e si rasserena l’inquietudine.
Ci piace chiudere la lettura delle poesie di José
con la doverosa citazione di “Suri d’austu”, Sole d’agosto, dove il montaliano meriggiare pallido ed assorto si
veste di sembianze umane, un dialogo che diventa idillio di emozioni solari,
nel canto delle cicale, tra i rami di un umile albicocco, a cui “u ma cori si ttacca e si ruspigghia all’umiri
lampu di fidi”. Un umile barlume di fede, un rischiarare di speranza, che
diventa liricità d’immensa eco ungarettiana, uno sbirciare l'infinito al di là della siepe
cara a Leopardi, una metafora naturalistica che invita a guardare con fiducia al domani, al
di là del buio, arrèri ô scuru.
By Michele Barbera